Articolo di Filippo Rossi
Dal Secolo d'Italia di venerdì 12 ottobre 2007
Partiamo da uno di quei sillogismi fasulli del tipo: Maria ha un gatto, il gatto magia i topi, Maria mangia i topi. Oppure, Maria è un gatto? Boh, sempre stati complicati questi giochetti di retorica. Eccone uno, comunque, che serve al nostro scopo: San Sebastiano sarebbe il santo più amato dagli omossessuali, lo scrittore Yukio Mishima – che, tra le altre cose, era omosessuale – venerava San Sebastiano, San Sebastiano sarebbe omosessuale. Non state a pensarci troppo su, non ha alcun senso come d’altra parte ha pochissimo senso la tesi di fondo di un libro proprio su questo genere di ragionamenti: Omosessuali di destra, di Marco Fraquelli, (Rubettino, pp. 220, euro 12.00), è infatti un volume carico di informazioni, forse troppe, denso di intrighi culturali, forse troppi, colmo di retroscena, decisamente troppi. Questa mole di informazioni misteriose, di particolari pruriginosi e citazioni abbacinanti sarebbero servite, secondo l’autore, a dimostrare un assunto in realtà abbastanza ovvio: nel corso del Novecento sono esistiti politici, scrittori e intellettuali schierati a destra esplicitamente ed evidentemente (sono cose diverse) omosessuali. Fraquelli ha scelto la strada di una lista che sembra tanto di proscrizione. Punta il dito e affibbia etichette a gogò: quello è omosessuale; tizio è pederasta; l’altro forse, l’amico dell’amico sicuramente sì. E magari una volta si sono visti al bar.
Sorvoliamo sull’evidente cattivo gusto della copertina: due saluti romani in primo piano, braccia pelose, mani maschili, una delle quali con lo smalto, quasi a far coincidere l’omossesualità tout court con il mascheramento e il travestitismo. Ma tantè, il metodo, in realtà, è questo per tutte le duecento pagine del volume: il gusto traverso per la promiscuità e ignominia buttato addosso al lettore in un crogiuolo sodomitico di stampo trash che arraffa su tutto, senza distinzioni, senza spiegazione con la sola voglia di stupire, di allarmare, di dannare. E così nel lungo elenco, che parte da Giulio Cesare (!) e anche prima, si può trovare veramente tutto: le SS, i nazionalsocialisti, la notte dei cristalli e quella dei lunghi coltelli, le orge, i marchettari, tante storie di corna, gli arditi, i Wanderwögel, Fiume, D’Annunzio, Mishima, ovviamente, e poi il neonazismo tedesco, la Nouvelle Droite francese, una spruzzata di feticismo e un pizzico di coprofilia e, tornando indietro, i collaborazionisti di Vichy, primo fra tutti il povero Robert Brasillach, e poi il paganesimo e il gusto estetico per la bellezza, le statue naziste e quelle fasciste, i corpi nudi, lo sport, il vitalismo, le trincee, ripassando per San Sebastiano: c’è anche lui nel libro, veramente.
Il tutto in un frullatore di melma di cui, primo fra tutti, dovrebbe offendersi il mondo omosessuale, soprattutto quando nella lettura si arriva all’assurdo (forse se ne accorge anche l’autore che mette le mani avanti nell’introduzione) di equiparare la pedofilia all’omosessualità. E ancora: nella smania bulimica di accatastare informazioni pur che siano, nel tentativo di dimostrare l’indimostrabile, il libro di Fraquelli perde una grande occasione: perché, è bene dirlo, le stesse notizie, gli stessi fatti, le stesse argomentazioni, le stesse fascinazioni, se depurate da un tasso di astio e partigianeria sopra ogni livello consentito (non si capisce oltretutto se più omofoba o più antifascista), sarebbero potute servire a spiegare un fenomeno evidente ma che in pochi hanno cercato di analizzare con serietà analitica: la contraddizione di una cultura novecentesca che, nata movimentista e libertaria, si èritrovata ad attraversare le tempeste d’acciaio e il totalitarismo fra le due guerre, senza mai tematizzare fino in fondo la questione – tendenzialmente risolta sul piano esistenziale – dei diritti civili rispetto delle cosiddette scelte individuali. Si è trattato solo di fascinazioni estetiche ingabbiate negli stivaloni di qualche gerarca in vena di facile avventure con qualche soldatino sottomesso? O c’è stato anche dell’altro? Se l’autore di Omosessuali di destra non fosse caduto nella tentazione del modello Cronaca vera o Storie di corna avrebbe potuto dar risalto a quello che, tra le righe, è quasi costretto a spiegare lo stesso, purtoppo come se fosse un contorno ininfluente, perché la “ciccia” è altrove. In assenza di questo, sembra un remake di Una giornata particolare, il film di Ettore Scola in cui il professore omosessuale vive in silenzio nell’Italia fascista mentre Roma festeggia in camicia nera lavisita di Adolf Hitler.
