sabato 20 settembre 2014

Tutti dicono che sono un bastardo (La recensione di Marco Proietti Mancini su LiberArti)

di Marco Proietti Mancini
Affrontare la lettura di un libro di “saggistica” richiede uno stato d’animo diverso da quello con cui si apre un romanzo, un libro di poesie o una raccolta di racconti...


Si può fare per molti motivi, per diversi interessi. Per cultura (personale o professionale), per curiosità sugli argomenti o personaggi trattati, per documentarsi allo scopo di preparare un altro testo di saggistica; quasi mai si sceglie un testo di saggistica per puro intrattenimento, per passare del tempo.

Onestamente non so quali fossero le intenzioni di Roberto Alfatti Appetiti nel momento in cui ha deciso di affrontare la vita e le opere (non necessariamente in questo ordine di trattazione) di Charles Bukowski.
Questa è un’altra delle caratteristiche specifiche di un libro di saggistica; così come non lo si sceglie (legge) per caso, nello stesso modo quasi sempre la decisione di scriverlo viene da una scelta razionale. Magari è impulso la scelta del personaggio o dell’argomento, ma certamente la scrittura di un saggio è – o dovrebbe essere – qualcosa di scrupolosamente documentato, argomentato e provato. Scrivere saggistica non è mettersi a buttare giù parole di fantasia e cuore, è ricerca, è impegno professionalmente metodico e metodicizzato, scandito da ritmiche che non devono assecondare “solo” l’ispirazione.
Personalmente ho sempre riservato alla saggistica (lettura) le lunghe ore delle vacanze, i tempi dilatati della spiaggia e dei pomeriggi estivi o delle sere in cui si sa che non ci sarà sveglia fissata per il mattino successivo.
Stesso destino ho pensato fosse necessario riservare a “Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski”. Dedicargli il tempo di una lettura “studiata”, quella che prevede le riletture e le annotazioni a matita sul margine, quella che assomiglia allo studio.
Poi ti accorgi che Roberto Alfatti Appetiti è riuscito a creare una miscela che scaravolta le mie convinzioni, i suoi capitoli – pur essendo tematici – diventano racconti e capitoli di un romanzo, le poesie di Bukowski, riportate nella forma originale e inserite nel testo, al posto giusto per attinenza al periodo o all’argomento, rendono il libro una silloge (quando scrivo “al posto giusto” non intendo che quella poesia sia stata scritta nel periodo narrato, ma che magari una poesia scritta venti anni dopo permetta l’interpretazione corretta e la comprensione delle scelte di Bukowski di venti anni prima).

Non mi venite a dire che Roberto Alfatti Appetiti abbia scelto Bukowski per convenienza o per ricchezza di vita. Bukowsky nella vita ha fatto migliaia di cose, in campo letterario e non solo, ma nella sostanza non ha fatto altro per tutti gli oltre sessant’anni della vita che starsene seduto sul suo culo (spesso grattandoselo) a osservare la vita degli altri e farla propria. La vita degli “ultimi”, nei cortili e nei bar, negli ippodromi e nelle strade. Farla propria nel senso di viverla, ultimo tra gli ultimi, e riferirla nella sua cifra letteraria, tanto efficace quanto minimalista.
“Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski” è un eccezionale testo saggistico, ma allo stesso modo è un eccezionale romanzo, raccolta di racconti, silloge. E’ documentato fino all’eccesso, con note, citazioni, bibliografie, non inventa nulla, eppure affascina come se raccontasse la vita vera del Corsaro Nero. E’ forse quello è stato ed è, ancora, Charles Bukowsky. Roberto Alfatti Appetiti lo strappa a ogni clichè, lo estirpa da ogni strumentalizzazione delle destre e delle sinistre e impedisce a chiunque di farsi bandiera del Signor Bukowsky.
Roberto Alfatti Appetiti non inventa nulla, non giustifica e non assolve Bukowsky, ma neanche lo condanna, perchè – a onor del vero – a condannare lui ci sarebbe da condannare un’intera generazione, una nazione intera.
Una lettura emozionante, senza essere emozionale; nessuna concessione all’anedottica inutile, quella degli strumentalizzatori di Bukowsky, che disprezzava chi aveva così pochi argomenti da aver bisogno di argomenti altrui per darsi voce. Ma allo stesso modo disprezzava, in qualche maniera, chi prestava la sua voce di scrittore a chi aveva così poche idee e vita sua da aver bisogno di modelli.
Roberto Alfatti Appetiti sottrae Bukowsky a ogni parallelismo, a ogni paragone, gli concede solo una sterminata – e anche qui, documentata e provata – ammirazione per John Fante e il suo Bandini.
Sono io che mi permetto di compiere un parallelismo, tra Bukowsky e Simenon, che non è minimamente citato nel libro di Roberto Alfatti Appetiti, ma che – dopo aver letto le “Memorie Intime” di G.S. – a me sembra l’oltre lo specchio di Bukowsky. Stessa amoralità etica, stesso disprezzo delle convenzioni, stesso generoso egoismo, nel donare, ognuno quel che può ed ha, purchè rimanga “suo” intellettualmente.
Un saggio scritto bene, un romanzo che asseconda la vita di Bukowsky, senza elevarlo a modello, ma neanche a eroe negativo. Un libro che – ad averlo saputo prima – non avrei fatto rimanere sullo scaffale per settimane, aspettando le ferie e la spiaggia per leggerlo.

"Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski" - Roberto Alfatti Appetiti - Bietti Edizioni 2014

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