giovedì 6 settembre 2007

Beppe Grillo: fatti non foste a viver come consumatori (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
dal Secolo d'Italia di mercoledi 6 giugno 2007
rubrica settimanale "Appropriazioni (in)debite"

Tutti contenti, quando Beppe Grillo faceva solo ridere. Quando il suo obiettivo sembrava essere lo stesso degli innumerevoli altri “volti nuovi” della televisione: emergere dalla massa delle aspiranti star e acchiappare il successo. La popolarità. I quattrini. Ritagliandosi così uno spazio più o meno stabile nell’immenso, e perennemente aggiornato, Album Panini della Notorietà Nazionale. Un posto al sole. Un posto nel coro.
Tutti tranquilli, all’epoca. Perché si sa come sono i comici. Soffiano sul fuoco delle polemiche, e polemichette, del momento e fanno a gara a chi sprizza più scintille. Scintille, non fiammate. Scintille che un attimo prima richiamano lo sguardo e un attimo dopo sono già svanite, risucchiate dal buio. O dalla canna del camino. Oppure (‘sti bricconi) masticano di gran carriera il chewing-gum della cronaca e ci tirano fuori tanti bei palloncini colorati. Ooooh: guarda come si gonfiano. Buuum: senti come scoppiano. Aaaah: tranquilli, non fanno male a nessuno.
Quel Beppe Grillo lì andava bene. Anche perché dava una bella mano a tirare su gli indici di ascolto, prima ed essenziale ragion d’essere del baraccone televisivo. Sei telegatti. 22 milioni di audience durante l’incursione al Festival di Sanremo del 1989. Cifre troppo apprezzabili, e appetibili, per rinunciarvi a cuor leggero. «Quando lavoravo alla Rai, ogni sabato sera, prima di andare in onda, mi chiamava il direttore generale Biagio Agnes: “Con la stima che ci lega, signor Grillo, si ricordi che lei si rivolge alle famiglie”. Io regolarmente rispondevo: “Non c'è nessuna stima, signor Agnes, fra me e la sua famiglia...”. La censura della Rai democristiana non era brutale e intimidatoria, violenta e ottusa come quella di oggi. Non cercava di annientarti, di rovinarti con le denunce. Era più bonaria, famigliare, melliflua. Si presentava col volto del vecchio zio burbero-benefico, che ti dà buoni consigli per il tuo bene. E tu, con un po' di astuzia, la potevi aggirare».
Poi, però, le cose sono cambiate: un po’ per volta, com’è normale in un viaggio che non si attiene a un itinerario prefissato, ma anche con delle accelerazioni improvvise. Con delle scartate (a sinistra?!) imprevedibili. A forza di usare la sua interiezione preferita – “Ma avete visto?!” – Grillo deve aver cominciato a domandarselo a sua volta. Ma ho visto? Ho visto davvero? Ho capito realmente, e fino in fondo, quello che c’era da capire?
La risposta dev’essere stata negativa, almeno in parte. Benché le chiavi di lettura più impegnative rimanessero ancora di là da venire, ha iniziato ad affiorare un atteggiamento diverso. I vizi e le assurdità della vita pubblica e privata, ovverosia le classiche cose che colpiscono l’attenzione di un comico che sia qualcosa di meglio di un battutista da avanspettacolo, hanno smesso di essere solo degli spunti efficaci per scatenare le risa del pubblico e si sono trasformate nei punti di partenza di una vera e propria riflessione. Dettagli di un disegno che in larga misura restava nascosto. Tracce di fenomeni assai più vasti di quanto appariva a prima vista. Indizi, forse, di strategie così capillari, e coerenti, e ciniche, da sconfinare nella macchinazione, su vasta o vastissima scala.
Il comico Beppe Grillo, professionista di grandissimo successo, ha cominciato a dover fare i conti col signor Giuseppe Grillo, individuo di inesauribile curiosità. Logico: nonostante tutti i vantaggi e i privilegi che se ne possono trarre, non è che l’appartenenza al mondo dello spettacolo ti collochi del tutto in un universo distinto da quello abitato dalla gente qualsiasi. Sia pure in modo più sfumato, grazie alle mille barriere protettive assicurate dalla ricchezza e dalla fama, le ripercussioni dei grandi fenomeni sociali ed economici, italiani e internazionali, finiscono col coinvolgerti comunque. Le guerre. Il terrorismo. La grande delinquenza e la microcriminalità. L’inquinamento. Il degrado della politica. L’abuso come prassi abituale.
