Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 28 dicembre 2010
Non solo iPad e tavolette varie. A Natale i regali ad effetto sono “vintage”. Così si spiega il ritorno di moda del Subbuteo, dono ricercato e gradito per tanti trenta-quarantenni a caccia delle emozioni forti “del calcio in punta di dito”. Dopo la collana di squadre allegate ai settimanali “Panorama” e “Tv Sorrisi e canzoni” questo originale gioco inventato in Inghilterra sta conoscendo una seconda giovinezza, tra leghe sportive e tornei.
Subbuteo ... o son desto (pp. 175, euro 15, Minerva edizioni) è un saggio cult dedicato al fenomeno, scritto da Nicola Deleonardis, corredato di testimonianze, interviste, foto, riferimenti storiografici e letterari. Il segreto della longevità di questa “disciplina” richiede un salto all'indietro. Tra gli anni settanta ed ottanta è stata uno dei passatempi più diffusi tra i ragazzi, proprio perché univa la passione per il calcio, il piacere della socializzazione ed il gusto tutto liturgico di colorare le squadre, costruire gli stadi o semplicemente stendere il panno verde che riproduceva l'erba di gioco negli angoli più diversi delle case italiane. Accanto al rito, c'era e c'è la strategia, la disposizione dei giocatori in campo, gli schemi, l'abilità nelle conclusioni a rete e le peripezie dei portieri.
Le squadre del Subbuteo negli ultimi anni sono riemerse dai meandri di eBay, ricercatissime nelle vetrine sul web, nonostante la multinazionale produttrice, la Hasbro (nel cui alto management c'era anche il falco neocon Paul Wolfowitz), avesse deciso di non puntare più su questo prodotto. Nel 2005 Luca Sofri, sulle colonne di “Vanity Fair” ne aveva tessuto lodi sperticate: “Pochi maschi della mia età non hanno un repertorio di ricordi legati al Subbuteo. Un circo di riti, cerimoniali, tecniche e aneddoti. Ogni vero professionista per prima cosa inchiodava il panno verde di gioco a una robusta tavola di truciolato: gli altri lo facevano aderire al tappeto di casa, anche col ferro da stiro. C'era chi appesantiva le basi dei giocatori con delle rondelle comprate dal ferramenta, chi ci spruzzava del Pronto sostenendo che scivolassero meglio, chi si dipingeva le proprie squadre (ricordo con orgoglio la perizia con cui pennellai le righe sulle maniche e i numeri dall'uno all'undici sulla schiena dei miei olandesi: solo Johnny Rep ricevette uno sbaffo bianco sul collo), chi era un sapiente incollatore di gambe spezzate. (...) C'era chi diventava un grande collezionista di squadre (se ne vendevano quasi 180 diverse) e chi non si separava mai dalla sua prima confezione di semplici “blu” e “rossi”. Io e mio fratello litigavamo sempre per chi teneva i rossi, per via di un'educazione di sinistra. Si litigava un sacco, giocando a Subbuteo: in ogni caseggiato si creavano varianti alle regole ufficiali (lo “spostamento”, “l'omino del portiere”, il numero dei tocchi), e si accampavano scuse e proteste (“Non ero pronto!”). I bambini ricchi si portavano dietro alcuni dei mille costosi accessori che erano stati messi in vendita con successo negli anni: le transenne, l'arbitro, le panchine, i riflettori, le tribune, il pubblico, gli omini con le braccia alzate per il fallo laterale”.
Un campionario di racconti sui calciatori in miniatura è riproposto nelle interviste presenti nel libro curato da Nicola Deleonardis: ricordi di giornalisti sportivi, attori, cantanti. Stefano De Grandis, storico volto Sky (pioniere dei bordocampisti), svela un arcano familiare: “Chiesi ed ottenni di avere un Subbuteo anch'io, e via via tutte le squadre di serie A, sfruttando il fatto che mio padre, che seguiva il campionato per “Paese Sera”, toccava tutte le piazze e aveva la possibilità di trovare anche le formazioni meno appetibili”. Memorabili gli aneddoti. Tecnici italiani come Mario Somma e Alberto Malesani ripetono ai propri giocatori gli schemi utilizzando simbolicamente i calciatori piazzati sulle basi tondeggianti, lo svedese Sven Goran Eriksson trasmetteva ai suoi campioni i dettami tattici disponendoli su un tavolo...
Lo scozzese Irvine Welsh, autore del romanzo “Trainspotting”, in “Una testa mozzata” (Guanda), tratteggia il protagonista, Jason King, come un giocatore agonista di Subbuteo, mentre in “Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti compare la ricercatissima squadra da tavolo del Lanerossi Vicenza... Il cantante Andrea Mingardi spiega perché gli omini sul panno verde non tramonteranno mai: “C'è voglia di ritornare a parlarsi, a toccarsi e di uscire insieme per fare anche nulla”. Gianmarco Tognazzi (partecipante da ragazzo anche a campionati italiani di “calcio in punta di dito”) rivela invece un sogno nel cassetto: “Nella mia carriera ho fatto solo l'attore e non ho mai avuto grandi velleità di regista. L'unica cosa che scrissi e avrei voluto girare io fu un cortometraggio di venti minuti sul Subbuteo. Avevo ventidue anni. (...) poi non so perché non se ne fece più nulla”. Lo scrittore Enrico Brizzi evidenzia il lato ludico: “Giocare è una componente essenziale della vita adulta: chi se lo nega è stressato e triste”. Enrico Letta, deputato del Pd, sembra offrire un monito ai suoi colleghi del Parlamento: “Il Subbuteo ti insegnava anche a giocare con gli altri e ad accettare le sconfitte”. Riccardo Cucchi, voce storica di Raisport, ha iniziato realizzando virtuali telecronache delle gare giovanili: “Giocavo e raccontavo le azioni della mia squadra e quelle dell'avversario. La mia gioventù si è nutrita di poche passioni: i romanzi, “Tutto il calcio minuto per minuto”, l'atmosfera dello stadio ed il Subbuteo”. Infine la sfida ai “videogames” lanciata da Marco Mazzocchi, giornalista sportivo Rai e volto di “Quelli che ... il calcio”: “Il futuro del Subbuteo è nelle mani dei nostalgici come il sottoscritto e della loro capacità di trasmettere la magia ai propri figli e nelle mani dei maestri del marketing. Competere con il mercato dell'elettronica è difficile ma non impossibile”.
Michele De Feudis
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