martedì 3 luglio 2007

Non retorica, ma memoria condivisa (di Pierluigi Biondi)

Dal Secolo d'Italia di martedì 3 luglio 2007
Costi della politica? “Entente cordiale” tra sinistra e mondo finanziario? Consorte, Unipol e conversazioni telefoniche scovenienti? Se non fosse che nel dopoguerra i telefonini non esistevano, potremmo dire che siamo al deja-vu. Altro che Casta! Renzo De Felice due conti se l’era fatti: «se per mantenere un partigiano, alla fine del 1943, servivano mille lire, agli inizi del 1945 ne costava 3 mila e anche 8 mila, nelle zone più dispendiose, insomma, la questione economica si era fatta politica». E allora chi meglio di un banchiere per ricoprire l’incarico di presidente del Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI)? A chi toccò il compito di organizzare e gestire la complessa rete di finanziamenti alla resistenza da parte di Alleati, industriali e istituti di credito negli anni più crudi della storia nazionale, i diciotto mesi compresi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945? Ad Alfredo Pizzoni, di professione dirigente di banca, moderato gradito a liberali e democristiani. Un signore, un borghese nel pieno senso della parola, un uomo che – sempre per dirla con lo storico reatino – «per la vulgata non è mai esistito e forse non esisterà mai». Perché all’indomani del 25 aprile venne liquidato senza tanti complimenti dai vari Nenni, Parri, Longo, Pertini e condannato alla damnatio memoriae. Già allora a sinistra si limitavano a fare il tifo calcistico, meno a praticare la solidarietà di squadra, e anche questa non è una notizia.
A far rivivere Pizzoni tra le pagine del suo romanzo Mio cugino il fascista (Robin BdV, 2005, pp. 360, € 15), ci ha pensato Vincenzo Ciampi con un libro molto delicato, ben scritto, divertente in certi passaggi, commovente in altri e in cui si intravede chiaramente il grande lavoro di ricerca storica fatta dall’autore, alla sua prima fatica letteraria. Raggiunto dal Secolo, Ciampi precisa che il suo è stato solo un tentativo (decisamente riuscito, va detto) di raccontare una storia, non la Storia. Date ed avvenimenti – nonché qualche personaggio, come nel caso di Pizzoni che nel libro è l’ingegner Pietro Longhi – sono reali ma rimangono sullo sfondo, a far da coreografia, la sceneggiatura è tutta nelle vicende dei cugini Alex e Michele, due ragazzi trovatisi quasi per caso a percorrere scelte opposte che gli cambieranno la vita. Nel 2008 Ciampi pubblicherà, sempre per la Robin BdV, due libri, entrambi ambientati nell’antica Roma. Il primo, la cui uscita è prevista per l’inizio dell’anno, si chiamerà Le congiure parallele ed è un agile saggio contenente delle considerazioni originali sulle Idi di Marzo e sul complotto che costò la vita a Giulio Cesare. L’altro, in libreria intorno a maggio, è una storia sulle battaglie politiche a Roma ed è imperniato intorno alla figura di Fulvia, donna ambiziosa dal carattere avido e temibile, che fu moglie del tribuno della plebe Clodio e del triumviro della Repubblica Marco Antonio. Il titolo è Nulla se non il corpo e prende in prestito la definizione che di Fulvia diede lo storico Velleio Patercolo: “di femminile non aveva nulla se non il corpo”. Ciampi sembra avere una certa dimestichezza nel raccontare fatti di lotte e di fazioni – 2000 o 60 anni fa poco importa – in cui è difficile catalogare con certezza buoni e cattivi. Proprio come in Mio cugino il fascista che, quando è uscito, non ha ottenuto l’attenzione che avrebbe meritato, anche se a rimediare, come spesso accade, ci hanno pensato i lettori: il romanzo è stato premiato nel corso della settima edizione della manifestazione “Premio Città di Cuneo” grazie al giudizio – Ciampi ci tiene a sottolinearlo – «di una giuria popolare che non comprendeva critici di professione». Eppure «quando ho vinto io in pochi l’hanno riportato, quest’anno che sono in lizza le opere prime di Veltroni e Franceschini (primo caso di ticket politico-letterario, ndr) se ne fa, invece, un gran parlare». Il libro, su cui vale la pena riaccendere uno squarcio di luce, racconta di un’amicizia «capace di resistere a una delle più grandi tragedie del secolo scorso»: quella tra i cugini Alex e Michele. Figlio di un alto graduato in pensione («che non aveva mai cercato incarichi politici») Michele Anastasi è un giovane laureato in legge che, grazie ai buoni uffici del padre, viene impiegato nella filiale romana della Banca diretta da Aristide Dell’Acqua, un uomo «imponente, con il viso rotondo e affabile arricchito da un bel paio di baffi bianchi alla Bismarck». Dell’Acqua e l’ammiraglio Anastasi vivono il fascismo senza molti entusiasmi, ne accettano le regole con distacco e trasmettono questa freddezza a Michele che, quando può, evita accuratamente parate ed adunate. Tutto il contrario di suo cugino, Alessandro Costantini, detto Alex, di qualche anno più grande di lui. Irriverente e guascone, dongiovanni impenitente, viveur e festaiolo, è nel giro che conta del fascismo toscano, quello – per intenderci – di Ciano e Pavolini, giovani brillanti ed in rapida ascesa di cui è intimo amico. I due cugini, pur così diversi nel carattere: intraprendente e sfrontato l’uno, timoroso e riservato l’altro, diventano inseparabili nel corso delle estati vissute al mare di Forte dei Marmi. La spensieratezza della riviera versiliana fa da cornice alle scorribande della coppia, amorevolmente tollerate dalla madre di Michele che prova un affetto smisurato per quel nipote impertinente, figlio del fratello morto in un incidente d’auto. I tempi, però, stanno cambiando: Mussolini ha proclamato l’Impero e Alex va in Africa Orientale con un incarico non meglio definito al seguito dell’entourage di Ciano. Anche Michele fa la sua breve esperienza di guerra in Albania, da dove torna un po’ malconcio: congedato dal servizio riprende il suo impiego nella