Dal mensile Area, luglio - agosto 2007
Perché Tex Willer ha testimonial autorevoli come Sergio Cofferati, che gli ha persino dedicato una pubblicazione (Il mio amico Tex), Fausto Bertinotti ha confessato di «sentirsi come Dylan Dog» (e in effetti fondare un partito comunista è mestiere da “indagatore dell’incubo”), Walter Veltroni – che è politico più prudente – non è andato oltre il doppiaggio del personaggio Rino Tacchino, sindaco della comunità degli uccelli, nel film d'animazione della Disney Chicken Little - Amici per le penne, mentre invece nessun “big” si è pronunciato in favore del nostro Jerry Drake, alias Mister No, quando, sei mesi fa, la serie mensile dedicata a questo antieroe indisciplinato e gaudente, con un caratteraccio tale da meritarsi cotanto soprannome, dopo una più che trentennale onorata carriera, si è conclusa?
La domanda è per Roberto Diso, (classe di ferro ’32, nell'autoritratto), disegnatore “storico” della collana, vera e propria colonna del fumetto italiano, che nel frattempo non si è certamente riposato: è sempre troppo poco il tempo a disposizione per dedicarsi alla pittura dei suoi quadri simbolici e surreali.
La domanda è per Roberto Diso, (classe di ferro ’32, nell'autoritratto), disegnatore “storico” della collana, vera e propria colonna del fumetto italiano, che nel frattempo non si è certamente riposato: è sempre troppo poco il tempo a disposizione per dedicarsi alla pittura dei suoi quadri simbolici e surreali.
Alla domanda, Diso – che, va detto, nel panorama dei disegnatori è una mosca bianca (bianca si fa per dire), essendo uno dei pochissimi, se non l’unico, dichiaratamente di destra – ride. Per porgliela l’abbiamo raggiunto nel suo studio di Formello, impegnato a disegnare l’ennesimo albo di Tex, piacevolmente sorpreso dal ritorno in pista (perché la notizia è questa!) di un personaggio che ha contribuito in modo determinante a caratterizzare.
«Perchè Tex è uno affidabile, si sa da che parte sta, ovvero con i deboli, è il fratello buono che sa sempre cosa è giusto fare. Immedesimarsi con Mister No è più complicato, esporsi in un giudizio di simpatia per lui sarebbe più pericoloso perchè è uno che può farti fare brutta figura, è imprevedibile, può giocarti qualsiasi scherzo, dire qualcosa di politicamente scorretto o deludere le aspettative, perché magari ha solo voglia di farsi un bicchiere ed essere lasciato in pace. Per questo è sempre stato guardato con sospetto, non hanno mai capito da che parte stesse, è un tipo problematico, istintivo, umorale, non si allinea con il pensiero dominante».
«Perchè Tex è uno affidabile, si sa da che parte sta, ovvero con i deboli, è il fratello buono che sa sempre cosa è giusto fare. Immedesimarsi con Mister No è più complicato, esporsi in un giudizio di simpatia per lui sarebbe più pericoloso perchè è uno che può farti fare brutta figura, è imprevedibile, può giocarti qualsiasi scherzo, dire qualcosa di politicamente scorretto o deludere le aspettative, perché magari ha solo voglia di farsi un bicchiere ed essere lasciato in pace. Per questo è sempre stato guardato con sospetto, non hanno mai capito da che parte stesse, è un tipo problematico, istintivo, umorale, non si allinea con il pensiero dominante».
Ma questo non era un buon motivo per chiudere la serie, protesto. Perché Zagor e Tex non corrono rischi del genere?
«Zagor e Tex resistono perchè vivono in un'epoca idealizzata, dove il tempo non trascorre, non devono confrontarsi con l'attualità. Il loro è un mondo che non esiste e non richiede ricerche e approfondimenti. Mister No, invece, è legato al suo tempo, ha fatto la guerra di Crimea, cose che quando il fumetto è nato erano ancora ben impresse nella memoria collettiva, poi i temi e i luoghi che lo hanno caratterizzato sono passati di moda, malgrado lui (e naturalmente Bonelli) sia stato un antesignano di battaglie come quella per la difesa dell'Amazzonia e degli indios. Adesso il rispetto dell’ambiente si studia a scuola, anche se i giovanissimi sono indifferenti a certi valori, che sono di tutti anche se siamo più noi i portabandiera. A sinistra prevaleva quel sentirsi culturalisti che portava a snobbare il fumetto perché troppo popolare».
Quanto le è mancato e quanto le somiglia Mister No?
«Mi è mancato, sì. L’ho visto nascere e gli ho dedicato molto della mia vita professionale. Quando disegni con amore è inevitabile trasferire qualcosa di sé. Dell’interruzione se ne parlava da parecchio tempo ma l’ho vissuta ugualmente con rammarico. Negli ultimi tempi il personaggio era come se fosse entrato in crisi depressiva, cambiato rispetto a quello iniziale, sempre sopra le righe, allegro, autoironico. Non ho mai capito perché si sia provato questo escamotage».
Mi consenta un gioco. Con chi si sarebbe schierato Mister No negli anni Settanta in Italia?
«Sarebbe stato a guardare, non dimentichiamoci che è un americano e per loro ciò che sta dietro al mondo della nostra politica è incomprensibile e poi i nostri avversari sono bravi a mistificare la realtà e a far passare una cosa per l'altra. Lui non combatte contro i mulini a vento per partito preso, semmai non sopporta le ingiustizie e detesta i prepotenti, avrebbe preso posizione volta per volta, anche in maniera contraddittoria».
Un’ultima domanda: perchè a noi piace così tanto Mister No?
