Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 22 novembre 2011
«Il calcio oggi è sempre più un'industria, e sempre meno un gioco». Zdenek Zeman è la coscienza critica dell'universo pallonaro italiano. L'allenatore boemo adesso è alla guida del Pescara e allo stadio "Adriatico" va in scena ogni domenica uno estatica esibizione che unisce schemi offensivi estremi a ritmi forsennati. La novità del campionato in corso, è costituita da una difesa, ben ordinata e difficilmente perforabile. Mentre "Zde" sorprende i soliti detrattori con un modello più attento che in passato alla protezione della propria porta e con "punteros" travolgenti come Ciro Immobile e Lorenzo Insigne, sui banchi delle librerie è arrivato il cofanetto curato da Giuseppe Sansonna Il ritorno di Zeman (libro e due dvd, 18,90, minimum fax): documentari e reportage scritto si integrano per definire un caposaldo della narrazione delle gesta sportive di un allenatore unico nel suo genere.
L'autore, esperto cinematografico già collaboratore di "Fuori Orario" di Rai Tre, firma de il manifesto, è un giovane barese corroso dalla passione per la versione dauna del calcio totale, travolto dalla curiosità per una interpretazione dei novanta minuti secondo una filosofia che mette al di sopra dell'utile, del risultato, la prestazione, lo spettacolo, la definizione di geometrie e l'esecuzione di schemi provati e riprovati in allenamento. L'opera di Sansonna ha liberato Zeman da ogni pregiudizio, sostanziando la sua scelta anticonformista con battute, fotografie e rumorosissimi silenzi. Il circo che si muove con l'allenatore praghese diventa così un contesto nel quale può risaltare un'etica differente, nella quale lo spettacolo non è solo rappresentazione ma epilogo di una sperimentazione culturale.
Il settimanale della Rosea, "Sport Week", ha dedicato la copertina all'allenatore degli abruzzesi. Titolo? "Il ribelle", con Zdenek in bianco e nero, mani nei jeans e giubbotto di pelle. Semplice, sobrio, eppure sembra un attore di grido. Alternativo ai dogmi della società dei consumi. Sansonna traccia un collegamento tra l'approccio zemaniano e i ludi romani, «berlusconismo inteso come divertimento, ma con tutt'altra consapevolezza: il tecnico ceko è contro i sotterfugi, i piccoli imbrogli». Insomma è ostile a quella degenerazione borghese che baratta il genio italico sostanziato da fatica e creatività per la via più breve della spintarella e della raccomandazione. «Se arrivo ultimo, ma ho migliorato i miei giocatori, come allenatore ho vinto»: il credo di "Zemanlandia" è questo. «So che sono sempre stato per la meritocrazia, e mi dava fastidio vedere che si andava avanti grazie a una tessera»: dalla memoria dell'infanzia nella Cecoslovacchia emerge non solo la distanza dal regime comunista del tempo, ma anche un filo rosso che resta una costante della sua esistenza: la costruzione del successo grazie all'impegno e al sacrificio.
Il piccolo saggio di Sansonna si intitola Due o tre cose che so su di lui: un ritratto a tinte cinematografiche come nelle corde dello scrittore. Così il giornalista della Rai che decanta le avventure del Foggia negli anni Ottanta-Novanta, Franco Strippoli, diventa "la matrice ctonia" di Frengo, cult di Antonio Albanese in Mai dire gol, Don Pasquale Casillo, presidente del club rossonero, un "villain" uscito da un film di Martin Scorsese… È frutto di ricerca e ascolto. Sembra quasi scritto da un osservatore discreto, che dal taschino della tuta di Zeman, offre un racconto in presa diretta. Pieno di aneddoti. Come gli albori da procuratore di Mino Raiola, cameriere ad Haarlem, che mediò tra il Foggia e l'Ajax, portando in Puglia l'attaccante Brian Roy ad un prezzo stracciato. «Vent'anni fa era solo un ragazzetto obeso - racconta Casillo dell'attuale manager di Ibra - Mi supplicava di fare un giretto sulla mia Ferrari. "Se riesci a entrarci, grasso come sei, lo puoi fare", lo sfidai. Ci riuscì, ma lo dovemmo disincastrare a forza».
Da Baiano, Rambaudi e Signori a Sau, Kone, Insigne e Immobile. Il salto generazionale è fatto. Il Foggia dello scorso campionato in Lega Pro e il Pescara rivelazione nell'ultimo torneo cadetto sono, grazie a Zeman, fabbriche di talenti, antiche officine dove si pratica un calcio che profuma di sudore e dove il verde è quello dell'erba e non del denaro di carta. «Ma Zeman non è Pasolini, né Giordano Bruno. Spesso - scrive Sansonna - si esprime per tautologie. Sono l'ipocrisia e la vacuità del mondo calcistico a rendere deflagranti le sue parole. A travestirlo da profeta. Più che un moto deresponsabilizzante, da adorare acriticamente, vorrebbe essere un esempio. (…) Animato da un'utopia semplice, molto concreta, vive il calcio come uno sport da giocare con lealtà, dando l'anima fino al fischio finale. Educare e divertire, i suoi imperativi morali, dal vago retrogusto sovietico. In realtà, nella prassi consolidata dell'Italia pedatoria, la gestione del risultato, corredata da ostruzionismi più o meno smaccati, è fondamentale. Un riflesso del "more italico" fin troppo ovvio. Un concetto ripugnante per le orecchie boeme».
La parabola sportiva del ceko, in conclusione, diventa come una immagine firmata da Banksy, potenzialmente - anche grazie a studi e approfondimenti come quello di Sansonna - una icona globale di "un altro calcio possibile", per il quale torna davvero la voglia di andare a sedersi sulle gradinate. Con il sole o con la pioggia. Perché c'è uno spettacolo meraviglioso con cui rigenerarsi lo spirito.
Michele De Feudis
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