lunedì 17 settembre 2007

Il ritorno televisivo degli eroi (di Adriano Scianca)

Articolo di Adriano Scianca
dal Secolo d'Italia di sabato 8 settembre 2007

Ma sarà proprio vero che l'unica "impresa eccezionale è essere normale", come recitava, nel 1977, Lucio Dalla in Disperato erotico stomp? O avrà forse ragione il leggendario David Bowie berlinese che, nello stesso anno, cantava in Heroes: "possiamo essere Eroi, solo per un giorno"? Trent'anni dopo, l'arrivo sugli schermi italiani di una serie americana che già nel titolo riecheggia il brano del Duca bianco sembrerebbe dar ragione a quest'ultimo, piuttosto che al banale buonsenso dell'artista bolognese.
L'evento televisivo di questo settembre, infatti, sembra proprio essere Heroes, il telefilm che ha esordito domenica in prima visione assoluta su Italia 1, con la prima delle ventitre puntate della serie culto di là dall'Atlantico. Il telefilm, che ha debuttato sul canale televisivo Nbc il 25 settembre 2006, ha già letteralmente conquistato il pubblico giovane americano, inchiodando davanti alla tv oltre 15 milioni di telespettatori a puntata, mentre il format è stato venduto in 150 paesi. Il primo episodio, peraltro, ha immediatamente registrato il punteggio più alto di share per la fascia serale nell'ultimo quinquennio dell'emittente. La serie di ispirazione fantascientifica è stata ideata, scritta e prodotta da Tim Kring, ed annovera tra gli autori anche Jeph Loeb, che ha lavorato su Smallville, Lost e su diversi fumetti dei giganti del settore Marvel e DC. Il legame di Heroes con gli eroi di carta sembra del resto del tutto esplicito e indiscusso, tanto che nella serie non mancano piccoli e grandi omaggi al mondo dei comics: vedi il cammeo del mitico Stan Lee, creatore di Spider Man e degli X-Men, in veste di conducente di autobus nella puntata numero 16. L'intero cast del telefilm, del resto, è stato avvistato lo scorso luglio alla trentasettesima edizione del Comic-Con International, la mastodontica fiera del settore (trecento stand per centocinquanta mila visitatori) che si svolge ogni anno a San Diego.
Quanto al nucleo narrativo della serie, esso si struttura attorno alle vicende umane di persone apparentemente del tutto normali che a poco a poco si scoprono dotate di eccezionali abilità: capacità di volare, abilità nel modificare lo spazio-tempo, preveggenza, dominio mentale delle macchine e tutto il consueto armamentario di doti fantastiche da fumetto. Ognuno di loro convive con tali superpoteri in modo differente: c'è chi tenta di ignorarli continuando l'usuale tran tran quotidiano e chi invece accetta la sfida e tenta di farne l'occasione di un cambiamento radicale della propria esistenza. I loro destini si incroceranno con quelli di Mohinder, figlio del professor Suresh, un biologo indiano morto proprio durante studi su tale argomento, e con le trame oscure di una misteriosa entità che si è messa sulle tracce degli Heroes.
I supereroi, insomma, non muoiono mai, non solo nelle loro fantastiche esistenze, ma anche nell'immaginario collettivo postmoderno. Nati, non a caso, in quegli anni trenta del Novecento così permeati di suggestioni nietzscheane e futuriste, Superman, Batman, gli X-Men, Spiderman, Devil, Thor e Capitan America ci hanno accompagnato per tutto il secolo appena concluso e sembrano destinati a farci compagnia ancora a lungo in questo nuovo millennio. Persino le ripetute strumentalizzazioni cui gli eroi di carta sono andati incontro, con quel loro oscillare tra un conservatorismo puritano ed uno stucchevole freudismo da talk show, sembrano in qualche modo evaporare di fronte alla nuda potenza e forza d'attrattiva del tema supereroistico in sé. Come ha fatto notare Alessandro Di Nocera, del resto, nel momento del suo esordio sulle scene «l'Uomo d'Acciaio non nasconde alcun simbolismo recondito […]. Superman non rappresenta affatto, come è stato detto, la "dimensione interiore" del cittadino americano […] e nemmeno lo "spirito di forza" della factory o della macchina bellica statunitense» (Supereroi e superpoteri, Castelvecchi, Roma 2006, p. 393, 20€). Tutto questo, continua Di Nocera, appare solo a posteriori, mentre all'inizio il paladino di Metropolis non è altro che l'incarnazione pop di un certo spirito dominante nella cultura di fine Ottocento e inizio Novecento. Una cultura impregnata di fascinazione tecnologica e ispirazioni sovrumaniste di cui solo ora, forse, riusciamo a cogliere la piena attualità.
