Dal Secolo d'Italia del 7 giugno 2011
Grazie a una duegiorni ricca di un calendario di incontri davvero no-stop, il rugby è riuscito a conquistarsi, centimetro dopo centimetro, partita dopo partita, lo spazio che l’iniziativa meritava. Impresa quanto mai difficile in un fine settimana in cui l’agenda degli appuntamenti sportivi era particolarmente fitto.
Ad aggiudicarsi il torneo maschile della decima edizione del Roma Seven – il prestigioso torneo di rugby a sette che si è svolto a Roma dal 3 al 4 giugno e ha visto la partecipazione delle migliori squadre al mondo – è stata la favorita selezione del Roma Seven, allenata dalla leggenda All Blacks Gordon Tietjens e composta da atleti neozelandesi e samoani, dopo un’avvincente finale con la Francia, travolta 40 a 5. Altrettanto prevedibile il successo femminile delle Red&Blu Maori, mentre le azzurre hanno conquistato lo Shield. Detto questo, tuttavia, non si può certo dire che siano mancate le sorprese. Una su tutte: rivedere Chester Williams in campo. L’ultima volta l’avevamo visto sul grande schermo, consacrazione che spetta solo a pochi miti dello sport, nella bella interpretazione di McNeil Hendricks, in Invictus, il film diretto da Clint Eastwood con Matt Damon nel ruolo di Francois Pienaar.
Stavolta, invece, la “perla nera” del rugby sudafricano, invitato come uomo immagine della manifestazione, s’è presentato allo Stadio dei Marmi nella giornata di sabato in carne, ossa, muscoli, sorrisi e soprattutto voglia di giocare. Sì, perché dribblando interviste e attenzioni varie, Williams ha sorpreso tutti indossando la maglia della Namau, la società sportiva del compianto Giorgio De Angelis (al quale nel corso del Roma Seven è stato dedicato il torneo under 16) e scendendo in campo. Nel caldo torrido della capitale – «è talmente caldo che mi sento a casa», ha commentato – e con al proprio fianco l’ex avversario Orazio “Bimbo” Arancio, già nazionale italiano, l’ex campione del mondo degli Springboks si è dimostrato decisamente in forma per i suoi quarant’anni, trascinando gli over 35 al successo sulla Lazio Old nel memorial Renato Speziali aggiudicato proprio alla Namau.
Figura mitica del pallone ovale, primo rugbista di colore nella nazionale sudafricana del post-aparthied, e amico personale di Nelson Mandela, Williams non ha nascosto l’entusiasmo per la città eterna, dalla quale mancava dal 12 novembre 1995. Quella volta ad applaudire lui e il Sudafrica appena laureatosi campione del mondo furono i 45mila spettatori presenti all’Olimpico e la nazionale italiana, in quell’occasione, dovette arrendersi 21 a 40. Da allora, però, il nostro movimento rugbistico ha fatto passi da gigante. Lo certifica lo stesso Williams: «Ho seguito l’Italia nel Sei Nazioni, l’ho trovata cresciuta – ha dichiarato – e credo che potrà dire la propria al prossimo mondiale».
Perché, anche se la formazione italiana, l’Italseven, si è dovuta arrendere ai quarti di finale contro la forte nazionale kenyota (fermata a sua volta dalla Francia), la competitività del nostro rugby, a quindici come a sette, è sotto gli occhi di tutti. L’introduzione del rugby a sette nel programma olimpico sin da Rio 2016, peraltro, offrirà nuova quanta meritata visibilità a una disciplina non meno spettacolare della genitrice. Le dimensioni del campo, del resto, rimangono le stesse e le interruzioni di gioco sono ridotte ai minimi. Quasi inesistenti le mischie, agli atleti non rimane che correre a perdifiato ed è richiesta, se possibile, una preparazione atletica persino maggiore che nel rugby a quindici. Certo è che gli azzurri dovranno sudarsela, la qualificazione alle olimpiadi. Un’opportunità che la nostra nazionale non ha alcuna intenzione di farsi sfuggire. Lo ha assicurato Marco de Rossi: «Ci faremo trovare preparati all’appuntamento con i giochi olimpici di Rio del 2016 – ha promesso il ct – e posso anticipare sin da ora che prosegue il discorso volto alla creazione di un’accademia specifica per il rugby a sette».
Più che in salute si è fatta notare anche la componente femminile, attesa alla prova dei prossimi europei e delle olimpiadi. Lo ha sottolineato, intervenendo alla premiazione della categoria femminile, Isabella Rauti, consigliere regionale e membro dell'Ufficio di Presidenza della Regionale Lazio, ente patrocinante della manifestazione.
«Il rugby femminile, in questi ultimi anni, ha dimostrato di saper esprimere qualità tecniche e prestazioni sportive di assoluto livello – ha sottolineato la Rauti – e va considerato come ogni volta che scendono in campo le rugbiste non soltanto sfidano lealmente le avversarie ma un intero universo mentale fatto ancora di stereotipi e pregiudizi. Le donne della palla ovale sono coraggiose, si mettono alla prova, accettano le sfide e contribuiscono a diffondere una cultura di genere».
Dopo le premiazioni, come da consueta prassi, il terzo tempo, il White Party, durato sino a notte inoltrata. Chi c’era, peraltro, ha potuto godersi l’haka maori degli All Blacks dei Roma Seven e, per par conditio, anche le ragazze della Red & Blue Aotearoa New Zealand Maori hanno effettuato la loro danza rituale davanti al pubblico.
La diversità del rugby è anche in questo: in campo non ci si fanno sconti e, pur senza far venire meno il rispetto dovuto agli avversari, non ci si risparmia colpi. Un minuto dopo, però, tutti a onorare questo meraviglioso sport.
Roberto Alfatti Appetiti
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