Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 6 dicembre 2011
Come un eroe omerico, ogni calciatore ha sempre un punto debole. Socrates, soprannominato "Il Dottore", amava bere e fumava pacchetti interi di sigarette. Al pari di Gazza Gascoigne e prima ancora di George Best, ha demolito la sua salute con boccali di birra. È, morto domenica a San Paolo. Del genio irlandese ci resta una massima perfetta per spiegare una vita spericolata: «Ho speso molti soldi in alcool, donne e auto veloci. Il resto l'ho sperperato». Brasileiro Sampaio Socrates, questo il suo nome all'anagrafe, invece, verrà ricordato come una icona filosofica nell'universo pallonaro.
In Italia non sfondò
Era il capitano del Brasile disintegrato dall'Italia di Bearzot nei mondiali di Spagna 1982. Finì 3-2 per gli azzurri, Socrates segnò anche un gol (quello dell'1-1), e i club italiani fecero incetta nelle fila verde-oro. Arrivarono nel Belpaese Cerezo, Zico, Junior, Dirceu. "Il Dottore" si accasò a Firenze, ma in viola visse una stagione da dimenticare, il campionato 1984/85 e non a caso, l'esperto di flop di mercato, Furio Zara del Corriere dello Sport, lo inserì nella Treccani degli acquisti falliti, l'enciclopedia "Bidoni". «Ha un bel tocco, però è un trottapiano»: anche Gianni Brera lo bocciò senza giri di parole. In effetti era poco agile, alto un metro e novantadue. La sua specialità, il colpo di tacco, nasceva dalla difficoltà di girarsi per fare sponda ai compagni, e in Brasile gli riusciva benissimo. Da noi non brillò mai, il "Tacco di Dio" si rivelò una chimera: litigò con il boss dello spogliatoio, l'argentino Passarella, e soffrì molto l'intensità degli allenamenti nostrani. «In Italia ero triste, stavo male. Sbagliai a lasciare il Brasile». Rientrò in Sudamerica. Giocò nel Santos e nel Flamengo. Smise nel 1988, ma nel 2004 ritornò a calpestare i campi di gioco: allenatore-giocatore del Garforth Town, club dilettantistico inglese.
La passione politica
Fu chiamato anche il "Dottor Guevara" del calcio. Il suo destino era già nel nome, impegnativo per un calciatore. Era laureato in Medicina e si schierò giovanissimo in prima linea contro la dittatura militare del tempo, al fianco di un sindacalista passionale, un certo Luiz Inàcio Lula da Silva, che in politica farà strada fino alla presidenza della Repubblica. In Toscana si presentò con una barba da guerrigliero cubano e mise subito in chiaro che tra le sue letture c'era anche Antonio Gramsci. Il senso comune dei tifosi non lo risparmio e si guadagnò l'ennesimo soprannome, quello di "miliardario rosso".
Democracia Corinthiana
Alla gerarchizzazione tipica delle squadre di calcio, Socrates rispose con una visione alternativa, postulando la condivisione delle scelte tra calciatori, allenatore e club. Nacque allora il mito nel Corinthians di San Paolo, della "Democracia Corinthiana", praticata dando potere ai giocatori, con allenamenti autogestiti, formazione concertata, niente ritiri, scelte societarie discusse con tutte le componenti della società. Addirittura nel 1982 la squadra di Socrates indossò la maglia con la scritta "Andate a votare", per spingere i militari a concedere libere elezioni. L'utopia al potere? No, nello spogliatoio.
La carriera nei media
Appese le scarpette al chiodo definitivamente, si trasferì a Ribeirao Preto, la città del suo primo club da professionista, nello Stato di San Paolo, una sorta di California brasiliana. Aveva una rubrica sul quotidiano Agorà, presentava un programma su Tv Thathi. «S'intitola Papo com o Doutor ("Conversazioni col Dottore") e parlo di attualità», raccontò in una intervista. «Rispondo a domande, intervisto personaggi. Tra gli ultimi Chico Buarque de Hollanda (re della bossa nova n.d.r.). Sport poco, il "futebol" di oggi non mi piace, è troppo fisico e violento». Ma aveva anche altre passioni: «Scrivo canzoni e "pièces" teatrali, sto girando il film autobiografico, Socrates Brasileiro, faccio parte di un cineclub. Ho ultimato un libro, Futebol e filosofia. Ho scritto che per migliorare la qualità del calcio bisogna ridurre gli interpreti. In campo 11 per squadra sono troppi, è ora di giocare 9 contro 9». Rivoluzionario fino alla fine.
Testimone di un calcio antico
Lungagnone, filosofo, ribelle con la sigaretta in bocca tra un allenamento e l'altro. L'irregolarità di Socrates è un tributo al novecento, come le inquietudini di tanti campioni ribelli, adesso sempre più rare. Il sistema dell'attuale "calcio moderno", tutto calibrato sulla fisicità e sull'agonismo, non consente agli atleti di concedersi più libertà di questo genere. Salvo finire rapidamente nel dimenticatoio, o scivolare verso club minori, nel momento in cui le prestazioni fisiche non sono al top. Lo rimpiangeremo anche per questo.
Michele De Feudis
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