Dal Secolo d'Italia del 5 dicembre 2011
Meglio il libro o il film? Non capita spesso che un lettore si dica soddisfatto nel vedere la trasposizione cinematografica di un romanzo particolarmente amato. Altrettanto difficile, però, è misurarsi con personaggi di carta e inchiostro che sul grande schermo sono stati interpretati da attori del calibro di Humphrey Bogart. Impossibile leggere Il colosso d’argilla di Budd Schulberg – romanzo appena ripubblicato dalla casa editrice romana 66thand2nd (pp. 411, € 20) nella traduzione di Giuliano Boraso – senza ripensare all’inconfondibile carisma del mitico Bogey nell’omonima pellicola del 1956. Il suo ultimo film: se nel gennaio 1957 Bogart muore, Eddie Lewis, il personaggio del giornalista cinico ma non al punto di rinunciare a un personale senso dell’onore, avrà per sempre la sua faccia.
Eddie è un aspirante scrittore, ma per vivere si adatta a lavorare per lo spregiudicato Nick Latka, metà gangster e metà manager sportivo: suo il compito di trasformare El Toro Molina, «il colosso delle Ande», pugile argentino senza talento – d’argilla, per l’appunto – nel fenomeno mediatico degli anni Trenta. Nessuno scrupolo. Tutto è lecito, anche truccare gli incontri. Non c’è traccia di retorica, la nobile arte è sequestrata dai corruttori. «Se l’equitazione è lo sport dei nobili, la boxe appartiene a quelli che per sopravvivere devono combattere», scrive Schulberg, scrittore newyorkese scomparso nel 2009 che sembra scrutare il mondo della boxe americana dal buco della serratura. Eddie, però, capisce che in gioco non c’è soltanto il titolo o la sua parte di bottino, ma qualcosa di più importante: la dignità.
Un j’accuse «sull’adorazione americana per quella Dea puttana che è il successo» e sul potere di mistificazione dei mezzi di comunicazione di massa. Il romanzo, la cui edizione Garzanti del 1957 era ormai introvabile, si conferma non meno appassionante del film. Schulberg, del resto, oltre che giornalista sportivo e documentarista di guerra, è stato anche un autore autentico. Sellerio editore, dopo aver tradotto Perché corre Sammy? e I disincantati, ispirato a Francis Scott Fitzgerald, lo scorso agosto ha pubblicato Fronte del porto, la sceneggiatura con cui ha vinto il premio Oscar. Il protagonista della pellicola diretta da Elia Kazan è un (ex) pugile: Terry Malloy, interpretato da Marlon Brando, dopo aver provocato involontariamente la morte di un operaio, denuncia la sua gang e si schiera con i lavoratori. Un’occasione per rileggere anche questo classico.
Roberto Alfatti Appetiti
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