Dal Secolo d'Italia del 25 febbraio 2012
Tangentopoli? Boh. No, non è omertà. È ignoranza. Gli studenti, intervistati alla radio, cadono dalle nuvole. La maggior parte, per non dire tutti. Balbettano con la stessa zoppicante disinvoltura con cui affronterebbero un esame, sia pure complementare. Infine si giustificano: non è materia di studio, sui testi non c’è. Oppure: è passato molto tempo…
Vent’anni, indubbiamente, non sono pochi. Neanche troppi, però, per una rivoluzione che all’epoca venne salutata da un robusto sostegno popolare. Morbida, tradita, dimenticata, a parte il siparietto del revival, gli instant book confezionati per la ricorrenza: foto e ritagli di giornale con l’immancabile cofanetto. Dall’edicola allo scaffale nobile della libreria nel soggiorno, senza passare per l’immaginario collettivo. Perché, pur avendo spazzato via i partiti tradizionali e rimescolato le carte della politica, Tangentopoli non si è radicata nella memoria condivisa e la “fabbrica” culturale sembra averla sepolta senza rimpianti. Una civiltà scomparsa prima ancora di passare sotto i raggi X del “revisionismo”. La gogna mediatica cui l’indagato veniva sottoposto, salvo poi ritrovarsi assolto dopo anni di comprensibili sofferenze. La carcerazione usata per estorcere confessioni. La pubblicazione dei verbali degli interrogatori. Qualcosa di più della mera cronaca giudiziaria: arresti, suicidi, morti misteriose, colpi di scena a non finire. E personaggi, taluni di spessore, per certi versi affascinanti, come Primo Greganti e Raul Gardini. Materiale prezioso per produrre film, romanzi e fumetti in quantità industriale. Senza neanche affannarsi a scrivere sceneggiature, sarebbe stato sufficiente condire gli atti dei processi, già rigogliosi.
Vent’anni, indubbiamente, non sono pochi. Neanche troppi, però, per una rivoluzione che all’epoca venne salutata da un robusto sostegno popolare. Morbida, tradita, dimenticata, a parte il siparietto del revival, gli instant book confezionati per la ricorrenza: foto e ritagli di giornale con l’immancabile cofanetto. Dall’edicola allo scaffale nobile della libreria nel soggiorno, senza passare per l’immaginario collettivo. Perché, pur avendo spazzato via i partiti tradizionali e rimescolato le carte della politica, Tangentopoli non si è radicata nella memoria condivisa e la “fabbrica” culturale sembra averla sepolta senza rimpianti. Una civiltà scomparsa prima ancora di passare sotto i raggi X del “revisionismo”. La gogna mediatica cui l’indagato veniva sottoposto, salvo poi ritrovarsi assolto dopo anni di comprensibili sofferenze. La carcerazione usata per estorcere confessioni. La pubblicazione dei verbali degli interrogatori. Qualcosa di più della mera cronaca giudiziaria: arresti, suicidi, morti misteriose, colpi di scena a non finire. E personaggi, taluni di spessore, per certi versi affascinanti, come Primo Greganti e Raul Gardini. Materiale prezioso per produrre film, romanzi e fumetti in quantità industriale. Senza neanche affannarsi a scrivere sceneggiature, sarebbe stato sufficiente condire gli atti dei processi, già rigogliosi.
Invece sul grande schermo, malgrado Il portaborse (1991) avesse addirittura anticipato di qualche mese la deflagrazione degli scandali, è arrivato poco. Solo dichiarazioni d’intenti. Marco Bellocchio aveva annunciato un cineracconto su Bettino Craxi: «L’Italia di Tangentopoli potrebbe essere molto interessante da sviscerare. Per cui si tratta di capire, di riflettere e di pensare, prima di mettere a punto un lavoro su una fase molto delicata della storia italiana più recente». Evidentemente sta ancora riflettendo. Giuseppe Ferrara aveva già pronto il titolo: Mani pulite. Marco Campogiani, pare, avrebbe titolato la pellicola Tangentopoli e persino convinto Antonio Di Pietro a fare un cameo.
Silenzio spezzato da Sky che, proprio in occasione del ventennale, lo scorso 17 febbraio – data in cui Mario Chiesa venne arrestato e che gli “storici” hanno scelto come genesi – ha annunciato una miniserie dal titolo 1992. Ideata da Stefano Accorsi, si sviluppa in dieci episodi, in ognuno dei quali le vicende individuali di persone comuni s’incroceranno con quella collettiva dell’inchiesta. Uno per ognuno dei mesi di quell’anno. Sino all’atto finale: il 15 dicembre, l’avviso di garanzia al segretario socialista. Per il resto, documentari, memoriali e saggi sedimentano uno sull’altro. Citati, branditi, quasi mai letti. Alcuni autoassolutori, altri apologetici.
