sabato 9 dicembre 2006

La rivincita di Tomas, "er cubano de Roma"

Dal Secolo d'Italia del 19 luglio 2006
rubrica "Sei un Mito"
L’antesignano del pulp. Se Tomas Milian (Cuba, 1932), l’attore che con il proprio talento istrionico più di ogni altro ha caratterizzato la lunga e felice stagione d’oro della nostra cinematografia di genere dai primi Sessanta alla metà degli Ottanta, non fosse più che orgoglioso del suo passato “trash”, sarebbe la definizione più giusta. «Er cubano de Roma» è lontano dal nostro paese - vive negli Stati Uniti con la moglie, l’italiana Rita Valletti - e dagli anni Novanta si è reinventato come apprezzato caratterista in importanti film diretti da registi come Oliver Stone, Steven Spielberg e Sydney Pollack, ma non è stato dimenticato dai suoi numerosissimi e ancora affezionati fans italiani.Al contrario, negli ultimi tempi il fenomeno Milian è riesploso, a conferma dell’attualità delle popolarissime maschere del coatto Monnezza e del poliziotto Nico Giraldi (politicamente così scorretto da apostrofare come «limoncello» un cinese), figure gemelle che si sono poi mescolate in un’unica sagoma, divertendo intere generazioni di spettatori e lasciando una colorita quanto indelebile traccia di espressioni romanesche nell’immaginario collettivo. La recente riapparizione della mitica serie del Monnezza in dvd ha fatto registrare un numero altissimo di vendite, come si conviene ad un vero cult. E a “sdoganare” tale cinematografia, a lungo snobbata, quando non stroncata, dalla supponente critica di sinistra, ha contribuito un regista attento ai gusti del pubblico, Quentin Tarantino, indiscusso maestro del pulp, che ne ha rivendicato l’importanza in manifestazioni ufficiali come il Festival di Venezia. Qualche mese fa, inoltre, proprio il Monnezza, l’antieroe insolente e sopra le righe, il personaggio più amato di Milian, ideato da Dardano Sacchetti, Bruno Corbucci e Mario Amendola con il contributo determinante dello stesso Milian, «la mia creazione migliore! Ho inventato io il suo look e spesso ne scrivevo le battute», è tornato nelle sale italiane con un film firmato dai fratelli Vanzina (Carlo alla regia e Enrico alla sceneggiatura).«Quello di Tomas Milian resta un personaggio straordinario. Il Monnezza ha una grandezza quasi shakespeariana. Non a caso è finito sulla Treccani. Insomma, il trash è un modo molto interessante della cultura moderna per rimettere in circolo cose che altrimenti andrebbero perdute», ha dichiarato Enrico Vanzina e non possiamo che essere d’accordo con lui sull’opportunità di rivalutare il patrimonio rappresentato da questa trascurata pagina del nostro cinema. Il film, prodotto da Vittorio Cecchi Gori, è un riuscito action movie ambientato nella Roma di oggi, con Claudio Amendola perfettamente a suo agio nel ruolo di Rocky Giraldi, figlio-clone del celebre ladruncolo diventato poliziotto. Molto bravo anche Enzo Salvi, chiamato a dare vita al ladro Tramezzino, nella finzione figlio della spalla storica del Monnezza, Venticello, a suo tempo interpretato da Bombolo (Franco Lechner ’32-’87), comico dall’inimitabile mimica facciale, di cui rimangono indimenticabili i duetti a suon di sberle con Milian. «Aspettavo questo ruolo da tutta la vita, era il mio sogno sin da bambino» ha confessato un entusiasta Amendola, la scelta del quale, pienamente condivisa da Milian, «Claudio è un grande, di quelli che io adoro: è verace, senza vizi accademici», si è dimostrata quanto mai azzeccata. L’attore romano, del resto, oltre ad essere il nipote di Mario, è il figlio del compianto Ferruccio, numero uno dei nostri doppiatori, voluto personalmente da Milian per dare spessore al personaggio: «Ferruccio lo scelsi io, era il migliore. L’unico che potesse farmi accettare questa faccenda del doppiaggio, che io, arrivato dall’Actor’s Studio, consideravo sminuente per un attore».Già, perché Milian, il cui vero nome è Tomas Quintin Rodriguez, proveniente da una famiglia della ricca borghesia cattolica (il padre, generale al servizio dello sconfitto dittatore Machado, si tolse la vita proprio davanti al piccolo Tomas), arriva in Italia dopo aver frequentato la scuola di Elia Kazan, all’epoca diretta da Leo Strasberg, e appreso il “metodo Stanislavskij”, che prepara gli attori ad identificarsi totalmente con il personaggio. Nel ’59 Milian debutta nel Festival dei Due Mondi di Spoleto con una pantomima diretta da Franco Zeffirelli, ma il suo destino è il cinema: in quarant’anni di attività girerà oltre cento film.Bello e narciso, introverso e legittimamente ambizioso, esordisce lo stesso anno ne La notte brava di Mauro Bolognini e subito si fa notare come un attore dotato quanto duttile. Si trova a lavorare a fianco di divi come Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale e di registi del calibro di Maselli, Antonioni, Bertolucci e Visconti, che gli offre il primo ruolo da protagonista in uno degli episodi di Boccaccio ’70 (’62). A metà degli anni Sessanta il piccolo schermo non è ancora riuscito - come accadrà venti anni dopo, contravvenendo alle più elementari regole della natura - a fagocitare il grande schermo e il cinema italiano, in quegli anni ricchi di entusiasmo, è lo specchio di una società altrettanto vivace. Una fucina di giovani cineasti di valore