sabato 9 dicembre 2006

Il giovane Holden e le sviste dei sessantottini

"Ricco, snob, bugiardo, individualista, vagamente céliniano: come ha fatto l'eroe di Salinger a diventare un mito delle sinistre? Persino la traduttrice se lo chiede ancora".
Dal Secolo d'Italia del 22 agosto 2006,
Rubrica estiva "Una firma, un libro"
«Se Accio avesse incontrato il giovane Holden lo avrebbe gonfiato di botte». Parola di Antonio Pennacchi, che ben conosce, per averlo egli stesso brillantemente tratteggiato, il carattere burrascoso e attaccabrighe del protagonista del suo formidabile romanzo (Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Mondadori 2003). E, per certi versi, Accio avrebbe probabilmente avuto le sue buone ragioni e tutta la nostra comprensione. E non soltanto la nostra. Holden Caulfield è irriducibilmente indisponente, scostante e umorale. Maurice, «l’uomo dell’ascensore», gli sferra un pugno nello stomaco perchè si rifiuta di pagare per intero la tariffa di Sunny, la prostituta (con la quale, peraltro, Holden si è limitato a chiacchierare). L’amico Carl Luce lo pianta da solo nello chiccoso Wicker Bar di New York, esasperato dal suo tono alto, insistente e irritante. L’amica Sally scoppia a piangere e se ne va infuriata perché, dopo averle dichiarato il proprio amore e proposto inverosimili fughe «in un qualche posto nel Massachusetts o nel Vermont», prima le dice «mi stai sulle scatole che non ne hai un’idea» e poi le sghignazza in faccia. E cosa dire del tassista che Holden si ostina a tormentare per sapere «dove vanno le anatre di Central Park quando il lago ghiaccia?» Insopportabile. Eppure da adolescenti ci siamo appassionati alle stravaganti ed esilaranti avventure di questo diciassettenne alto e magro, sincero quanto spudoratamente bugiardo e lo abbiamo seguito con partecipazione quando, dopo essere stato espulso dal prestigioso college Pencey in Pennsylvania pochi giorni prima di Natale, piuttosto che tornare a casa ad affrontare i genitori, preferisce ciondolare per New York, ubriacarsi, pattinare sul ghiaccio, recarsi a teatro cercando goffamente ragazze alle quali promettere amore eterno. Del resto il celeberrimo romanzo di Jerome David Salinger, pubblicato per la prima volta negli States nel luglio ‘51, ebbe un immediato e straordinario successo soprattutto tra i giovanissimi. Tradotto in ben venticinque lingue, caso esemplare di long-sellers, vende ancora oggi, soltanto negli USA, oltre duecentomila copie l’anno e le vendite complessive hanno superato da tempo i sessanta milioni di copie: un cult. In Italia, dopo una prima traduzione con il titolo Vita da uomo (Casini, ‘52), divenne popolare come Il giovane Holden (Einaudi ‘61). La scelta di affidare al nome del protagonista il titolo del romanzo nasce dalla difficoltà a tradurre quello originale, che letteralmente suonerebbe come l’acchiappatore nella segale. Il catcher, “il prenditore”, è una figura ricorrente nell’immaginario statunitense: è il giocatore della squadra di baseball che, munito di guantone, corazza e maschera, afferra la palla tirata dal lanciatore quando il battitore non riesce a respingerla con la mazza. Rye è un popolare tipo di whisky ottenuto dalla fermentazione della segale. E’ lo stesso protagonista , rivolgendosi all’amata sorellina Phoebe, a chiarire ai lettori il significato della definizione. Da bambino i versi di una vecchia canzone scozzese l’avevano suggestionato: «If a body catch a body coming through the rye (Se una persona afferra una persona che viene attraverso la segale)». E’ questo verso del grande poeta scozzese Robert Burns ad alimentarne la megalomania e a fargli immaginare di poter essere il custode di un gruppo di bambini che giocano nella segale accanto ad un burrone. «Immagino sempre migliaia di ragazzini che fanno una partita in quel immenso campo di segale e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo far altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale». Ciononostante Holden non ha nessuna fretta di entrare nel mondo degli adulti, come tutti i ragazzi avverte con fastidio l’ipocrisia delle convenzioni sociali, trova inaccettabile l’essere costretto a ripetere ogni volta: «piacere d’averti conosciuto a qualcuno che non ho affatto il piacere d’aver conosciuto». «Devi dire queste cose se vuoi sopravvivere», sbotta. Eppure il romanzo fu subito adottato dai contestatori di sinistra come un vero e proprio breviario del giovane rivoluzionario. Al malessere di Holden Caulfield venne data una valenza politica antisistema, facendo di un annoiato e svagato ragazzo borghese un comunista in armi contro le istituzioni. Una strumentalizzazione goffa ma efficace in anni in cui ad un conformismo perbenista si andava contrapponendo un altro, nuovo e peggiore conformismo, più terribile e spregiudicato nel piegare ogni espressione di disagio alla propria visione del mondo. Quella del protagonista è invece una rivolta individuale e, se vogliamo, spirituale. E’ un viaggio interiore dettato da motivazioni intime, come la morte per leucemia del fratellino Allie, la cui assenza-presenza aleggia per tutto il