«Perchè siamo anarcoindividualisti come lui, ci assomiglia anche nei difetti, è più vicino al nostro mondo che a qualsiasi altro. Noi di destra siamo dei lupi solitari, siamo tutti individualisti, quasi mai compatti sulle cose… e questo è un guaio, non sei d’accordo?». Sì, direi proprio di sì. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene, Mister No – dicevamo – è tornato in edicola. L’avevamo lasciato sulla quarta di copertina dell’ultimo numero della serie mensile, (Una nuova vita, n. 379, dicembre 2006), con lo sguardo un po’ malinconico e la pistola in pugno - disegnato a tutta pagina ancora una volta dal tratto morbido e inimitabile di Roberto Diso - che ci salutava con un auspicio, fortunatamente fondato: «Non sono mai stato bravo con gli addii, ma questo, in fondo, è un arrivederci, no?» A nulla era valsa la levata di scudi dei tantissimi lettori (le vendite, pur diminuite sensibilmente negli anni, rimanevano sopra la soglia dei 20.000 albi mensili). La decisione della chiusura sembrava irrevocabile. Sofferta, perché Sergio Bonelli non è soltanto l’editore di Mister No, ma ne è il padre, così come di Zagor. Ma, dei due fratelli, lo scanzonato pilota, quello che il patriarca del fumetto italiano aveva creato nel lontano ’75 a propria immagine e somiglianza, animato dalla stessa passione per l’Amazzonia, era stato sacrificato sull’altare del mercato. Dicevano che non avesse più niente da dire, che fosse stato sconfitto dalla modernità, che un reduce di guerra è personaggio troppo distante dall’immaginario contemporaneo per sedurre giovani “bombardati” da televisione e playstation. Lo stesso Mister No, nell’albo citato, aveva confessato, con una punta di rassegnazione, di non riconoscere in Manaus la città sonnolenta e tranquilla che aveva scelto per fuggire dalla guerra ma anche «dai tentacoli di una nuova società che aveva sostituito la violenza di quel conflitto armato con veleni più sottili ma non meno pericolosi: arrivismo, voglia di emergere a tutti i costi e con tutti i mezzi, culto del successo e della ricchezza, esaltazione dei valori materiali e schiavitù del consumismo». Per continuare a coltivare un personale quanto anacronistico senso dell’onore, non poteva che salire a bordo del suo Piper e, dopo avergli assestato il solito paio di calci per farlo decollare, cercare un altro nascondiglio. Guido Nolitta, pseudonimo di Bonelli - che da anni non scriveva più i testi della sua creatura - stavolta non se l’era sentita di delegare lo spiacevole compito ad altri e aveva scritto di proprio pugno la lunga (e bella) sceneggiatura che congedava Mister No dal suo pubblico. «Gli eroi sono stanchi» aveva scritto Bonelli parafrasando il titolo di un vecchio film francese con Yves Montand. Fortunatamente, sei mesi sono stati sufficienti perché quella testa dura di Jerry Drake si ritemprasse e tornasse in edicola. Da protagonista. Addirittura con la ristampa completa dell’intera collana, che Sergio Bonelli ha affidato ad un «editore/amico», Gianni Bono, che con le edizioni If ha già ripubblicato - con successo - altre storie “bonelliane” come Il comandante Mark, Storia del West e Nick Raider.
A Bono, che è anche uno storico del fumetto italiano, abbiamo chiesto: perché proprio Mister No?
«Meritava un’altra occasione, rimane un personaggio attualissimo e originale, tanto più adesso che purtroppo si va verso la “globalizzazione” nella grafica dei fumetti. Trovare sceneggiatori bravi è un’impresa, di disegnatori ce ne sono sin troppi ma disegnano tutti allo stesso modo. Mentre invece Mister No, cucito sulla pelle del proprio autore, è il prodotto di una persona eccezionale».
La ristampa della If avrà cadenza mensile e, insieme a nuovi “redazionali” su argomenti amazzonici, ogni albo offrirà due storie della serie originale in rigoroso ordine cronologico. Ma attenzione: il nostro torna anche con storie inedite targate Bonelli. Gli albi Speciali, fermi dal 2001 al quindicesimo numero, da annuali diventano semestrali e ripartono dal n. 16, Il tesoro maledetto (164 pag. € 4,80). E riprendono proprio da dove avevamo lasciato il nostro Jerry, intento a bere whisky insieme all’amico di sempre Otto Kruger, detto Esse Esse - «ex spia di Hitler» lo sfotte Mister No - nel Bar La Paz di Rurrenabaque, piccolissimo sperduto paese della Bolivia, dove la stravagante coppia ha deciso di ricominciare una nuova vita. Fuori diluvia e tra un bicchiere e l’altro ricordano una storia che si riallaccia direttamente al mitico numero 1. Non aggiungiamo altro, se non che vale il prezzo di copertina, affidata, neanche a dirlo, a Roberto Diso.
1 commento:
Come sai, io sono un di quelli che già da piccoli adoravano Mister No, e che si sono sempre identificati in lui. Peccato che la caratteristica bonelliana dell'albo mensile ne fece un personaggio pieno di potenziale, forse il più alto del fumetto italiano, ma anche un'occasione sprecata per ciò che poteva esprimere.
L'ideale sarebbe stata una pubblicazione trimestrale o semestrale, da curare alla grande, sceneggiata da Bonelli (nonostante le troppe didascalie e certe lungaggini, e lui quello che ha scritto le storie più belle, contestualizzate e realistiche - non certo Castelli) e disegnata da Diso.
Avremmo avuto un prodotto altissimo e attualissimo, come "Lo Sconosciuto" di Magnus.
Comunque bell'articolo, anche se non capisco questo continuo insistere su chi è di destra e chi di sinistra. O meglio, lo capisco ma non lo condivido.
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