Banca. Non è più tempo di villeggiature, ormai il destino dei due cugini è nella capitale dove Alex, nel frattempo, ha fatto carriera nel Partito. Quando Michele lo incontra nel suo lussuoso alloggio di largo Argentina, con sorpresa lo trova vestito di tutto punto nell’uniforme d’ordinanza: stivali, sahariana e camicia nera. «Sempre più fascista?» gli chiede, e lui: «Fascistissimo, non si vede? Comunque, è molto raro che mi vesta così. Oggi lo faccio perché più tardi devo incontrare dei gerarconi a una cerimonia». Michele non si lascia sfuggire l’occasione di punzecchiarlo: «Magari sei anche tu un gerarcone, o stai per diventarlo». «In un certo senso sì, ma senza troppe pagliacciate. Io bado alla sostanza». L’adesione di Alex al regime è convinta ma non acritica: quelli dell’Ovra, ad esempio, sono descritti come mestatori da bassifondi, «personaggi squallidi, dei morti di fame che si venderebbero anche la madre». Ne ha anche per le alte sfere del Pnf: «nel Partito, anche in posti di rilievo, troviamo un discreto numero di mezze seghe che si credono padreterni». Il suo, invece, è un fascismo romantico ed aristocratico: «noi siamo gli unici che guardano al futuro… Noi siamo ancora poveri, è vero, ma siamo giovani come nazione e come spirito; abbiamo vitalità, intelligenza, coraggio… e allora perché dovremmo accettare ancora il posto di comprimari?». Con il precipitare degi eventi né Alex né Michele saranno dei comprimari. Il camerata Costantini persevera nella sua militanza, condividendo fino in fondo con gli ultimi irriducibili l’esperienza crepuscolare della Repubblica sociale. L’impacciato bancario, invece, segue Dell’Acqua al nord e lì si mette al servizio della causa resistenziale maneggiando il denaro destinato alla guerra partigiana. Le loro strade continuano furtivamente ad incrociarsi, fino a quando Michele propone ad Alex una resa onorevole: espatriare in Svizzera attraverso uno scambio di prigionieri. Questi all’inizio accetta ma poi desiste dall’intento perché la ragazza che deve seguirlo oltre confine non fa in tempo ad arrivare all’appuntamento: si tratta di Ines, giovane di origini ebree, conosciuta anni addietro in una delle frequenti serate mondane e che Alex ha strappato dalle grinfie di un marito violento ed arrogante, incline al gioco e che la “vende” al tavolo verde durante una mano di poker. Nel tentativo di raggiungerla nel suo rifugio veneto, Alex viene scoperto e messo al muro. Assecondando le ultime volontà del cugino, Michele si reca da Ines e la trova incinta del figlio di Alex. La guerra è finita ma l’eco delle rappresaglie al nord non si è ancora spento e tanti altri ancora pagheranno il loro debito ai furori ideologici. È molto chiaro Ciampi nel dichiarare di «non amare la retorica che ha creato, da una parte e dall’altra, un esercito di eroi; certo, l’immagine del partigiano combattente per la libertà e costretto a subire le torture dei fascisti, così come quella del ragazzo di Salò, idealista e arruolatosi per difendere l’onore dell’Italia, hanno riscontro nella realtà, ma sono una minoranza rispetto alle tante storie di chi si ritrovò da un lato o dall’altro molto spesso per circostanze che poco hanno a che fare con le convinzioni politiche». Allo stesso modo – da appassionato di storia – non gli piace la letteratura arruffona alla Dan Brown («lo dico con un pizzico di invidia: lui vende milioni di copie, io con il mio libro ho raggiunto quota 1500») e descrive la querelle tra Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca come «un litigio tra vecchietti». Ciampi si rende conto, comunque, di aver compiuto un esercizio rischioso. « I personaggi che ho descritto potrebbero far storcere il naso a qualcuno: il fascista umanizzato e finanche simpatico è uno di questi, così come il banchiere che tratta con Alleati e grandi industriali per far arrivare i rifornimenti in denaro alla resistenza. Ma questa è la dimostrazione che, tra bene e male, i confini non sono mai così netti».
Gli chiediamo come si senta, a cinquantadue anni, a competere con colleghi che, molto spesso, danno alle stampe i loro esordi narrativi che non ne hanno compiuti ancora trenta: «non sono a disagio, anche se è normale che le case editrici preferiscano investire su autori più giovani. Per me la scrittura – così come la storia, l’avrete capito – è un piacere e non un obbligo, prendo le cose così come vengono». Non deve essere facile farsi spazio in un ambiente contaminato, insieme alla cinematografia, dal “licealismo”, tanto più adesso che sempre più attori si scoprono anche scrittori (il caso, emblematico, è quello di Nicolas Vaporidis, interprete di Notte prima degli esami 1 e 2, il cui Bravissimo a sbagliare è stato immediatamente accolto nel catalogo Mondadori). Ma c’è da credere che di Vincenzo Ciampi torneremo presto a sentir parlare.
Pierluigi Biondi, 33 anni (L'Aquila), giornalista, collaboratore dell'Ufficio Stampa del Consiglio Regionale d'Abruzzo, sindaco di Villa Sant'Angelo (Aq) dal 2004.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so se la netiquette approvi il commento di un autore in un blog nel quale si parla di lui. Nel dubbio, lo faccio.
In raltà, non voglio commentare me stesso. ma neppure limitarmi a ringraziare per l'attenzione. Per me, elettore del centrosinistra , che tale resterà, l'attenzione da parte del mondo culturale di destra assume un valore ancora maggiore. Ci sono cose di cui è necessario parlare. La maggior soddisfazione ricevuta dal mio romanzo - mi perdonino i miei pochi recensori - è stata la mezza giornata passata a discutere del libro con una platea composta esclusivamente da studenti delle medie superiori. Del periodo resistenziale, della guerra, del fascismo quei ragazzi sapevano ben poco. Ma dalle loro domande e dalle loro osservazioni ho capito che , rinunciando al tentativo di coinvogerli, commettiamo un delitto.