esplorano generi diversi: dal mitologico al fantastico, dall’horror al western, dal poliziesco alla commedia brillante. Dopo l’incredibile successo di Per un pugno di dollari (’64) di Sergio Leone (’29-’89), è il western all’italiana ad imporsi, soprattutto tra i giovanissimi: una produzione sterminata, che in quindici anni conterà circa seicento film, di cui il regista rimarrà l’inarrivabile maestro. Anche se gli attori il più delle volte preferiscono utilizzare pseudonimi americani, il genere nasce in contrapposizione al western tradizionale e offre una lettura più realistica perché descrive il mondo selvaggio della Frontiera senza i caratteristici addolcimenti della retorica hollywoodiana. Girati con minori disponibilità rispetto ai potenti mezzi delle major, i film si caratterizzano per le scenografie spartane, presentando villaggi spettrali animati da bellissime colonne sonore (Ennio Morricone su tutti) e da attori carismatici non allineati come Giuliano Gemma, Franco Nero, Enrico Maria Salerno, Philippe Leroy e Tomas Milian, che con il suo background è perfetto per il genere. La particolare versatilità gli consente di ricoprire i ruoli più diversi, passando disinvoltamente dal fuorilegge, all’eroe, da personaggi “seri” ad altri bizzarri. I registi se lo contendono senza esclusione di colpi: «E’ andata bene. Lavoravo con tutti. Guadagnavo un sacco di soldi. Un film tirava l’altro». Dopo la prima prova degna di nota con Sergio Sollima ne La resa dei conti (’66), recita con Orson Welles in una delle pellicole più riuscite del genere, Tepepa (’69) di Giulio Petroni e poi con Sergio Corbucci e molti altri registi. Quando il fenomeno tende ad esaurirsi, resisterà soprattutto il western comico, l’aperta parodia di quello americano, che avrà i protagonisti più duraturi nella immaginifica coppia costituita da Terence Hill (Mario Girotti) e Bud Spencer (Carlo Pedersoli).Milian si tuffa anima e corpo nel nascente poliziesco, anzi nel poliziottesco, come è chiamato con dispregio dalla critica, che raccoglierà l’eredità degli spaghetti-western.. Anche qui l’esempio è quello a stelle e strisce offerto da Serpico e dal mitico ispettore Callaghan, da attori come Al Pacino e Clint Estwood, ma anche dall’italiano Maurizio Merli, poliziotti dai metodi spicci e sbrigativi, alle prese con città assediate dalla violenza. Sono film d’azione, brutali, senza fronzoli. Milian, diretto da Umberto Lanzi, recita nella parte del cattivo proprio quale antagonista del “commissario” Merli, ma raggiunge l’apice della popolarità a metà anni Settanta, stemperando la ruvidità del genere con l’ironia e la comicità della commedia ne Il trucido e lo sbirro, titolo preso a prestito da Gordiano Lupi per la sua bella biografia di Milian (Edizioni Profondo Rosso, 2004), e in Squadra antiscippo di Bruno Corbucci, il primo di una fortunata serie di ben undici film nei panni dell’ispettore Nico Giraldi, chiusa da Delitto al Blue Gay nel ’84. Finché, afflitto da problemi di alcol e cocaina, sparisce: «Ero fuori di testa. Dovevo lasciare il cinema, tutto. Andai in India. Anni dopo mi ripresentai, pulito, in un’agenzia di New York». La critica militante non gli aveva perdonato di aver prestato il proprio talento a film considerati mediocri e poco importava che gli fossero valsi un’immagine quasi leggendaria nella cultura popolare italiana. Ma lui non se ne è mai fatto un cruccio: «Il fatto che io lavorassi in quei film ma anche nel cinema d’autore è la dimostrazione che ogni divisione tra serie A e B è una sciocchezza classista». Milian, che oggi si diletta a scrivere sceneggiature, a dipingere e comporre poesie, auspicando di continuare a fare film «che arrivino in Italia, così che la gente italiana, cui sono legato visceralmente, possa seguirmi», è uomo che ama andare controcorrente. In un’intervista del ’71, aveva dichiarato: «Non sopporto quelli che si proclamano rivoluzionari, che parlano sempre dell’eversione e poi finiscono per non fare nulla. Non solo, ma si recano alla dimostrazione sulla bella auto di papà e d’estate sospendono le agitazioni perché devono andare al mare, sono contestatori questi?» L’intervistatore lo aveva messo in guardia: «Non ha paura a proclamare queste idee?». «E perché? Uno deve fare la propria scelta di vita. Perché mi devo mettere a fare l’arrabbiato, l’impegnato? Forse perché va di moda? Io non voglio scendere a questi espedienti. Se il pubblico mi vuole, mi deve accettare come sono. Almeno avranno la sicurezza che sono sincero, che non prendo in giro». Di quella stagione Tomas non ha rinnegato nulla. Recentemente intervistato dal settimanale Vanity Fair, alla domanda se fosse più orgoglioso del Monnezza o di essere stato diretto da Visconti, ha risposto senza esitazioni: «Er Monnezza ha avuto successo perché ci mettevo la stessa cura che avrei messo in un film d’autore». Punto. E come direbbe il Monnezza: «A intervistato’, ma che te stai a inventà?».

2 commenti:

gabriella ha detto...

SONO D'ACCORDISSIMO!

gabriella ha detto...

E però, dai, Franco Nero non sarà stato "allineato" ma è stato per decenni con Vanessa Redgrave (ci ha fatto pure un figlio), cioè con la pasionaria dei troskisti inglesi, una folle rivoluzionaria uperattiva e superimpegnata(fra l'altro, bravissima attrice). Lui, bellissimo.