sabato 9 dicembre 2006

Gabriella, grintosa ragazza del Bagaglino

Dal Secolo d'Italia del 21 giugno 2006
rubrica "Sei un mito"

«C'era anche la cantante Gabriella Ferri, allora giovane e attraente, che aveva debuttato al Bagaglino, per la quale lui aveva scritto quella canzone, Sempre, così carica di nostalgie che mi fece pensare: questa è un'altra canzone repubblichina».La voce narrante è quella di Carlo Mazzantini ne il bel libro L’ultimo repubblichino (Marsilio, 2005) e «lui» è Mario Castellacci (1924-2002), brillante autore teatrale, televisivo e cinematografico, ma soprattutto indimenticato protagonista della “via italiana al cabaret” rappresentata dal Bagaglino. L’episodio riferito vede i due ex ragazzi di Salò una sera a cena «davanti ad un paio di bottiglie di Dolcetto d’Alba» a parlare di un passato mai rinnegato e di canzoni che hanno accompagnato la storia dolce e amara di anni nei quali «si poteva scegliere la parte sbagliata per nobili motivi e quella giusta per calcolo e opportunismo».S e l’autoironica Le donne non ci vogliono più bene (Canzone strafottente), il cui autore è lo stesso Castellacci, è definita da Mazzantini «il nostro manifesto in versi, la sola canzone nata direttamente dalle nostre file, su frasi che volavano qua e là fra i nostri commilitoni», Sempre, magistralmente interpretata da Gabriella Ferri, evoca nello scrittore romano le stesse sensazioni, difficili da spiegare ai ragazzi di oggi:«perché la storia è sgusciata via da un’altra parte, ma io la mia parola l’ho mantenuta». La canzone, edita nel ‘73 da I dischi dal Bagaglino, resta prima in hit parade per ben diciotto settimane. La Ferri impazza alla radio e a luglio Rumor dà vita al suo quarto governo. E’ l’anno della strage di Primavalle, che rimarrà sciagurato simbolo dell’odio politico, e del colpo militare di Pinochet in Cile, icona della destra più estrema.Gli occhi degli italiani sono puntati sul varietà televisivo che ha per protagonista Gabriella Ferri, Dove sta Zazà (dal nome del brano napoletano del dopoguerra rilanciato in motivo di successo dalla stessa Ferri), di cui Sempre è anche la sigla finale.Ne basteranno quattro puntate, in quel lontano ‘73, affinché l’artista romana si imponga al grande pubblico con il suo inconfondibile talento, una efficace quanto naturale impronta di capacità istrionica e spiccata personalità, doti spesso estranee alle pur avvenenti ma stereotipate soubrettes che prolifereranno in una televisione che vivrà di repliche, replicanti e veline senza più ritrovare, se non occasionalmente, la magia e la commozione di quegli anni.Non è un caso se, nel giugno del 2005, a poco più di un anno dalla morte di Gabriella Ferri, avvenuta per suicido nell’aprile 2004 (ma la famiglia negherà questa versione preferendo parlare di incidente), Patty Pravo decide di aprire il suo tour estivo con un’anteprima a Viterbo cantando e dedicandole proprio la sua canzone più famosa, Sempre.Diverse eppure simili, la “ragazza del Piper” e la “ragazza del Bagaglino”: algida e distaccata la prima, almeno quanto scanzonata e guascona la seconda. Si contenderanno l’appellativo di “Edith Piaf italiana”. Della cantante francese (1915-1963) di Non, je ne regrette rien, hanno l’anticonformismo e voci caratterizzate da mille sfumature, rauche e dolci al tempo stesso.In quella occasione, la Pravo dirà: «Gabriella Ferri è stata uccisa dal sistema. Un sistema che ti schiaccia se non sei considerata vincente o se si è scomodi. Non era una persona facile, ma i veri artisti andrebbero tutelati e non accantonati».Frasi che potrebbero sembrare di circostanza, ma non lo sono.E’ facile celebrare ex post gli artisti nel tentativo, a volte neanche tanto celato, di farne santini di parte. Ci ha provato, nei giorni successivi la morte, Rifondazione comunista, improvvisando iniziative e commemorazioni, ma l’impresa era impossibile.Gabriella Ferri era la non allineata per antonomasia, eccessiva, irregolare, fuori posto anche quando teneva il centro della scena. E’ rimasta se stessa sino alla fine, esuberante ma inquieta, ironica sino a diventare beffarda, grintosa e arrabbiata, in una parola: spigolosa.Incurante dei sorrisini di sufficienza con cui i critici “impegnati” si ostinavano a snobbarla, considerandola una trascurabile cantante regionale, più adatta, con i suoi ritornelli romaneschi, alle osterie di quanto non lo fosse, per estrazione e scelta, ai salotti romani.Nata nel 1942 nel quartiere popolare di Testaccio, all’alba dei Sessanta, per inseguire i suoi sogni, arriva sino a Milano. Ma trova la maturità artistica nella sua Roma, grazie a quei matti del neonato Bagaglino, il primo cabaret spudoratamente di destra applaudito dall’Italia antifascista, tanto più in sintonia con il pubblico quanto osteggiato dalla critica di sinistra.I fondatori sono cinque giornalisti e un musicista con «duecentomila lire in cassa e un contratto di affitto con una cantinaccia umida e fangosa». Gli autori di punta sono Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore, che seguiranno l’artista romana in tutta la sua carriera.Di quella