Dal Secolo d'Italia del 3 giugno 2012
Altro che oppio dei popoli, l'appeal della religione segna il passo. I segnali, al riguardo, non mancano. La crisi incalza, il nervosismo sale, la soggezione - nei confronti del clero - decresce insieme al Pil. Nel mirino di molti è finito il dogma, non della fede ma dell'esenzione dall'Imu per gli immobili della Chiesa. Dal codice da Vinci al codice penale. Che il maggiordomo fosse il colpevole, a prescindere, è consolidata prassi del giallo. Che lo fosse anche quello del Papa, tuttavia, fino a ieri l'altro sarebbe stata fantascienza. La gendarmeria non è quella tratteggiata da Simenon ma quella vaticana.
La realtà supera la fiction, Dan Brown prenda appunti. La fuga di notizie e documenti riservati, del resto, segue la fuga di fedeli sempre meno fedeli e l'inabbissarsi delle vocazioni. Le mura leonine crollano e, con esse, privacy del Vicario e relativa fiducia del popolo di Cristo. I cattolici si indignano, come da verbo montiano, con sobrietà. «La maggior parte delle religioni rendono gli uomini non migliori, bensì più cauti», scrive Elias Canetti ne La provincia dell'uomo. Schopenhauer, che moderato non era, si sarebbe limitato a prenderne atto con uno dei suoi feroci aforismi: «L'umanità sta stretta nella religione così come un bambino, crescendo, diventa troppo grande per il suo vestito e non c'è niente da fare, il vestito si strappa».
Se Atene piange, Sparta non ride. Di sicuro non ridono i testimoni di Geova, forse per via di quella "divisa" con cravatta anche d'estate. Annunciare la fine del mondo, peraltro, non è esattamente la più allegra delle professioni di fede. Schivarli è lo sport nazionale, appena dopo il calcio.
L'Islam, questo sconosciuto
L'Islam, questo sconociuto (ai più), è messo anche peggio. Fa notizia solo nella cronaca nera. Fratello che uccide la sorella perché fidanzata con un italiano. Padre che segrega la figlia in casa perché veste all'occidentale. La cornice è quella, immancabile quanto ormai convenzionale, dello scontro di civiltà, se non dell'islamofobia tout court. Fondamentalisti. Nemici della crescita economica. Terroristi pronti a farsi saltare in aria. Come se la stragrande maggioranza dei delitti non si consumasse nelle nostre italianissime famiglie, le stesse che le domeniche - non tutte, magari solo a Natale e Pasqua, trincea estrema del perbenismo - fanno capolino in Chiesa.
«L'idea che nel mondo islamico non esista una separazione tra fede e politica, tra istituzioni religiose e istituzioni politiche, deriva da una grossolana visione storica delle cose che appiattisce le differenze e pretende di giudicare tutto secondo i modelli occidentali». Questa è l'opinione, autorevole, di Franco Cardini che, per quanto "cattolico e tradizionalista", da decenni è impegnato a smantellare i luoghi comuni con cui i sedicenti esperti hanno confezionato l'Islam.
«Abbiamo religioni a sufficienza per farci odiare, ma non a sufficienza per farci amare l'un l'altro», concludeva con amara ironia Jonathan Swift. Eppure la più recente esperienza politica dovrebbe insegnarci come il bipolarismo possa rappresentare un valore e, di converso, la deligittimazione reciproca non faccia altro che far perdere credibilità al sistema in senso lato. Allo stesso modo, cattolici e musulmani dovrebbero imparare a rispettarsi di più. Il buddismo, da questa angolatura, rappresenta un terzo polo in cattiva salute. Numeri alla mano, scemata la moda estemporaneamente riaccesa dalla cinematografia, può dirsi "forte" dello 0,1% della popolazione italiana e deve accontentarsi del bronzo. Fede light, l'hanno definita. Religione fai-da-te. Roba da vip, alla Richard Gere o alla Roberto Baggio, il più noto buddista italiano (appartenente al "ramo" della Soka Gakkai).
Il Siddartha di Herman Hesse resta un longseller, ma, come dicevamo, crolla l'appeal della religione comunemente intesa. E di conseguenza anche la trasgressione ne risente. «La religione è finita, non c'è più nessuno che si vanti di aver portato a letto una suora», si lamentava l'indimenticato Ennio Flaiano. Focolai di resistenza, a ben guardare, ci sono. Soprattutto quando il viaggio di ritorno si avvicina e, foss'anche solo per una valutazione di probabilità, pregiudicarsi il perdono di Dio non è avveduto. «La religione va bene negli ospedali. Dio gode di una certa popolarità in posti del genere», puntualizzava causticamente Charles "hank" Bukowski. Le sventure aiutano, verrebbe da dire. Quando non è più possibile confidare nell'uomo e nei suoi buoni sentimenti, non rimane che affidarsi a Dio. La fede come estrema ratio. Più laicamente, Cesare Pavese diceva: «Tanto poco un uomo si interessa dell'altro, che persino il cristianesimo raccomanda di fare il bene per amore di Dio». Facile a dirsi, meno a farsi. Scriveva Jorge Luis Borges: «È più facile morire per una religione che viverla assolutamente».
Roberto Alfatti Appetiti
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