dalla prima pagina del Secolo d'Italia di venerdì 14 settembre
Forse sarà la sindrome di Caporetto, o forse sarà quel nazionalismo prêt-à-porter che in Italia è sempre in passerella, ma certo è che le reazioni, le attese, le retoriche che accompagnano ogni evento sportivo che coinvolge i colori nazionali hanno sempre il tono esaltato delle sfide per la vita o per la morte. Siamo o leoni o pecore, mai una decorosa via di mezzo. La Ferrari arriva seconda? E’ un fallimento. La nazionale di calcio pareggia in Francia? Siamo sull’orlo del baratro. Vince con gli ucraini? Eroici! Gli azzurri del basket escono dalle olimpiadi? Peggio di un bombardamento a tappeto. E così via con Valentino Rossi che da guerriero valorosi è “ormai distrutto e a fine carriera”, con la Ferrari (quella della ginnastica) che si dissolve ai mondiali, con la nazionale di rugby che vince contro i romeni ma senza averli schiacciati come meritavano. Perché da noi, se si deve vincere bisogna aver stravinto eroicamente, e se si perde lo si fa con ignominia. Se poi per qualche anno, solo per esempio, i nostri sciatori non vanno proprio benissimo, parte subito la litania della “valanga azzurra” che non c’è più.
«L'italiano - spiegava Ennio Flaiano - è un nazionalista convinto che vi dice come si doveva vincere l'ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima».
E’ un nazionalista cresciuto a furia di patacche sulle giacche, fasullo perché impone l’eterna vittoria sull’avversario, un nazionalista mai intimamente orgoglioso per quello che l’Italia – nello sport ma non solo – è di ventata nell’immaginario globale. Un nazionalista, in definitiva, profondamente antipatriottico. E’ così che noi italiani siamo diventati vittime di questo sentimento malato che pretende, ogni volta, la prova della nostra grandezza, che non ci permette mai di tirare un sospiro di sollievo per essere noi stessi, come disse Massimo Troisi «orsacchiotti per cinquanta giorni»: cittadini di un grande Paese che continua a saper dire molto a se stesso e al mondo. Senza troppi facili entusiasmi e ancor più facili depressioni.
PS. Conan non sono io, né so di quale collega sia lo pseudonimo. Sta di fatto che i suoi corsivi sono sempre interessanti e intelligentemente "provocatori". Li pubblico (e raccolgo) qui con l'intento di sottrarli alla breve vita dei quotidiani e confidando di alimentare - se vi va - un confronto sui contenuti.
1 commento:
Una provocazione.Al di là dei meriti di Valentino Rossi, quest'estate è giunta la notizia dell'indagine della Finanza a suo carico per evasione. E' seguita una sua dichiarazione in televisione, si è costituito un comitato per difenderlo. Ammirevole. Mi chiedo però perchè gli italiani siano sempre così beceri nei loro atteggiamenti. Se non sei nessuno, ovvero sei una persona come tante, e sei indagato per evasione ben difficilmente ti vengono concesse repliche sulle televisioni nazionali o si formano comitati. Valentino è una grande campione,ma credo che la parola sulla questione "evasione" la possano solo mettere gli organi preposti alle indagini. Cosa ne pensate?O forse perchè è un campione è meglio e più scusabile di altri?
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