martedì 13 maggio 2014

Tutti dicono che sono un bastardo (Irma Loredana Galgano su Liberi di scrivere)

:: Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski, Roberto Alfatti Appetiti (Bietti, 2014) a cura di Irma Loredana Galgano

 Fonte: Liberi di scrivere

Con “Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski” Roberto Alfatti Appetiti regala al lettore un grandangolo sulla vita, le opere, i pensieri del grande maestro, ma anche uno sguardo dettagliato su quelli che sono stati i suoi autori preferiti, da cui ha imparato o confermato la sua scrittura, i suoi amori, le sue certezze come le incertezze, le convinzioni come i dubbi, le caratteristiche ma anche le contraddizioni di colui che indubbiamente è stato emblema di un modo di vivere e di scrivere assolutamente fuori dal comune.
E fuori le righe è anche la biografia scritta da Alfatti Appetiti, complice la sregolatezza del protagonista, ma fondamentalmente la volontà dell’autore di ricostruire passo passo la vita e la carriera artistica di Bukowski lasciando trasparire un’immagine più fedele alla realtà di quella che mediamente lo vuole come un vecchio ubriacone sporcaccione.

«Bukowski non è un autore da scoprire, né, come si usa dire in questi casi, da riscoprire. È scoperto, nudo, eppure mai osceno, non è lo scrittore pornografico come vorrebbe un consolidato luogo comune».
Lo stesso Bukowski prova un certo rammarico nel sentirsi continuamente cucire addosso questa etichetta.
«Ho creato l’immagine dell’eterno ubriacone da qualche parte nei miei lavori e dietro a questo c’è un minimo di verità. Eppure, mi sembra che il mio lavoro abbia espresso anche altro. Mi pare che affiori solo l’eterno ubriacone».
In effetti spesso, soprattutto in passato, si notava la tendenza a evidenziare la “debolezza alcolica” di Bukowski nonché la sua passione per le donne, il suo vivere sregolato e il suo scrivere smodato. In realtà, è ciò ben viene evidenziato nel testo di Alfatti Appetiti, le poesie come i romanzi ma anche la produzione epistolare del vecchio Buk mostrano tutti i segni di un uomo che la vita ha dovuto conquistarsela giorno dopo giorno, trovando in se stesso e forse anche nell’alcol la forza per rialzarsi dopo ogni caduta, dopo ogni sconfitta. Un uomo che ha vissuto per strada, che ha conosciuto gran parte dell’America, quella vera, non cinematografica ma reale. Che ha vissuto e osservato la sofferenza, la fame, la malattia, i soprusi, gli inganni… e poi ha deciso che doveva scriverli, metterli nero su bianco senza filtri né mezze misure.
«La maggior parte della poesia brutta è scritta da professori universitari sovvenzionati dallo stato, dai ricchi, dall’industria. Sono insegnanti attenti a mantenere attivo il gioco di quelli dei piani alti, mentre, quello dei piani bassi, quello degli scaglioni di uomini e nazioni, viene bastonato».
Fondamentalmente Bukowski è un provocatore, gli piace giocare a fare il gatto con il topo, con lo scopo precipuo di stanare la verità.
«Le sue storie non si prestano ad alimentare chissà quale dibattito culturale, ma testimoniano, semmai, la sopravvivenza dei sentimenti, non necessariamente dei buoni sentimenti, in un mondo in rovinosa decadenza, in plastica caduta».
Roberto Alfatti Appetiti si sofferma a lungo anche sull’amicizia profonda che ha legato Bukowski a John Fante. A Fante è toccato più o meno lo stesso destino letterario di Bukowski, e lui stesso lo scopre quasi per caso «Aprii una pagina aspettandomi il solito, e invece le parole sì, le parole mi saltarono addosso, proprio così. […] Ogni parola aveva forza. […] Avevano una forza straordinaria, erano completamente reali. Come mai quest’uomo non era mai stato citato da nessuna parte?».
Succede più o meno la stessa cosa ai lettori quando si imbattono nella loro prima lettura bukowskiana.
Charles Bukowski si è divertito a lasciar credere a tutti di essere filo-nazista quando in realtà voleva solo dimostrare quanto sbagliato fosse seguire il sistema rinunciando completamente a portare avanti le proprie idee, quanto necessario fosse combatterlo questo sistema che voleva a tutti costi identificare nel nazista l’unico nemico, l’unico problema e in se stesso la soluzione. Ipocrisia. Ipocrisie che cozzano tremendamente con l’indole di Buk come con quella altrettanto limpida del suo maestro Fante.
«Ci sono sei milioni di comunisti in Italia – scrive il 21 Agosto 1960 (John Fante. Ndr) alla moglie da Roma – e l’intera industria del cinema, con piccole eccezioni, è dell’intellighenzia Russia del tipo che prevaleva a Hollywood. […] Ora scherniscono l’America, ma se domani l’America prende posizione con fermezza contro i russi su qualcosa, o se gli americani segnano una vittoria nella guerra fredda, gli stessi rossi improvvisamente cambiano posizione e si mettono a parlare della loro devozione eterna agli Stati Uniti. Oscillano avanti e indietro, senza principi, ipocriti, persi».
In un sistema di pendoli oscillanti due punti fermi non potevano che risultare “diversi”. Nel libro “Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski” Roberto Alfatti Repetti riesce magistralmente a ridare la giusta prospettiva alle poesie, ai romanzi, al pensiero e alle idee di Bukowski come anche dei suoi maestri di stile e di vita.

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