Rare, al riguardo, come ha sottolineato la scorsa settimana il sito online del Tg3 (Comics), anche le pubblicazioni a fumetti. Eppure il primo iscritto nel registro degli indagati, pochi lo ricordano, è stato Paolino Paperino. Nell’albo dell’aprile 1988, intitolato Paperino Portaborse, brucia sul tempo persino Luciano Sandulli/Silvio Orlando, il professore di lettere che, nel richiamato film di Luchetti, lascia la cattedra per portare la borsa dell’onorevole Cesare Botero, il ministro delle partecipazioni statali interpretato da Nanni Moretti. Non a caso, del resto, il nome Tangentopoli fa il verso a Topolinia e Paperopoli, luoghi dell’immaginario fumettistico. A coniarlo fu Piero Colaprico in un articolo scritto verso la fine del 1991: «La prima volta lo impiegai per raccontare un piccolo scandalo cittadino. C’era uno dei funzionari dell’assessorato all’Edilizia – ha raccontato il giornalista de la Repubblica – che al mattino negava permessi e licenze, ma al pomeriggio, grazie al pagamento di una modesta parcella per rifare la pratica, i no diventavano sì. Quando venne catturato, mi sembrò una storia alla Paperino dei fumetti di Walt Disney. Paperino-Paperopoli, tangenti-Tangentopoli».
Qualche anno prima, personaggi disneyani e politica si erano già incontrati: nel 1987 le Giovani Marmotte erano state ricevute (nella fiction delle nuvole parlanti) dall’allora ministro Francesco De Lorenzo, successivamente tra i “protagonisti” di Tangentopoli. Motivi di opportunità consigliarono di evitare altri “incontri”. Allergico a ogni moderazione, Luciano Secchi, in arte Max Bunker, nei primi anni Novanta lasciò che il sentimento manipulista attraversasse gli albi del suo Alan Ford. «I suo personaggi – come ha ricordato recentemente Vittorio Zincone su Sette – si aggiravano per le tavole gridando “À nous la liberté». Nella primavera del 1993 a scendere su carta è Er giudice de pietra di Giuseppe Palumbo, versione trash celodurista del giudice in lotta contro la corruzione dilagante.
Ancor più spregiudicato, Renzo Barbieri, l’indimenticato maestro del giornalismo popolare di destra scomparso nel 2007. Tra le mille fortunate iniziative editoriali, nel gennaio 1994 dà alle stampe un’irriverente parodia a fumetti, un episodio completo sullo scandalo delle tangenti disegnato da Massimo Pesce: Tangentopolis e i 40mila ladroni. Sull’identità del protagonista non c’è dubbio: Tonino Di Scoglio è Di Pietro, peraltro ben evidenziato sulla copertina. Gherardo Colombo è Tortorella. Mario Chiesa è Cattedrale. Ficchitteri è l’ex sindaco Paolo Pillitteri. Ladrini è Silvano Larini, ribattezzato poco amichevolmente “Silvio Ladrini”, ritratto su uno yacth in compagnia di avvenenti ragazze, rigorosamente seminude.
«Volevo colpire i politici cialtroni nei loro lati più deboli – ebbe a spiegare l’editore – e per raccogliere pettegolezzi e indiscrezioni, piuttosto che recarmi a Palazzo Marino o in tribunale, feci il giro dei ristoranti milanesi di cui i tangentisti erano clienti rubando battute ai camerieri». La linea editoriale, a scanso di equivoci, è resa esplicitamente nelle prime pagine: «Per raccontare Tangentopoli e le sue nefandezze sarebbe necessario riempire decine e decine di volumi. I cialtroni che ci hanno governato, molti dei quali siedono ancora in Parlamento, sono una massa. Si tratta di episodi veritieri che i cialtroni, certi della propria impunità, si confidavano l’un l’altro tra un pranzo al Savini e una vacanza ai Tropici. Ci auguriamo che ciascuno di essi becchi quindici anni di galera dura, senza sconti, così non potrà godere i miliardi intascati e ben occultati. A questi onorevoli, ai loro tirapiedi, trafficoni, intrallazzatori, mafiosi, portaborse, alle loro troie, i più robusti calci nel culo dal Popolo Italiano».
Tutt’altro che rassicurante l’ultima pagina. «Tranquilli, è un fumetto. Questo è opera di fantasia: la realtà è molto peggio». A leggere la cronaca di questi giorni, non si può che concordare. Se i giovani, come sottolineavamo, ignorano Tangentopoli, i politici dimostrano quotidianamente di non averne appresa la lezione. Non tutti, intendiamoci. Più di qualcuno ha continuato a rubare, con l’unica differenza che prima lo facevano (o almeno dicevano di farlo) per il partito, mentre dopo si sono messi in proprio. I magistrati, per usare un eufemismo, non sempre riescono a restare terzi e, con buona pace degli indagati, gli avvisi di garanzia continuano a fioccare nelle redazioni con una tempestività degna dei cronisti di una volta. Ci sarebbe da farne un film o un fumetto o, come si chiama ora, un graphic novel.
Roberto Alfatti Appetiti
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