Il signor Giuseppe Grillo ha rivendicato il suo diritto di capire. Il comico Beppe Grillo non si è opposto. Al contrario: ha messo le sue risorse e le sue capacità al servizio di quella ricerca, in attesa di usare le proprie doti per comunicarne i risultati anche al pubblico. Ma guarda: oltre ai soliti percorsi della comicità, che partono dai fatterelli e si allontanano dalla realtà in direzione della caricatura (dell’iperbole, del paradosso), ce ne poteva essere un altro. Invece di restare il supremo punto d’arrivo, il traguardo decisivo, e irrinunciabile, della sua abilità di intrattenitore, le risate del pubblico hanno preso ad assumere un valore diverso. Benché importantissime, per riscaldare l’atmosfera e ottenere la massima partecipazione, le risate hanno iniziato a essere un mezzo, piuttosto che un fine. Uno strumento da utilizzare per raggiungere un obiettivo più complesso del puro e semplice divertimento. L’onda d’urto che investe il muro dell’omologazione e permette, se non proprio di abbatterlo all’istante, di aprirvi delle crepe vistose. Delle vie di fuga, se preferite.
E’ quello che è successo. I risultati delle sue ricerche, dei suoi approfondimenti, delle sue indagini, si sono andati a riversare nei suoi monologhi. Con gli effetti che sappiamo. Appena è stato chiaro che lui non voleva soltanto far ridere ma anche far pensare, e, per di più, fino al punto di modificare in profondità il modo di ragionare di chi stava ad ascoltarlo, la sua presenza in televisione è diventata troppo ingombrante. Ed è scattato l’ostracismo.
Le porte della RAI si sono chiuse. Quelle di Mediaset non si erano mai aperte. L’unica cosa che restava da fare (Giorgio Gaber docet) era infischiarsene dell’agorà virtuale della televisione e dedicarsi, con tutto il gusto e con tutta la fatica del teatro itinerante, alle piazze reali. Città e cittadine sparse per la penisola. Gente in carne e ossa. Ogni sera la sfida, e l’adrenalina, di una folla da conquistare. Ogni volta le incognite, e le sorprese, di un’idea di spettacolo da reinventare: sempre meno intrattenimento, sempre più psicodramma collettivo. Se siete qui per non pensare avete sbagliato indirizzo. Non è mica il filmone di Natale di Boldi & De Sica. Qui si ride, come no, ma c’è anche tutto il resto. E il resto non è affatto un optional. Il resto è la sostanza. Il vero motivo per cui sono venuto fin qui. Per cui è valsa la pena di venirci.
I monologhi diventano arringhe. Esplicite. Programmatiche. Piene di verve e di battute ma, ancora di più, colme di dati, di ragionamenti, di rivelazioni. A cominciare dalla rivelazione fondamentale. La più nascosta. La più negata. Ecco qua, signore e signori, grandi e piccini, elettori di destra, di sinistra, di centro, egregi concittadini strapazzati, o peggio, in nome del Pil. Ecco qua: siamo vittime di un inganno clamoroso. Generalizzato. Pressoché invincibile.
«Alcuni amici - chimici, fisici, professori universitari - mi hanno aperto gli occhi. Mi hanno fatto capire che tutto dipende dall’economia. Mi hanno fatto scoprire quella clinica per malati mentali che è un supermercato, cosa c'è dietro un formaggino».
Il denaro: perché il potere di emettere nuova moneta spetta alle banche centrali, cioè a società private, invece che allo Stato, cioè a noi cittadini? Il petrolio: che fine hanno fatto le automobili che fanno 100 chilometri con due litri di benzina? E quelle a idrogeno? E quelle ad aria compressa? I farmaci: troppi, non sempre sicuri, sempre strapieni di controindicazioni. Il mito della velocità: colazione a Roma, pranzo a New York, cena a Los Angeles. Cosa c’è di più bello? Di più eccitante? Di più idiota?
Domande su domande. Come in un’indagine che comincia da un nonnulla (i quattrosoldi della tangente a Mario Chiesa per il “Pio Albergo Trivulzio”) e che si espande al di là di ogni possibile previsione. Una sorta di tangentopoli planetaria. Però senza giudici che si danno da fare. Senza nemmeno la parvenza di una scissione tra lo Stato che si è corrotto e lo Stato che combatte la corruzione. Solo – ed è così poco, ed è così tanto – le domande di chi non è disposto a fare finta di nulla. E qualche risposta: del tutto insufficiente a cambiare le cose, più che sufficiente a cominciare a capire quello che accade davvero, mentre noialtri consumatori ci inebriamo di supersconti e di rateizzazioni “a tasso zero” .
«Mi sono permesso di controllare l’ovvio, perché l’ovvio non lo controlla mai nessuno».E che cosa hai trovato, Beppe? Che cosa hai trovato, esattamente?

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