Articolo di Mario Bernardi Guardi
Dal Secolo d'Italia del 15 gennaio 2012
Come eravamo? Sicuramente antiamericani. Noi, postfascisti, movimentisti, sessantottini neri, "neodestri" al di là della destra e della sinistra, eravamo antiamericani. Rivendicavamo la "sovranità" italiana ed europea, ci sentivamo "terzaforzisti", non credevamo a una sorta di diritto yankee ad intervenire in questa o in quell'altra area del mondo in nome della libertà, della democrazia e del progresso, provavamo un senso di insofferenza di fronte all'immagine del "liberatore" simpatico, sorridente e generoso.
L'anticomunismo non significava che dovessimo stamparci in fronte e nel cuore la bandiera a stelle e strisce. Non ci piaceva la guerra nel Vietnam, non ci piacevano i "berretti verdi", non ci piaceva John Wayne nelle vesti di Capitan America.
Il partito di riferimento - il Movimento Sociale Italiano - tifava Nixon? Il giornale di riferimento - il Secolo d'Italia - idem? Noi dell'Orologio, noi che avremmo sperato che il nostro mondo prendesse in mano la bandiera della rivolta generazionale e del riscatto europeo, no, non ci stavamo.
L'ufficialità missina ci guardava con compatimento: poveri studentelli velleitari incapaci di fare i conti con il duro realismo della politica estera e della divisione del mondo in blocchi…
Non c'era proprio nulla da fare. Si trattava di un dialogo tra sordi. Eppure eravamo noi, spesso non iscritti e fortemente polemici con il partito, i missini doc. Perché il Movimento era nato con quel bel volto italiano, europeo, mediterraneo e aperto a tutti i combattenti per la liberazione nazionale (quella vera!), dovunque si trovassero, che noi gli volevamo restituire. Il nostro antiamericanismo terzaforzista non era un'utopia fasciocomunista ma il contrassegno del Msi delle origini. Nei suoi esponenti più convinti e appassionati.
Forse sognavamo? Forse dicevamo delle balle? Bè, di sicuro la cosiddetta "realtà" era un po' più complessa di come ce la figuravamo. E oggi se scaviamo nei materiali contenuti in saggi come Cinquant'anni di nostalgia di Marco Tarchi e Antonio Carioti (Rizzoli, 1995), Dal Msi ad An. Organizzazione e strategie di Marco Tarchi (Il Mulino, 1997), Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948 di Giuseppe Parlato (Il Mulino, 2006), quanto meno dobbiamo chiederci: la scelta anticomunista, atlantica, moderata ecc. era o era comunque destinata a diventare la "ragione costitutiva" del Msi alla fine degli anni Quaranta? Insomma, stava nella "forza delle cose"? C'era spazio per una Italia e una Europa che prendessero le distanze dagli Usa senza finire nella sfera d'influenza sovietica?
Si tratta di interrogativi, per dir così, "laceranti", ma ce li dobbiamo porre non solo per onestà, ma per la benedetta faccenda di quella "identità" che oggi più che mai inseguiamo in uno scenario come l'attuale in cui le eterne "ragioni" yankee e quelle nuovissime della globalizzazione sembra che abbiano espropriato Italia ed Europa da ogni diritto a una politica estera.
In ogni caso, per tornare al "nostro ambiente" e, se vogliamo, all'amaro dibattito sulla sua "deriva", saggi di ricognizione/ricostruzione/messa a fuoco e a punto come quelli che abbiamo citato hanno un indubbio valore. E un eccellente contributo esplorativo viene anche da uno studio di Luca Tedesco, pubblicato sull'ultimo numero di Nuova Storia Contemporanea dal titolo "L'antiamericanismo neofascista delle origini. 1945-1954").
Tedesco ci (di)mostra chiaramente che in quei dieci anni "militanti" anticapitalismo, antiamericanismo, terzaforzismo non erano appannaggio di correnti marginali ma avevano nel partito ampia rappresentazione. Anzi, inizialmente, pur all'interno di un acceso dibattito, la linea prevalente del Msi, insieme a un vigoroso anticonservatorismo e a una ardente vocazione "sociale", appariva quella dell'"equidistanza" dal Blocco Urss e da quello Usa. Di congresso in congresso, però, le varie correnti dell'antiamericanismo neofascista sarebbero state emarginate e «l'antiamericanismo sarebbe stato sostituito dall'anticomunismo e dall'atlantismo debole o addirittura negato si sarebbe passati a quello forte». Una conversione dettata da motivi "pratici" quella del Msi? Una sorta di "atto dovuto" e compiuto non per ragioni ideologiche ma «in base al principio del male minore, stante la capacità e la volontà degli Usa di garantire la sopravvivenza economica dell'Italia e la sua difesa militare»? Una scelta di campo che all'inizio chiede contropartite che garantiscano l'integrità del nostro territorio, ma che alla fine, senza ottenere nulla, diventa convinta opzione antisovietica e antineutralista?
Tedesco ci racconta un mondo ribollente di idee, passioni, tensioni. Ricostruisce dibattiti incandescenti su testate come La Rivolta Ideale, Asso di Bastoni, Rosso e Nero; pagine in cui si sottolinea che bisogna alzare la bandiera della "terza forza", quella dell'idea europea che non deve subìre né gli «isterismi fanciulleschi dell'America» né «le esigenze marxiste di Mosca». Tedesco evoca infine nomi di polemisti come Concetto Pettinato, Giorgio Pini, Stanis Ruinas, insieme a quelli di "padri fondatori" come Giorgio Almirante, Pino Romualdi, Augusto De Marsanich, Arturo Michelini… Rerstituisce l'idea di un mondo vivo, dove la dialettica, anche aspra, era all'ordine del giorno.
No, non siamo "figli di un dio minore". Di sicuro, antiamericani o filoamericani, "qualcosa" eravamo, tra confronti/scontri effervescenti e scelte sanguinanti. Ora, e con tutta l'enfasi del caso, dove sono i nostri "dèi"? E chi sono? Se preferite: sappiamo bene da dove veniamo. Dove andiamo, no.
Mario Bernardi Guardi
1 commento:
Quel che ricorda M.B.Guardi è sacrosanto. Io ho vissuto due anni universitari nella Pisa sessantottina e post e ho trovato molti destri terzaforzisti. L'ho poi riportato nel mio romanzo che, guarda caso, ha come sottotitolo "Rouge et Noir". Riporto qui solo un breve stralcio (Lorenzo è uno dei protagonisti principali, il destro-mix. C'è poi una gauchiste-mix...) per confermare l'assunto:
Così in alto, così in basso. In terza posizione. Antesignano del movimentismo giovanile di destra anni ’70 – e post –, di quel gran coagulo di stelle filanti, ferventi e frementi, anelanti (e adelanti) il comunitarismo libertario e l’individualismo anarchico. Galassia antropologicamente colorata, (dis)articolata e (dis)ordinata: tante destre quanti erano i giovani di destra.
Il ‘68 …non solo comunista. Anche fascista. Il diavolo e l'acqua santa, il rosso e il nero. Rozzo ma sincero. Vero. Paradossale, stendhaliano, ma solo fino a un certo punto. Back in Black. Lorenzo aveva scoperto un ‘fascismo’ nuovo. Diverso dalla destra con la forfora (fosse solo questo: “le loro giacche dai colori ridicoli, le cravatte, Dio, che cravatte… le scarpe con la para, la forfora…”), quella ben spazzolata (più di cento colpi…) da Stenio Solinas (“Mai un briciolo di grandezza, mai una scintilla di follia, mai il piacere per le cose belle, sempre per le cose ‘comode’, lo svaccamento in casa nei giorni festivi, il lavaggio della macchina, lui in tuta, lei anche, con in più le pantofole… il mediocre limbo dei borghesi che pensano che questo sia il paradiso.”). Detto poi dal ‘destro’ Stenio, quello per cui: “La cultura del piagnisteo è sempre stata di sinistra”…
Una destra di lotta e di idee, contrapposta alla destra d'ordine e di governo. D’élite ma anche sociale, conservatrice ma pure anarchica, reazionaria ma pronta alla rivoluzione. Anche qui figli contro i padri, fiori (di zucca) contro i cannoni… Una meta-destra metà a sinistra (diciamo pure, trans…). E poi, al calor bianco, nel suo tour ‘iniziatico’ alla Thor Lorenzo aveva scoperto anche un nero (di pelle) tra i fascisti (un eritreo)…
Nicola Perchiazzi - Dal caos la stella danzante
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