sabato 9 dicembre 2006

Quell'irresistibile Bogart della canzone italiana

Dal Secolo d'Italia del 5 luglio 2006
rubrica "Sei un mito"
«Io ho amato Fred Buscaglione. Avrei voluto essere come lui. Anzi, io sono come lui. Io sono il Fred Buscaglione di oggi». A rivendicare l’attualità e l’eredità del grande artista piemontese è il mito vivente del rock, Vasco Rossi, che aggiunge: «Il Roxy bar di Vita spericolata è un omaggio a lui, che si esprimeva come piace a me. E’ stato sfortunato, è morto giovane».Il grande Fred (Torino, 23 novembre ’21) ha appena trentotto anni quando, alle prime luci dell’alba del 3 febbraio ‘60, muore schiantandosi, con la sua «criminalmente bella» Ford Thunderbird color rosa, contro un camion nel quartiere romano dei Parioli, ma, come Vasco oggi, è il personaggio più popolare del momento, quello maggiormente amato dai giovani. Se Che bambola (’56) si è rivelato un sorprendente boom discografico, il primo 45 giri a vendere in Italia un milione di copie, Teresa non sparare (’57) e Eri piccola (’58) lo confermano come la più innovativa stella del firmamento musicale. L’hit parade radiofonica ancora non esiste, ma nel ’59 è proclamato «cantante dell’anno» proprio grazie ai giovani che nei juke-box “gettonano” le sue storie di vita sregolata, le «criminal songs», per ascoltarne la caratteristica voce roca impastata dal whisky e dai due pacchetti quotidiani di Gauloise. In pochi anni è diventato un vero e proprio fenomeno, inseguito dalla curiosità dei giornali, corteggiato e conteso da pubblicità, televisione e cinema a suon di contratti strabilianti. Ha impegni pianificati fino al ‘62 e il suo cachet è di un milione a sera, cifre impensabili per chi, come lui, viene da una gavetta lunghissima e avara di soddisfazioni, per un guastatore antiborghese allergico al conformismo di un mercato affollato da cantanti sofferenti per cuori spezzati e mamme lontane, al punto da aver dovuto ripiegare all’estero pur di non rinunciare a proporre il proprio raffinato repertorio musicale. Negli ultimi mesi partecipa a ben dieci film della nascente “commedia all’italiana” insieme ad attori come Vianello e Tognazzi. L’irruzione quale ospite nella più popolare vetrina televisiva, il Musichiere di Mario Riva, scatena un terremoto nel nostro costume, offrendo a «Fred dal whisky facile», al «duro dal cuore tenero», al «Mickey Spillane della canzone», tanto per citare alcune delle definizioni più frequenti, il suggello della consacrazione televisiva. Nel fascinoso strafottente dalla gestualità inimitabile tutti riconoscono debolezze e virtù italiane, la cui vita piena di eccessi è quella che chiunque desidererebbe vivere. Le sue giornate sono sempre più frenetiche. Anche l’ultima mattina sarà atteso, invano, all’istituto Luce per registrare un Carosello e a Castelfusano per girare le ultime scene del film Noi duri, di cui è protagonista insieme al principe de Curtis. Lo stesso Totò ne aveva riconosciuto il temperamento da mattatore: «Buscaglione, se lo lasci dire da me che la so lunga, lei è un un vero fuoriclasse!»Da giovanissimo chansonnier di night club e talentuoso jazzman, ma soprattutto da outsider di razza, Fred è riuscito a reinventarsi e ad imporre la propria originale vena artistica, coniugando l’avventuroso mondo dei bulli e delle pupe d’oltreoceano con la quotidianità popolare di inoffensivi mascalzoni domestici. Con i suoi gangster di cartapesta pronti a crollare davanti a donne bellissime, interpreta ironicamente un’America ben diversa da quella uscita dalla depressione e raccontata con la retorica stucchevole dei buoni sentimenti da Steinbeck, Faulkner e dalla cosiddetta narrativa proletaria, ma altrettanto lontana anche da quella stereotipata di cellulosa del cinema hollywoodiano. Come ha scritto Maurizio Ternavasio nel suo bel libro Il grande Fred (Lindau), Buscaglione «rivelò di colpo ai suoi fans un mondo proibito e affascinante», ma finalmente accessibile, umanizzato, nel quale persino i più drammatici fatti di cronaca, riletti e rivisitati con impareggiabile istrionismo, sapientemente arricchiti da ribaltoni e colpi di teatro, diventavano irresistibili occasioni di divertimento.Al funerale partecipano migliaia di persone comuni, a dimostrazione di un affetto che non ha precedenti analoghi per personaggi dello spettacolo. «Un incontro di una sera fra due whisky di dubbia origine», così il giorno dopo la morte Giancarlo Fusco racconta sul “Giorno” quando, non ancora famoso giornalista e scrittore, negli stravaganti panni di gestore di un night club viareggino, il Kursaal, si era trovato di fronte un giovanissimo Buscaglione in cerca di scrittura. «Un ragazzo magro, dagli occhi fiammeggianti e dai capelli ricadenti sulla fronte in un ciuffo vagamente hitleriano. Suonava il piano, la tromba, la batteria. Cantava. Sapeva arrangiare. All’occorrenza se la sarebbe cavata anche in pista, come un ballerino, ma nel mio locale non c’era posto per quel giovanotto che un giorno, chi poteva immaginarlo, avrebbe avuto milioni di fans». E di rifiuti ne colleziona molti. Agli anni del conservatorio segue l’apprendistato in varie