sabato 9 dicembre 2006

Il marchese maledetto, l'uomo che tutto sfidò

Dal mensile Area, febbraio 2001
«Prepotente, collerico, violento, eccessivo in tutto, di una sregolatezza senza eguali nella immaginazione erotica, ateo sino al fanatismo, eccomi in due parole; ammazzatemi o prendetemi come sono, perché io non cambierò», così si presentava Donatien Alphonse François, meglio noto come marchese de Sade, in una lettera scritta nel 1783 dal carcere di Vincennes, dov’era rinchiuso da cinque anni.
Quando muore di edema polmonare, il 2 dicembre 1814, i familiari, vergognandosi di lui, vietano che il nome sia inciso sulla lapide. D’altra parte lo stesso marchese, nel redigere anni prima il proprio testamento, aveva esplicitamente richiesto che la sua sepoltura avvenisse «senza nessuna cerimonia», rivolgendo un invito a fare in modo che le tracce della tomba «scompaiano dalla faccia della terra, come io spero che il mio nome scomparirà dalla memoria degli uomini».
Mai un auspicio è stato così decisamente disatteso. Ancora oggi il nome e l’opera del divino marchese sono quanto mai attuali, tali da riproporsi regolarmente all’attenzione della pubblica opinione. Da settimane la stampa degli Stati Uniti, infatti, non sembra occuparsi d’altro che del nuovo film a lui dedicato, Quills (il titolo allude alle penne d’oca con le quali il grande scrittore francese scriveva le sue opere prima della cattività da recluso). La pellicola, presto nelle sale italiane, è stata stroncata dalla censura USA e bollata come “strettamente per adulti” per i «contenuti fortemente sessuali, il dialogo forte, la violenza e le scene necrofile», ma ha ricevuto il prestigioso riconoscimento del National Board of Rewiew come miglior film. La Fox non nasconde di puntare risolutamente all’Oscar. A conferma di tali ambizioni sfoggia un cast d’eccezione. Accanto a Geoffrey Rush nella parte di Sade, a Joaquin Phoenix e Micheal Caine, c’è Kate Winslet, la famosa attrice di Titanic, nella parte della giovane lavandaia Madelaine, che per devozione fece uscire gli scritti del marchese dal manicomio di Charenton, dove Sade era recluso e lei lavorante.
Il regista Philip Kaufman difende il valore artistico del film e lo rappresenta come «una dura metafora della vita di un uomo che tutto sfidò». Una definizione calzante per un personaggio contraddittorio che fu al tempo stesso aristocratico e rivoluzionario, libertino e conservatore, ferocemente irriverente verso ogni potere costituito senza curarsi delle contingenze e soprattutto delle conseguenze dei suoi atti, sempre pagate in prima persona.
«E’ solamente rasentando l’eccesso che si trova la libertà», questa è la massima che ispirò quello che Apollineare ha definito con ammirazione: «lo spirito più libero che sia mai esistito».
I libri di e su Sade vanno a ruba in libreria e la raccolta delle sue opere, pubblicate nell’elegante collana dei Meridiani Mondadori, è già giunta alla quinta edizione in pochi anni.
Lascia perplessi, tuttavia, l’esclusione di alcuni titoli importanti nella produzione letteraria del divin marchese, come le Centoventi giornate di Sodoma (ovvero la scuola del libertinaggio) e la terza stesura di Justine. E’ singolare apprendere come giustificazione, dalla nota del curatore, che tradurre tali opere in italiano «sarebbe ancora un’operazione editoriale audace e prematura». Persiste un grottesco quanto anacronistico tabù ai danni di quello che possiamo senz’altro definire, a pieno titolo, un classico della letteratura mondiale, peraltro di due secoli fa.
Il marchese de Sade nasce infatti a Parigi il 2 giugno del 1740 da Jean Baptiste François, conte de Sade, esponente dell’antica nobiltà provenzale, e da Marie Eleonore de Maillé de Corman, parente della casa di Borbone. Dopo aver completato gli studi presso il collegio parigino Louis-le-Grand, tenuto dai gesuiti, compie una rapida formazione militare che lo conduce, quale capitano di cavalleria, a partecipare alla guerra dei Sette anni.
Nel 1763 accetta un matrimonio di convenienza per riparare alle difficoltà economiche del padre, ma già dopo cinque mesi conosce, seppure solo per quindici giorni, il carcere per «libertinaggio aggravato, bestemmie e profanazione dell’immagine del Cristo». Nell’arco di pochi anni si trova coinvolto in diversi affaires, scandali a sfondo sessuale, che lo portano nuovamente in carcere e successivamente in Italia per sfuggire ad una condanna in contumacia alla pena capitale per avvelenamenti (viene poi scagionato) e sodomia. In questi anni la sua vita è caratterizzata da condanne, reclusioni, evasioni anche spettacolari, viaggi in Italia, dove soggiorna a Firenze, Roma e Napoli.