stravagante famiglia un po’ fascista e un po’ anarchica, sicuramente «fuori e contro», come è scritto sul primo numero dell’omonima rivista, Gabriella Ferri è figlia e sorella, insieme ai protagonisti di quegli anni, dal palermitano Pino Caruso al giovane Oreste Lionello, da Leo Valeriano a Pippo Franco. Non inseguono la sinistra sul terreno dell’invettiva, il loro è un umorismo che fa sorridere mentre punge.La canzone manifesto è Bella miao, irriverente satira di Bella ciao, totem della Repubblica nata dalla Resistenza, che, come ha ricordato il cofondatore Luciano Cirri, «era diventata una sorta di inno nazionale che ricordava tutto l’odio che si era accumulato nella guerra civile d’Italia».Nel ‘65 la popolarità di Gabriella Ferri è alle stelle, ma raggiunge l’apice del successo negli anni Settanta.Pubblica l’album omonimo (‘70) e riceve la consacrazione televisiva con trasmissioni di prima serata, scritte da Pingitore e Castellacci, come Dove sta Zazà, Mazzabubù (‘75) e Giochiamo al varieté (‘80).Se oggi la canzone popolare romana e napoletana appartengono a pieno titolo alla tradizione della musica italiana, lo si deve anche a lei, che con la sua contagiosa passionalità ha realizzato, musicalmente parlando, l’unità del grande pubblico italiano.Il suo coinvolgente repertorio spaziava dagli stornelli romani alle canzoni d’autore, dalle ballate della mala, nelle quali rifaceva il verso alla milanese Vanoni, alla rivisitazione di vecchi successi americani, senza mai dimenticare le sue origini di cantante folk.Aldo grasso ha scritto:«ha saputo imporre anche in televisione i moduli del cabaret con la sua impietosa e scabra espressività».Ma non si è mai seduta sugli allori.Non ha badato ad amministrare il successo.Non si è piegata alle logiche del mercato discografico.Non ha sposato le nuove mode.Non si è iscritta al club delle ospitate televisive a gettone.Altri suoi colleghi, negli anni Ottanta, si sono dimostrati abilissimi nello sfruttare sapientemente l’onda del revival dei Sessanta, finendo con il diventare, a volte assai poco dignitosamente, caricatura di loro stessi e di un periodo inevitabilmente alle spalle.Nel grande circo dei talk show, nel quale vecchi “urlatori” dal ruggito in playback facevano e rifacevano il verso a ciò che erano stati, lei ha scelto di ritirarsi dalle scene.L’ha fatto silenziosamente, senza rilasciare interviste piagnucolose, limitandosi a graffiare con la consueta ironia: «Restare lontano dal pubblico è difficile, restare lontana dalla televisione non tanto, perché proprio non riuscivo ad immaginare come potevo andare a cantare una delle mie canzoni, come Le mantellate, tra un quiz e l’altro?»Eppure le sue canzoni hanno fatto epoca molto di più di tanti successi stagionali, dimenticati senza rimpianti.La sola interpretazione de La società dei magnaccioni ha venduto 1 milione 700 mila copie, canzoni come Tanto pe’ cantà, Una gita ai castelli, Tutti al mare (a mostrar le chiappe chiare), Rosamunda, Vecchia Roma, Malafemmena, Io te vurria vasà, hanno rappresentato la nostra musica ben oltre i confini nazionali.Le hanno cucito addosso molte definizioni, alcune ingenerose, come “zingara – clown”.«L’anima di una città nella voce di una donna», ha scritto qualcuno. E di sicuro lei, romana verace, aveva un rapporto forte con il popolo, tanto che, nonostante l’abbandono dalle scene, le sue canzoni sono destinate a fare epoca.Il suo accidentato percorso artistico assomiglia, nell’epilogo, ad una parabola senza lieto fine.Afflitta dal male oscuro, alterna tournée di successo all’estero, occasionali passaggi televisivi, persino l’incisione di un album, Ritorno al futuro (‘97), a periodi di silenzio e anonimato sino all’esilio a Corchiano, nel viterbese, e alla fine drammatica.Pippo Franco, il giorno dopo la morte, sceglierà l’Indipendente di Giordano Bruno Guerri e Luciano Lanna per rivolgerle l’ultimo saluto, Pingitore parlerà di «dolore terribile».Perché era e rimarrà sempre la ragazza del Bagaglino, la sfrontata giovanissima con il caschetto d’oro che si permette di celebrare, da destra, il mito di Che Guevara. La canzone, Addio Che, scritta per lei da Pingitore, uscirà in 45 giri insieme al Mercenario di Lucera di Pino Caruso, sul lato B.E anche il vincolo tra la Ferri e Castellacci, l’autore di tutte (quasi) le sue canzoni, resiste ancora, incurante della loro assenza terrena. Lo scorso mese di maggio si è tenuta la prima edizione del premio per la commedia musicale dedicato all’autore calabrese, un genere nel quale Castellacci è stato maestro indiscusso. Negli anni Ottanta la sua Forza venite gente, ispirata alla vita di San Francesco, contò addirittura tremila repliche.L’opera teatrale vincitrice è Roma, di Giuliano Compagno e Valeria De Luca e racconta «la Roma del Bagaglino, del cinema, degli anni di piombo, dei giovani dal ’65 ai primi Ottanta». Protagonista è Giulia, personaggio ispirato proprio a una Gabriella Ferri più giovane, viva e ribelle che mai, che – parafrasando il testo di Sempre – è un mito e non certo «un vecchio ritornello che nessuno canta più».

Nessun commento: