Dal Secolo d'Italia del 18 febbraio 2012
Il vento del nuovo fumetto europeo soffia dai Pirenei. Che la “scuola” spagnola non abbia niente da invidiare a quelle franco-belga e italiana, lo conferma il successo, di critica e di pubblico, che nel nostro paese stanno riscuotendo i lavori di Paco Roca (Valencia, 1969). Il prossimo arriverà nelle nostre librerie il 24 febbraio: Emotional World Tour, graphic novel realizzato in collaborazione con Miguel Gallardo in cui i due autori spagnoli raccontano il “tour” di presentazioni delle opere precedenti.
A pubblicarlo è Tunué, editori dell’Immaginario, casa editrice che ha già all’attivo altri quattro volumi di Roca: Il faro (2007), Rughe (2008), Le strade di sabbia (2009) e L’inverno del disegnatore (2011).
Affrontare temi difficili con lo strumento del fumetto è compito tutt’altro che facile, tanto più se ci si vuole rivolgere a un pubblico che non sia composto solo da addetti ai lavori e lettori abituali. Rughe ha superato di slancio tale confine. Salutata come una delle opere migliori del fumetto contemporaneo, è diventata un film d’animazione con ambizioni da Oscar. Diretta da Ignacio Ferreras, la pellicola sarà presentata in anteprima al Future Film Festival in programma dal 27 marzo al 1 aprile a Bologna. Il protagonista non è un supereroe anche se l’impresa con cui si misura è tra le più impegnative: difendere la propria memoria dagli assalti di una delle malattie più feroci, l’Alzheimer. Emilio, ex direttore di banca non si arrende all’inesorabile avanzata del morbo e trasforma la clinica in cui è ricoverato in un campo di battaglia. Piccole, ma essenziali, le vittorie: ricordi strappati all’oblio e autonomia nel vestirsi e nel mangiare.
Iscritti d’ufficio nel “fumetto sociale”, i lavori di Roca non rinunciano all’ironia necessaria a far sì che la riflessione possa conciliarsi con l’umorismo. Allo stesso modo, ne L’inverno del disegnatore, coniugando linguaggio poetico e meticolosità da “storico”, l’autore ci guida in un viaggio nel tempo alla riscoperta di una realtà fumettistica colpevolmente trascurata nel nostro paese: quella dei “giornalini” spagnoli degli anni Cinquanta, collezioni e riviste che vendevano oltre 100mila copie, animate da personaggi come Anacleto, Mortadelo, Zipi y Zape, El Cachorro e Capitan Trueno che, pur avendo avuto poca fortuna da noi, restano dei classici del fumetto mondiale. Ambientato nel periodo franchista, il romanzo a fumetti di Roca racconta una storia vera: “l’epopea” di un gruppo di disegnatori che si ribellò contro il proprio datore di lavoro – la Editorial Bruguer, fondata a Barcellona tra il 1910 e il 1912 da Juan Bruguera con il nome di El Gato Negro – che negava ai suoi autori ogni elementare diritto d’autore. Pagati “a cottimo”, ricevevano un più o meno dignitoso stipendio: un vero e proprio inquadramento impiegatizio. «Erano considerati – ha spiegato Roca – “operai della vignetta” piuttosto che artisti». Eppure parliamo di straordinari disegnatori, dalle cui matite sono nati Carioco, Tribulete, Carpanta, l’ispettore Dan o Don Pío. Alcuni autori erano cresciuti durante la Repubblica. Tutti avevano vissuto la Guerra civile. Chi da una parte, chi dall’altra.
Nel 1957, Carlos Conti, Guillermo Cifré, Josep Escobar, Eugenio Ciner e José Peñarroya, decisero di osare: abbandonarono un lavoro stabile per fondare una rivista indipendente, Tío Vivo, schierata in aperta concorrenza diretta con gli ex padroni della Bruguera, la principale corazzata della cultura popolare spagnola. Un’impresa degna del conterraneo Don Chisciotte. Una sfida persa in partenza. Al sogno di diventare editori di se stessi, di dare libero sfogo alla propria creatività e soprattutto di vederla riconosciuta, seguirà dopo pochi mesi il brusco risveglio della realtà: la rivista fallisce (sarà rilevata proprio da Bruguera) e i ribelli torneranno a casa, non prima di passare le forche caudine.
Il racconto riesce a essere avvincente senza servirsi di effetti speciali, affidandosi alla (fedele) caratterizzazione dei personaggi e a un sapiente uso dei colori per uno sfondo che muta con le “stagioni”: se la primavera delle idee è rosa, l’estate delle speranze si accende di giallo e l’azzurro segna il freddo inverno della disillusione del disegnatore. Un inverno talmente lungo da protrarsi fino a metà degli anni Ottanta, quando i disegnatori Ibañez ed Escobar – l’unico ancora vivo allora degli autori di Tío Vivo – poterono finalmente recuperare i diritti sui loro personaggi.
