Articolo di Antonio Rapisarda
Dal Secolo d'Italia del 15 settembre 2011
Appeso sul monte Bianco a quattromila metri di altezza. Questa istantanea testimonia a pieno che cosa è stata la - bellissima - esperienza terrena di Walter Bonatti, scomparso due giorni fa a ottantuno anni. Una vita, o almeno la parte più "piena", spesa tra le vette in giro per il mondo. Un'esistenza spesa per la montagna, per l'idea di sé che si forma durante la scalata.
A maggior ragione per uno come lui che, classe 1930, poco meno che adolescente si è trovato davanti una nazione allo sfascio: «I miti - ha raccontato - erano: Gesù Cristo come Dio, il re dell'Italia, il Duce dell'Impero. Arrivo a Piazzale Loreto, s'è girata la baracca. Vedo il Duce appeso come un maiale. Il Re è scappato, la guerra perduta. Cristo un'ipotesi. Avevo quindici anni, mi affacciavo alla vita in un mondo disfatto, senza prospettive e con gli ideali infranti. C'erano le montagne. Roccia».
E quella roccia per Bonatti è stata croce e delizia, maestra e giudice: è stato infatti uno dei più grandi alpinisti italiani a livello internazionale, compiendo alcune delle più complesse ascensioni tra gli anni '50 e '60. Iniziò a scalare sulle Prealpi lombarde subito dopo la guerra per poi cimentarsi sulle Dolomiti e sul Monte Bianco. Nel 1951 compì la prima grande impresa: la scalata della parete est del Grand Capucin sul Monte Bianco.
Seguirono altre scalate importanti fino a quel 1954 quando fece parte della spedizione italiana che conquistò il K2. E qui, per lui iniziò un calvario personale: perché proprio durante quell'impresa incontrò anche le delusioni che può dare la scalata. Come ha ripetuto lui stesso, però «verso la montagna non avevo nessun rancore. Ce l'avevo verso gli uomini». Già, per anni infatti fu al centro di polemiche per la sua condotta nella scalata, nella quale fu costretto a bivaccare a oltre 8.000 metri di quota e si salvò miracolosamente. Dopo un lungo caso giudiziario, sia i tribunali sia il Club alpino italiano riconobbero la sua versione come l'unica accreditata. Ma nel mezzo ci stanno anni di polemiche, anche se continuò l'attività con altre imprese sul Monte Bianco prima di chiudere la carriera con la prima scalata invernale in solitaria del Cervino nel 1965.
A soli trentacinque anni e un curriculum impressionante, il congedo dall'attività professionistica. Ma non si ferma di certo la voglia di raccontarla questa montagna. Lo fa da saggista, da reporter, da cantore appassionato della "via". Eppure la sua "battaglia" più sentita, forse, è quella che ha combattuto per la verità proprio sul K2: spartiacque della sua carriera fu quella scalata, che gli costò una querelle durata anni con il capo della spedizione Ardito Desio. Alla fine, quando la sua versione è stata accertata, così ha motivato le sue ragioni in una lettera commossa: «A cinquantatré anni dalla conquista del K2, sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione professor Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell'accaduto in quell'impresa nei giorni della vittoria.... Si è (...) dato completa verità e dovuta dignità al grande successo italiano, una affermazione che ha saputo risvegliare, dopo gli anni bui, il vanto e l'orgoglio di tutti noi». Parole che denotano lo spirito con cui intendeva la sfida della vetta e la metafora che rappresentava non solo per se ma per tutta la nazione.
Non a caso tutta la comunità di alpinisti - ma anche tantissimi estimatori e semplici cittadini - si è stretta attorno alla sua figura. A partire da un appassionato come il sindaco di Roma Gianni Alemanno: «Sono molto colpito dalla scomparsa del grande alpinista, Walter Bonatti - ha affermato il primo cittadino della Capitale - una delle ultime figure di quella stagione dell'alpinismo "eroico" che ha visto profondamente coinvolto il nostro Paese». Per Alemanno, amatore che ha preso parte diverse escursioni tra cui appunto una al campo base del K2, «la sua vita e le sue imprese sono andate oltre ogni leggenda e chiunque ami la montagna , l'avventura e le sfide umane non può non ricordarlo come uno dei più begli esempi da indicare alle generazioni future».
«Esploratore di sé stesso», è stato efficacemente definito Bonatti dai suoi estimatori. E proprio questo concetto si ricollega perfettamente con la fascinazione di un certo ambiente verso la della montagna. Appassionato delle vette fu ad esempio il pensatore Julius Evola che nel 1917 partecipò diciannovenne al primo conflitto mondiale come ufficiale di artiglieria e, assegnato a posizioni montane di prima linea vicino ad Asiago: leggenda vuole che iniziarono proprio lì le sue "meditazioni delle vette", il suo amore per l'alpinismo e la montagna come esperienza interiore. E proprio questa visione ha alimentato e formato generazioni di appassionati "alla ricerca". Non si contano - ancora oggi - i gruppi di escursionismo che nascono a destra, e tutti con alla base una visione della montagna come cammino e come maestra di dedizione, rispetto e disciplina. Una passione, siamo certi, che da adesso avrà un altro punto di riferimento che di nome fa Walter Bonatti. Che si trova adesso giusto un po' più in alto delle sue amate vette.
Antonio Rapisarda
1 commento:
ci piace!!!sempre efficace e accattivante...
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