Del resto, anche nei supereroi di "seconda generazione", quelli creati da Stan Lee e Jack Kirby per la Marvel Comics a partire dagli anni sessanta, il tratto marcatamente "psicanalitico" (i "supereroi con superproblemi") finisce spesso per essere inconsciamente sublimato in una dimensione grandiosamente tragica. L'alterità del supereroe su cui gli autori insistono per indagarne il disagio interiore, diventa alla fine parte integrante del fascino faustiano del protagonista. Ecco quindi che in una saga come quella degli X-Men, creati nel 1963 da Lee e Kirby con presupposti "ideologici" di fondo piuttosto politicamente corretti, ciò che finisce per garantire il successo è la tematizzazione della diversità post-umana in chiave prometeica e titanica fatta propria dal "cattivo" Magneto, non certo il buonismo istituzionale del Dottor Xavier. È la mistica dell'homo superior che cattura il lettore (o, nel caso delle tre riduzioni cinematografiche del fumetto, lo spettatore), non certo la conformistica "normalizzazione" invocata più volte, senza troppa convinzione, dai "buoni" della saga.
È forse intuendo questa pericolosa dimensione nietzscheana insita in ogni epopea supereroistica che certa cultura moralistica non ha mai digerito Batman e soci. È esattamente per questi motivi che già nel 1954 l'allora sconosciuto psicologo Fredric Wertham pubblicò negli Stati Uniti il suo Seduction of the innocent (un libro "disgustoso", secondo le parole del grande Franck Miller, autore di Sin City), in cui si accusavano le opere di Marvel e DC di incitare i giovani alla violenza, al sesso o alla droga. È così che tutto ad un tratto l'esistenza conformistica dei bravi giovani americani veniva ad essere sconvolta dalle gesta di Batman e Robin, "chiaramente" una coppia omosessuale, mentre Wonder Woman rappresentava un pericolo per la sua indipendenza troppo femministica e per presunti richiami saffici o sado-maso. Si consideri che tali oniriche argomentazioni vennero all'epoca ritenute sufficienti per una convocazione di Wertham di fronte ad una commissione del senato degli Stati Uniti incaricata di occuparsi di delinquenza giovanile sotto la guida di Estes Kefauver, personalità particolarmente attiva nella lotta contro il crimine. Nella lunga testimonianza resa alla commissione, Wertham reiterò le tesi espresse nel suo libro ed indicò nei fumetti una delle maggiori cause della delinquenza giovanile. Franck Miller ricorda come tali inchieste finirono in una bolla di sapone, non senza aver bruciato nel frattempo la reputazione di ogni lavoratore del settore di fronte a milioni di famiglie americane: "Per un certo tempo chi lavorava nei fumetti non confessò neppure quale fosse la sua professione". Ed è forse pensando ai perbenisti alla Wertham che l'autore di 300 se la prende, nell'introduzione al suo The dark knight returns, contro "le insulse ruffiane teste parlanti", chiedendosi infine con malcelato disprezzo: "Cosa farebbero questo omuncoli se i giganti vivessero sulla terra? Come considererebbero un potente, volenteroso e ostinato eroe?".
Adriano Scianca (1980), laureato in filosofia, collaboratore di diverse riviste, giornali e siti web, nonchè appassionato di cultura non conforme, filosofia sovrumanista e pensiero postmoderno.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io però farei un distinguo tra i super eroi degli anni trenta e quelli attuali. Intendiamoci io la serie Heroes non l'ho vista ma ho visto per esempio Smalville e Spiderman. Quello che ho visto è che rispetto ai protagonisti degli anni trenta gli attuali supereroi sono ragazzi che hanno dei sentimenti, con dei conflitti interni perchè sanno che la loro vita non sarà una vita normale. Nelle serie degli anni trenta questo lato non si notava.