«Quello di cui voglio parlare ne L’inverno del disegnatore – ha spiegato Roca – è in realtà il tema universale quanto attuale dei diritti d’autore. Viviamo tempi di cambiamento con le autoproduzioni e internet, ma gli autori – avverte l’artista spagnolo – devono stare attenti affinché non si torni in un nuovo “inverno del disegnatore”». Certi editori, purtroppo, a volte sono meri tipografi, interessati più a fare cassa che a fare arte. E non soltanto in Italia.
Anzi, «la legge italiana sul fumetto d’autore, approvata nel 1941, un anno dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, era moderna e avanzata». Lo puntualizza nella prefazione al libro Carlo Chendi (Ferrara, 1933), sceneggiatore di fumetti dal 1952, il più prolifico autore della Disney. È lui a sottolineare il ruolo avuto da Mussolini. «Si dice che tale legge fosse stata voluta nientemeno che da Benito Mussolini, il quale, quando ancora faceva il giornalista, aveva visto suoi scritti ristampati e ripubblicati qua e là da vari editori che mai gli avevano versato i compensi dovuti e quindi conosceva bene i problemi degli autori».
I fumetti, tuttavia, hanno conosciuto uno sviluppo significativo solo a partire dai primi anni Cinquanta e nella legge non vengono menzionati. Né le successive modifiche hanno apportato riferimenti diretti alle nuvole parlanti, la cui tutela, pertanto, rimane solo indiretta. Come se non si trattasse a pieno titolo di opera d’ingegno al pari di letteratura e musica. Le questioni poste da L’inverno del disegnatore, a ben vedere, restano irrisolte, così come l’autore è ancora l’anello debole della catena editoriale, parte soccombente in un rapporto conflittuale. Cercare di far valere le proprie ragioni, infatti, può comportare la cessazione della collaborazione. Per questo in tanti hanno continuato e continuano a battersi per il diritto d’autore nel fumetto. Ivo Milazzo, papà di Ken Parker, oltre ad aver affidato a una pattuglia bipartisan di parlamentari una proposta di legge di modifica attualmente all’esame della Camera, si è fatto promotore di un’associazione di categoria che comprenda gli illustratori. Emiliano Mammucari, tra i migliori giovani copertinisti italiani, pochi mesi fa ha pubblicato un agile manualetto edito da Effequ – Lezioni spirituali per giovani fumettari (titolo liberamente ispirato ai samurai di Yukio Mishima) – in cui offre preziosi consigli a coloro che si avvicinano alla più precaria delle professioni e che troppo spesso cedono ogni diritto sulle proprie opere pur di ricevere un compenso o, peggio, pur di vedere pubblicati i loro lavori.
Una guida altrettanto utile, corredata da contributi di esperti del settore, documenti fac-simile di contratti di edizione e ampia appendice normativa, è il recente Il diritto d’autore nelle opere a fumetti di Salvatore Primiceri. Il talento, senza consapevolezza, non è sufficiente. «Il nostro – scrive Carlo Chendi citando François Corteggiani – è un mestiere ricco di soddisfazioni, quello dell’editore è ricco e basta». Con meritorie eccezioni. «La casa editrice più virtuosa nei confronti degli autori – sottolinea il fumettista ferrarese – è la Sergio Bonelli editore».
Roberto Alfatti Appetiti
1 commento:
DIre che il mestiere dell'editore sia "ricco e basta" mi pare una boutade,e non una riflessione fondata. Basta fare un giro a Più Libri, più Liberi il salone della piccola editoria chesi svolge da anni a roma, o parlare direttamente con i vari editori di fumetti alle mostre, per capire che non è vero che l'editore sia un ricco sfruttatore, che ruba i sogni ai poveri piccoli autori, ingenui e sprovveduti. spessissimo gli editori (parlo dei piccoli, che rischiano in proprio, non degli impiegati dei grandi gruppi editoriali, che "giocano" con i soldi degli altri) sono quelli che ci rimettono di tasca propria, e che ti posso assicurare ricchi non diventano. Non si possono paragonare la Walt Disney e un editore piccolo che mette i propri soldi in progetti dall'alto valore culturale, ma dagli scarsi risultati. Le parole di Chendi sugli editori ricchi e basta risentono del suo rapporto conflittuale con la Walt Disney, ma non rendono giustizia alla realtà dei piccoli editori di fumetti.
Alessandro Bottero
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