giovedì 17 maggio 2007

Un fasciocomunista e tanti luoghi comuni

Dal mensile Area di maggio 2007
Accio Benassi, lo straordinario protagonista dalla «vita scriteriata» de Il Fasciocomunista, nato dalla geniale penna di Antonio Pennacchi, è tornato. E non soltanto in libreria, nell’edizione economica “Piccola biblioteca oscar” prontamente ristampata dalla Mondadori, ma direttamente sul grande schermo, come meritano i grandi personaggi della letteratura. Nel film, ottimamente interpretato da Elio Germano, è esattamente come l’avevamo conosciuto leggendo il libro: irresistibilmente strafottente, rompiscatole ed esuberante. Tanto da mettere in ombra persino il divo del momento, Riccardo Scamarcio, passato dal ruolo del destrorso Step nel “mocciano” Ho voglia di te a quello del fratello bello, bravo e comunista di Accio, Manrico. Figlio unico, com’è sottolineato nel titolo, che il regista Luchetti ha scelto ascoltando con il suo i-pod la celebre canzone di Rino Gaetano, Mio fratello è figlio unico. Scelta azzeccatissima, perché se Manrico è il figlio prediletto e coccolato della famiglia Benassi, come tale destinato agli studi classici, Accio ne è la pecora nera. Nerissima. Svanita la vocazione religiosa di seminarista, Accio alle aule sorde e grigie dell’istituto per geometri preferisce i locali polverosi (e da rimbiancare) della sezione missina di Latina, Littoria per i camerati, di cui diventerà segretario giovanile. Ma è la piazza, soprattutto, ad attrarlo, la politica vissuta come impegno totalizzante e contrapposizione ideale e fisica. Espulso dal partito per aver dato vita ad una manifestazione antiamericana, dopo mille peripezie finirà per ritrovarsi sulla stessa barricata di Manrico, nel frattempo diventato carismatico leader politico e sindacale.Diciamolo subito: il film è fatto bene, con intelligenza e maestria, è di quelle pellicole ambiziose e ruffiane, che si fanno amare senza discutere. Il cast è di qualità, scelto con cura. Eccezionale il giovanissimo Emanuele Propizio nell’interpretazione di Accio da ragazzino. Bravissima Angela Finocchiaro nel ruolo della madre, talmente parziale da giustificare gli scioperi - rossi - di Manrico ma non quelli - neri - di Accio. E sin troppo credibile è Luca Zingaretti nel rendere il personaggio dell’ambulante fascista una vera e propria caricatura, l’ottusità personificata. «Ma la colpa non è sua, è di chi ha scritto il film, che ha rappresentato ancora una volta lo stereotipo del fascista stupido, ignorante e violento». Antonio Pennacchi - che nessuno si è preso la briga di consultare, come se Accio fosse figlio di n.n. e non una creatura letteraria con un padre che peraltro l’ha riconosciuto, in buona parte, come autobiografico - non ci sta. E l’ha detto chiaramente, denunciando prima sul Secolo d’Italia e poi sul Corriere della Sera il tradimento del libro, cui il film è liberamente (troppo, a suo parere) ispirato: «Hanno raccontato un’altra storia, hanno tradito lo spirito originale del romanzo, distinguendo ancora una volta tra buoni e cattivi: i teppisti a destra e i bravi ragazzi a sinistra e invece le differenze non sono così nette. Non hanno reso un buon servizio alla comunità nazionale, che ha bisogno di ricomposizione, di una visione unitaria della nostra storia nella quale anche i fascisti siano finalmente considerati essere umani. Ne è venuto fuori un film girotondino, hanno fatto La meglio Gioventù 2». Il che non è esattamente un complimento, tanto meno quando Pennacchi definisce «scannastorie» gli sceneggiatori, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, gli stessi - per l’appunto - de La meglio Gioventù. Ed il film, indubbiamente, pur nella sua godibilità, non rinuncia ad una robusta dose di luoghi comuni e banalizzazioni, trattando con maggiore rispetto il travaglio di chi milita a sinistra e liquidando frettolosamente come ribellismo generico e reazionario quello di destra. La “conversione” di Accio, da fascista a comunista (che nel romanzo ricalca le esperienze di Pennacchi, che lo hanno portato dal Msi al Pci, sino ai Ds, sempre da non allineato), diventa l’apoteosi del politicamente corretto: il fascio s’è ravveduto, mentre Manrico, pur quando compie la scelta della lotta armata, rimane - semmai - il compagno che sbaglia.“Loro”, gli sceneggiatori, respingono l’accusa. Più che un racconto politico di quegli anni turbolenti, è sull’emotività dei personaggi che dicono di aver investito. Lo stesso Luchetti sostiene di «non aver voluto fare un film politico, ma un film in cui ci sono esseri umani che parlano di politica». La verità è che quel sornione disarmante di Accio si è fatto voler bene, li ha conquistati tutti, a partire da Elio Germano: «Ho interpretato un personaggio poco raccomandabile, ma anche una persona tenera che mi ha insegnato molto. Non volevo appiattirmi sul clichè del figlio di puttana. I ragazzi di destra a quei tempi parlavano di onore e patria. Apposta menavano, si sono persi un sacco di cose, la musica, gli spinelli». Germano (’80) per interpretare Accio si è documentato, ha visionato filmati dell’Istituto Luce, considera il Viaggio al termine della notte di Céline il suo libro preferito, ma dimostra di conservare qualche pregiudizio sui “ragazzi di destra”, altrimenti non si comprenderebbe lo stupore nel constatare come «molti obiettivi sono trasversali, me ne sono accorto parlando con gente di destra. Penso alla solidarietà, per esempio: in genere si identifica con la sinistra, invece ci sono anche organizzazioni di destra che lavorano per gli stessi risultati». Grazie! E poi, rassicuriamolo una volta per tutte: non ci siamo fatti mancare nulla, chi più, chi meno. Una parola, infine, va spesa per Luchetti, che è tornato alla regia per regalarci un bellissimo film, pagando un singolare prezzo personale. In un’intervista rilasciata a Io donna, femminile del Corriere della Sera, si è detto «devastato» dall’incontro con i “fascisti” conosciuti prima di iniziare le riprese: «Molti mi erano simpatici: mi piaceva il loro senso di pulizia morale, il rispetto del loro codice etico, pur non condividendolo. Ero abbastanza sconvolto da questa mia ambiguità. Mi avevano insegnato che con i fascisti non si parla e non si tratta, invece quei discorsi ideali e sballati, che non portano da nessuna parte, possiedono un’idea di trasformazione che ha fatto parte della coscienza collettiva».Insomma, il film merita il successo che sta riscuotendo, Accio è di quei personaggi destinati a rimanere nell’immaginario comune, perché con tutti i suoi difetti rimane un non conforme. E se è certamente vero che la collocazione politica non è garanzia sufficiente per certificare le qualità di una persona, non possiamo che dare ragione a Elio: «Credo che oggi la vera spaccatura sia tra chi vuole apparire, frequenta la gente giusta per avere successo e organizza vita e lavoro in funzione di quello, e chi invece sceglie un suo percorso interiore, fa le cose per il gusto di farle. Un po’ come Manrico, che diventa terrorista anche perché a quei tempi andava così, e Accio, che a volte è insopportabile ma alla fine ascolta se stesso, più che un gruppo o le mode». Accio, uno di noi. Malgrado molti.

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