orchestre torinesi. Ma paradossalmente è la guerra a fornirgli la possibilità di creare e dirigere un’orchestra quando, diciannovenne, è chiamato alle armi. L’esercito ne accetta la sfrontata proposta di dare vita ad una «rivista patriottica», così Fred, nei quattro anni di servizio militare, gira la Sardegna con il Complesso Buscaglione, tenendo alto il morale delle truppe proponendo pezzi come Camerata Richard e Giarabub, e sostituendo al battesimo del fuoco quello del teatro della caserma, davanti ad entusiaste platee grigioverdi. Nel dopoguerra arrivano i grammofoni nelle case degli italiani e la gioia di vivere si esprime nella voglia di ballare. Ovunque dilagano sale da ballo, si impongono nuove tendenze come la beguine, il bolero, la rumba, la samba, il rock’n’roll, ma il panorama della canzone italiana di quegli anni è piatto e paludato, i cantanti potrebbero essere intercambiabili tanto le melodie sdolcinate finiscono per assomigliarsi.La svolta artistica di Buscaglione arriva verso la fine degli anni Quaranta, quando, in cerca di una «spalla che sapesse interpretare il mio pazzo linguaggio musicale» rincontra il vecchio amico Leo Chiosso, con il quale scriverà a quattro mani quasi tutti i testi, in aperta rottura con quelli altrui, nei quali «si volevano far uscire i reietti, i poveri, i metalmeccanici e i braccianti agrari dal grigiore delle loro vite per immetterli in un mondo in cui la donna dicesse loro ‘grazie dei fior’». Ed è proprio la canzone di Nilla Pizzi, nel ’51, ad aggiudicarsi il primo Festival di Sanremo, totem del conservatorismo musicale più bacchettone. Buscaglione se ne tiene alla larga, nonostante venga ripetutamene invitato. «Io non sono un cantante da Sanremo. Non ho mai pensato esclusivamente alla mia voce e non ci penserò mai: rauca e ghignante, per me è solo un ausilio per esprimere quello che sento». Nell’Italia democristiana del ’58, che con la legge Merlin chiude le case di tolleranza, Buscaglione, anarchico di destra con simpatie monarchiche, oltre che artista finalmente affermato, è disincantato protagonista della dolce vita romana. Nottambulo impenitente e irrequieto, trascorre le sue interminabili serate passando di locale in locale, frequentando il jet set capitolino e le dive sognate dagli italiani. Ma Buscaglione, per le mai rinnegate umili origini, il carattere fondamentalmente schivo e soprattutto l’innato individualismo, di quel mondo patinato non si è mai sentito davvero parte. La morte prematura del cantante, seguita nell’arco di pochi mesi da quella del campionissimo Fausto Coppi e dello stesso Mario Riva, segnano la fine degli anni Cinquanta. Scrive Chiosso: «Fred era positivo in mezzo a una banda di goderecci, si era conquistato la vita duramente. Non era facile fare il jazzista in mezzo a una banda di stornellatori, non era una falena ma un artista e un duro faticatore». Nel suo intimo, rimaneva il ragazzo della piccola provincia italiana che credeva fermamente nei valori che egli stesso contribuiva a dissacrare. Le donne, «i mammiferi modello 103», lo corteggiavano ma lui non aveva smesso di amare Fatima Ben Embarek, l’acrobata marocchina del trio Robin’s che, appena diciottenne, volle fortissimamente come moglie sino a rapirla. Se sul palcoscenico saliva il duro col baffetto alla Clark Gable, vestito in smoking bianco come Humphery Bogart in Casablanca o gessato a mo’ di Al Capone, giù dalla pedana tornava ad essere il vecchio ragazzo piemontese innamorato del swing. «Un puro che pensava in note» l’aveva definito l’amico Gino Latilla. Dietro al playboy dall’inesauribile e travolgente verve, al simpatico spaccone con il bicchierino di whisky nel taschino della giacca, c’era l’uomo legatissimo alla madre e capace di trascorrere un’ora intera in silenzio il figlio di un amico nella culla, soffocato dall’amarezza per non poter avere figli suoi e per la separazione dall’unica donna amata.«La vita è curiosa. Mio padre voleva che diventassi avvocato, per contraddirlo mi iscrissi al conservatorio e mi diplomai in violino. Sognavo le grandi orchestre sinfoniche, pensate che ridere. Nessuno voleva saperne di me, per campare dovetti fare il meccanico dentista e poi l’imbianchino. Per un’eternità aspettai che gli impresari mi scoprissero. Se riesco a durare ancora un paio d’anni, sono a posto. Mi bastano due anni, non di più. Fingerò di avere una vitalità che non ho, scriverò e canterò le canzoni più pazze. Poi, prima che la gente mi volti le spalle, Fred ridiventerà Ferdinando, di professione pensionato». Non immaginava fino a che punto la sua impronta sulla scena avesse spalancato le porte di un rinnovamento della musica italiana di cui lui fu coraggioso antesignano, e di come il suo mito sarebbe rimasto inesauribile fonte di ispirazione per scrittori e cantanti nei decenni a seguire, tra i quali Andrea G. Pinketts, Pino D’Angiò, Paolo Belli, Franco Califano, e Sergio Caputo, che nei primi album, Sabato italiano e Italiani mambo, si rifà esplicitamente proprio alle atmosfere e all’estetica buscaglioniana. Intramontabile Fred.

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