romanzo. La conflittualità del protagonista non ha alcuna connotazione politica. Allo stesso modo si è espressa, in una delle rare interviste (Diario, 1999), una delle più importanti traduttrici italiane, la romana Adriana Motti, “madre” di Holden: «Sembrerà un’eresia: sono diventata celebre col giovane Holden che io non ho preso sul serio per niente. Divenne un dogma, un catechismo che non capisco tutt’ora. E’ un libro individualista, la crisi esistenziale di un ragazzo americano. Per dei ragazzi di sinistra italiani, Salinger avrebbe dovuto essere il tipico americano altoborghese, non vedevo che rapporto ci fosse con dei giovani marxisti. Lo dissi anche a tre di loro che vennero a parlarmi per fare un pezzo sul giornale di Lotta Continua, e si fecero prestare delle lettere. Più rivisti, né loro né le lettere».Lo scrittore militante Alessandro Baricco, che nel nome del nostro ha creato a Torino nel ’94 un vero e proprio business, la scuola di narrazione Holden, anni fa ha proposto a Einaudi di rifare la traduzione del romanzo. Ma fortunatamente la casa editrice ha confermato quella della Motti. Ed ha fatto bene, perché pur rendendo fedelmente lo stile asciutto e apparentemente trascurato di Salinger (in realtà costruito in dieci anni di lavoro), la traduzione brilla di luce propria ed assolutamente insostituibili, oltre che efficaci, sono i termini “inventati” di sana pianta dalla Motti. Basti pensare ad alcune espressioni caratteristiche di Holden come «e tutto quanto», «e compagnia bella», «eccetera eccetera», «e quel che segue», «e via discorrendo», traducano sempre e soltanto l’espressione «and all» ripetuta da Salinger. Per non parlare della felice scelta dell’aggettivo «schifa» per definire l’infanzia che il protagonista, già dall’incipit, afferma di non voler raccontare. Renzo Foa, ancora oggi, si domanda come la «snobistica irrequietezza da privilegiato» e la «fuga inoffensiva dalle responsabilità» di Holden possano essere piaciute a sinistra. Dei miti della sinistra, osserva, non c’è segno nel libro: «non c’erano né Stalin né Truman, né il conflitto coreano. Chi lo lesse all’alba o al tramonto degli “indimenticabili anni Sessanta” non vi trovò tracce di John Kennedy, M. L. King o Che Guevara. O dei Beatles. Chi lo lesse un decennio dopo non vi trovò tracce di Mao né di Ho Chi Minh. Nel giovane Holden ci sono già i difetti collettivi e di carattere della sinistra di scambiare l’irresponsabilità per senso di responsabilità e lo snobismo per una qualità dell’animo, di essere loro gli unici titolati a definire tutto ciò che è politicamente corretto e così via» conclude amaramente, ponendosi un altro interrogativo. «Perché avevamo scambiato per il massimo messaggio cosmopolita una Manhattan di soli bianchi? In Holden ci sono solo i bianchi, c’è una società completamente omogenea, non c’è mescolanza. Non è un paradosso che in uno dei testi sacri del politically correct ci sia uno degli atti più lesivi proprio del politically correct?». E la stessa domanda devono essersela posta, qualche anno fa, anche gli insegnanti di sinistra del National council of teachers of english che, ritenendole sconvenienti, hanno addirittura eliminato dagli elenchi delle letture consigliate agli studenti le opere del grande scrittore americano. Le motivazioni addotte sono puramente e puerilmente ideologiche. Holden Caulfield è ritenuto «troppo bianco, maschio e privilegiato» e Salinger «troppo poco multiculturale». L’opera, complessivamente, sarebbe «poco rispettosa delle minoranze etniche che compongono la variegata popolazione americana». Foa non ha mancato di criticare «l’ambiguità dell’holdenismo, fenomeno fortunatamente tutto italiano, usato come un alibi dai suoi esegeti in virtù del quale Il giovane Holden è usato come un passaporto della purezza grazie al quale poi è consentito tutto», mentre finisce con l’assolvere il protagonista, che «alla fine è migliore di tanti moralisti di oggi». Holden, infatti, non fa lezioni, non si offre come modello e non rinuncia all’autoironia: «Io sono il più fenomenale bugiardo che abbiate mai incontrato in vita vostra. E’ spaventoso. Perfino se vado all’edicola a comprare il giornale, e qualcuno mi domanda che cosa faccio, come niente dico che sto andando all’opera». Gli “adulti” cercheranno di convincerlo a cambiare atteggiamento, a tenere una condotta più responsabile, ma lui con la testa è altrove. Il professor Antolini gli porge un foglio con una frase di Wilhelm Stekel. «Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuol morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuol umilmente vivere per essa. Io lo lessi, lo ringraziai e me lo misi in tasca. Era stato gentile a prendersi tutto quel disturbo. Sul serio. Ma non mi sentivo di concentrarmi. Ragazzi, tutt’a un tratto mi sentivo così maledettamente stanco». E specialmente d’estate non c’è niente di più riposante che fermarsi a curiosare nel delirio vagamente céliniano di questo giovane ribelle «senza una causa», anticonformista e più destrorso di quanto non si sarebbe mai sospettato.

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