venerdì 1 giugno 2007

Non perdiamoci tra Wayne e Moretti

Posto l'intervento di Enzo Raisi (amministratore del Secolo d'Italia, nella foto) pubblicato oggi sul quotidiano di Alleanza Nazionale in riferimento al mio articolo Ecce Nanni.

Le due volte che sono andato a vedere dei film di Nanni Moretti mi sono addormentato. Del regista romano serbo ancora il ricordo di quando si presentò in Parlamento nella passata legislatura con il canocchiale per vedere da vicino i parlamentari che osavano votare una delle leggi pro-Berlusconi: è stato l'unico elemento comico che ho trovato in lui. D'Altra parte amo John Wayne e il luminare della goliardia Renzo Arbore. Posso io trovare interesse per un tenebroso e introverso come Moretti? Detto questo, mi sono stupito delle critiche di alcuni amici per un articolo - apparso nella rubrica "Appropriazioni (in)debite" - elogiativo di alcune opere del cineasta romano apparso due giorni fa sulle pagine del nostro giornale.
Il quotidiano comunista il manifesto ha fatto due pagine intere di elogio al mio mito cinematografico, John Wayne, così come anche l'Unità, e non ho visto critiche di Mussi, Folena o Minniti per questa scelta fatta da due giornali che si collocano nell'area della sinistra. E' invece sintomo di un forte provincialismo reagire in modo pavloviano ogni qualvolta a destra si cerca di analizzare i modelli culturali altrui in modo libero e fuori da schemi ideologici. La cosa che più mi diverte è che ogni volta si reagisce innalzando la bandiera dell'identità. Peccato che nessuno di questi critici mi abbia mai spiegato cos'è questa identità, perchè il giorno in cui il partitone dell'identità decidesse di declinare il suo pensiero assisteremmo a una conflittualità interna dalle conseguenze inimmaginabili. Ritengo invece che stiamo vivendo un'epoca di transizione culturale in cui le contaminazioni e il confronto potrebbero portare a quelle risposte che il mondo della politica va cercando di fronte ai cambiamenti epocali a cui stiamo assistendo in tutto il mondo. Se la destra europea sta diventando vincente, non solo politicamente, è perchè ha saputo confrontarsi con il cambiamento e ricrearsi una identità anche con nuove contaminazioni.
Negli anni, i Fraga, gli Chirac, le Thatcher sono stati sostituiti dagli Aznar, dai Sarkozy e dai Cameron attraverso svolte culturali che il partitone dell'identità avrebbe prima contestato e poi impedito. Una destra moderna sa, infatti, anche invadere il campo altrui con l'unico limite che il pensiero deve essere coerente e sostanziare un progetto politico, anche perchè ha paura di perdere l'identità solo chi non ha radici profonde o ha le idee confuse. Qualcuno dice, da questo punto di vista, che a volte il nostro giornale ecceda nelle provocazioni: non sono uomo di cultura ma ritengo che portare il lettore a una lettura più attenta e critica di certi autori, di certi filoni, di alcune tendenze, sia il dovere di un giornale che si colloca tra i quotidiani di opinione, i cosiddetti "secondi giornali". Interviste, articoli di approfondimento politico, incursioni culturali: questi sono gli strumenti utilizzabili da un giornale di partito che vuole fare opinione e suscitare un autentico - e non autoreferenziale - dibattito culturale e politico, non restando nel limbo della comunicazione interna stile vecchia Pravda.
Certo, non sempre si è d'accordo. Il mio pensiero sul cinema di Nanni Moretti l'ho espresso chiaramente, ma non per questo ci si deve risentire magari rilasciando dichiarazioni poco edificanti sulle pagine di altri quotidiani. Il Secolo è la casa di tutti coloro che vogliono contribuire ad un dibattito di idee che faccia crescere la destra politica e culturale nel nostro Paese. Senza miti incapacitanti si diceva una volta (do you remember Marco Tarchi?) come il troppo abusato concetto dell'identità, dietro al quale spesso rileviamo solo poche idee e peraltro confuse.
Non dimentichiamo, infine, che sul piano culturale paghiamo ancora le conseguenze di una anomalia tutta italiana, originatasi da un monopolio nel campo della cultura - università o cinema poco importa - esercitato per decenni dalla sinistra. Solo negli ultimi dieci anni o quindici anni sono apparsi nuovi soggetti e operatori che spesso in piena solitudine e senza alcun appoggio - dobbiamo far ammenda per questo - hanno rotto un cerchio che impediva nel nostro Paese un serio confronto di idee e dove l'ortodossia aveva creato barriere alla libera espressione e al libro pensiero tanto da portare, ad esempio, il cinema italiano ai minimi storici. Vogliamo da destra compiere il medesimo errore ricorrendo alla bandiera dell'identità? Non mi sembra il caso. In questo, soprattutto in questo, dobbiamo veramente essere differenti dalla sinistra.

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