Nel 1777 viene arrestato in base ad una lettre de cachet (lettera con sigillo reale) e viene rinchiuso nella fortezza di Vincennes, dove rimane in prigionia sino al 1784 per poi essere trasferito alla Bastiglia. Qui scrive alcune delle sue opere più importanti, Dialogo tra un prete e un moribondo, Le Centoventi giornate di Sodomia, nel quale l’autore elenca ben seicento tipi di perversione sessuale, Alina e Valcour e la prima edizione di Justine (ovvero le disavventure della virtù). Durante la permanenza alla Bastiglia, Sade scrive una cinquantina di racconti, di cui almeno dodici purtroppo andati perduti. Si tratta di novelle sagaci e piene di humour nero con le quali si fa beffe della religione, del perbenismo conformista e dei magistrati che l’hanno condannato, dipinti come fanatici ridicoli e sanguinari.
Pochi giorni prima della presa della fortezza, avvenuta il 14 luglio 1789, viene trasferito come «detenuto pericoloso» nel manicomio di Charenton-Saint-Maurice. Apollinaire ha ricostruito le ragioni di questo insolito trasferimento. Sade avrebbe incitato i parigini, usando come citofono un lungo tubo di latta terminante ad imbuto, che aveva in dotazione per lo scarico dell’acqua sporca nel fossato, a prendere d’assalto l’istituto di pena, gridando che «vi si scannavano i prigionieri». Attraverso questi appelli, rivolti anche sotto forma di lettere gettate dalle finestre, aveva alimentato il clima di rivolta, contribuendo a scatenare i tumulti. Questa versione viene poi confermata dallo stesso Sade che, in una lettera del maggio 1790, scrive: «Il fatto è vero, io mi affacciavo alla finestra per eccitare il popolo […] lo esortavo ad abbattere quel monumento di orrore».
Liberato nel 1790 in base al decreto dell’Assemblea Costituente, che annulla l’odiosa prassi delle lettres de cachet, può dedicarsi all’attività di scrittore e di drammaturgo. Riprende persino l’attività politica, partecipando come segretario ai lavori della Sezione di Picche.
Cresce però in lui la sfiducia nei rappresentanti del popolo, pubblica libelli democratici nei quali si scaglia contro i rischi del sistema rappresentativo. Si dichiara a favore di una forma di democrazia diretta, propone un governo popolare, si schiera contro la pena di morte e la guerra. Idee “politicamente scorrette” per il regime di Robespierre, cui diventa inviso.
Deluso e amareggiato per la politica del Terrore assume posizioni ritenute controrivoluzionarie dai suoi nuovi avversari. Viene prima accusato di cospirazioni monarchiche, arrestato e poi condannato a morte per “moderatismo”, ma sfugge fortunosamente alla ghigliottina.
Nel 1795 a Londra viene stampata, anonima per ovvie ragioni di cautela da parte dell’editore, la prima edizione di La filosofia del boudoir (ovvero gli educatori immorali), presumibilmente scritta nel 1794, mentre è detenuto. Si compone di sette dialoghi. L’intento dichiarato è quello di offrire un manuale di libertinaggio, ma si tratta dell’opera più “politica” di Sade. Nel quinto dialogo è inserito il pamphlet intitolato Francesi, ancora una sforzo se volete essere repubblicani, nel quale l’autore già in apertura afferma significativamente: «vengo ad offrire grandi idee». Si esprime in favore dell’individualismo, contro ogni forma di tirannide, religiosa o politica, sia anche nominalmente democratica, contro ogni ostacolo che si frapponga alla nativa libertà dell’uomo.
La caduta di Robespierre gli permette di tornare in libertà nell’ottobre 1794. Grazie al clima di licenziosa permissività instaurato dal Direttorio, pur se assediato da difficoltà economiche e dagli strali dei moralisti, vede pubblicate diverse sue opere. La terza e ultima stesura di Justine, ben tremilaseicento pagine in dieci volumi, uscita nel 1797, diventa persino oggetto di speculazione libraria, prima di essere sequestrata.
La polizia del Consolato lo arresta infine nel 1801 come “pornografo”, proprio per la pubblicazione di Justine e di Juliette. Torna in carcere e nuovamente nel manicomio di Charenton, dove organizza, con la compiacenza del direttore, vere e proprie stagioni teatrali, da lui dirette, nelle quali recitano come attori i detenuti.
Il genio di Sade cattura una volta di più le attenzioni del mondo parigino, diviso ancora, come sempre, tra gli estimatori entusiasti e i nemici irriducibili del divino marchese. Un dibattito tuttora in corso, ben oltre i confini della ville lumière.

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