Vincenzo Ciampi

Anonimo ha detto...

Bravo Pierluigi!
Michele

Anonimo ha detto...

Gentile Vincenzo e tutti,
nel leggere e leggerti mi venivano in mente gli echi di Carlo Mazzantini.... ma non so spiegarti bene il perche'.... Interessante è anche l'acuta osservazione che segue: "il romanzo è stato premiato nel corso della settima edizione della manifestazione “Premio Città di Cuneo” grazie al giudizio – Ciampi ci tiene a sottolinearlo – «di una giuria popolare che non comprendeva critici di professione». Eppure «quando ho vinto io in pochi l’hanno riportato, quest’anno che sono in lizza le opere prime di Veltroni e Franceschini (primo caso di ticket politico-letterario, ndr) se ne fa, invece, un gran parlare». Interessante e da rifletterci su soprattutto perché questa sera si svolge la kermesse romana della casta del Premio Strega (da se' se la suonano e cantano). Interessante cercare di capire i meccanismi di un premio e di una premiazione...
Complimenti, a prescindere

Cordialmente
Susanna Dolci

Anonimo ha detto...

Riporto un articolo del 15 giugno 2000: "Carlo Mazzantini, il cui libro Ognuno ha tanta storia (Marsilio) è stato escluso dalla cinquina del Premio Campiello..." ecc. ecc.: la storia non cambia.
Margaret - la figlia - disse del padre che “è stato quarant’anni a scrivere lo stesso libro. Viveva celato nel suo studio, ma ogni tanto scendeva, ci leggeva febbrilmente dei pezzi e si commuoveva...". E' forse proprio questo - tra le altre cose - quello che manca ai critici di professione: la capacità di ragionare con il cuore...
D'altronde lo diceva anche Guccini (mica uno qualsiasi!): "voi critici voi personaggi austeri, militanti severi...".
Ciao Pierluigi

Anonimo ha detto...

Per Pierluigi:

Quello che hai riportato vale pienamente la sua lettura...
Grazie

E complimenti ancora, a prescindere

Cordialmente
Susanna Dolci

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Il romanzo - segnalatomi mesi fa da Pierluigi - mi è piaciuto molto, dico davvero. Non mi resta che aspettare le prossime opere di Vincenzo!
Grazie anche per il commento sul blog.