Bisogna provare, allora, a raschiar via l’eccesso di crosta gossippara da questo Omosessuali di destra per vedere cosa rimane di un ragionamento purtroppo inbrigliato in una cifra scandalistica che la serietà dell’argomento non meritava proprio. Perché, se c’è stata una tentazione sotterranea, e c’è stata, tra la cultura novecentesca e il mondo omosessuale, se ci sono stati avvicinamenti e corteggiamenti, se ci sono state false indifferenze e ampie tolleranze, le strade per affrontare l’argomento sono almeno tre. Quella scelta da Marco Fraquelli di buttarla in caciara, per limitarsi alla scandalo e al gioco di ”provocare“ a destra; l’altra che una certa destra culturale troppe volte sceglie per semplice pigrizia mentale: della serie, questioni private, oppure, semplici coincidenze. E infine c’è la strada più onesta intellettualmente: quella di mettere in campo i fatti e le argomentazioni e cercare di spiegare un rapporto che non si può né esaltare con fare da adolescenti arrapati né sottacere come se nulla fosse mai esistito, come se tutto fosse casuale. Dimenticando gli scritti di Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele D’Annunzio, dimenticando Yukio Mishima e Giovanni Comisso, dimenticando Abel Bonnard e Giò Stajano, mettendo in soffitta l’innamoramento per questi autori nonostante (proprio per?) il loro libertarismo. Dimenticando, insomma, un filone esistenziale prima che culturale e politico che ha atttaversato a buon diritto, più o meno sottotraccia, tutto il secolo passato e che oggi, solo per i casi della politica bipolare, sembra ritrovarsi scomodamente a sinistra.
Il tutto in un frullatore di melma di cui, primo fra tutti, dovrebbe offendersi il mondo omosessuale, soprattutto quando nella lettura si arriva all’assurdo (forse se ne accorge anche l’autore che mette le mani avanti nell’introduzione) di equiparare la pedofilia all’omosessualità. E ancora: nella smania bulimica di accatastare informazioni pur che siano, nel tentativo di dimostrare l’indimostrabile, il libro di Fraquelli perde una grande occasione: perché, è bene dirlo, le stesse notizie, gli stessi fatti, le stesse argomentazioni, le stesse fascinazioni, se depurate da un tasso di astio e partigianeria sopra ogni livello consentito (non si capisce oltretutto se più omofoba o più antifascista), sarebbero potute servire a spiegare un fenomeno evidente ma che in pochi hanno cercato di analizzare con serietà analitica: la contraddizione di una cultura novecentesca che, nata movimentista e libertaria, si èritrovata ad attraversare le tempeste d’acciaio e il totalitarismo fra le due guerre, senza mai tematizzare fino in fondo la questione – tendenzialmente risolta sul piano esistenziale – dei diritti civili rispetto delle cosiddette scelte individuali. Si è trattato solo di fascinazioni estetiche ingabbiate negli stivaloni di qualche gerarca in vena di facile avventure con qualche soldatino sottomesso? O c’è stato anche dell’altro? Se l’autore di Omosessuali di destra non fosse caduto nella tentazione del modello Cronaca vera o Storie di corna avrebbe potuto dar risalto a quello che, tra le righe, è quasi costretto a spiegare lo stesso, purtoppo come se fosse un contorno ininfluente, perché la “ciccia” è altrove. In assenza di questo, sembra un remake di Una giornata particolare, il film di Ettore Scola in cui il professore omosessuale vive in silenzio nell’Italia fascista mentre Roma festeggia in camicia nera lavisita di Adolf Hitler.
Bisogna provare, allora, a raschiar via l’eccesso di crosta gossippara da questo Omosessuali di destra per vedere cosa rimane di un ragionamento purtroppo inbrigliato in una cifra scandalistica che la serietà dell’argomento non meritava proprio. Perché, se c’è stata una tentazione sotterranea, e c’è stata, tra la cultura novecentesca e il mondo omosessuale, se ci sono stati avvicinamenti e corteggiamenti, se ci sono state false indifferenze e ampie tolleranze, le strade per affrontare l’argomento sono almeno tre. Quella scelta da Marco Fraquelli di buttarla in caciara, per limitarsi alla scandalo e al gioco di ”provocare“ a destra; l’altra che una certa destra culturale troppe volte sceglie per semplice pigrizia mentale: della serie, questioni private, oppure, semplici coincidenze. E infine c’è la strada più onesta intellettualmente: quella di mettere in campo i fatti e le argomentazioni e cercare di spiegare un rapporto che non si può né esaltare con fare da adolescenti arrapati né sottacere come se nulla fosse mai esistito, come se tutto fosse casuale. Dimenticando gli scritti di Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele D’Annunzio, dimenticando Yukio Mishima e Giovanni Comisso, dimenticando Abel Bonnard e Giò Stajano, mettendo in soffitta l’innamoramento per questi autori nonostante (proprio per?) il loro libertarismo. Dimenticando, insomma, un filone esistenziale prima che culturale e politico che ha atttaversato a buon diritto, più o meno sottotraccia, tutto il secolo passato e che oggi, solo per i casi della politica bipolare, sembra ritrovarsi scomodamente a sinistra.
Perché è indubbio che certe fascinazioni delle insofferenze giovanili di inizio Novecento, in Italia come in tutta Europa, parlavano anche la lingua della libertà sessuale, (per Marinetti, del resto, l’omosessualità era un «un gusto rispettabilissimo», i Wanderwögel particavano il nudismo, e così via...). Perché è vero, come ha egregiamente spiegato Claudia Salaris – nel suo bel saggio Alla festa della rivoluzione (Il Mulino) – la Fiume di D’Annunzio è stata, e al tempo stesso, culla del fascismo e cogiuolo della prima rivoluzione libertaria del secolo, e perché è sicuramente vero che, tra mille contraddizioni, le due guerre mondiali hanno rappresentato una fuga in avanti nei costumi della gioventù europea (la guerra come “sospensione" delle regole borghesi). Perché è altrettanto vero che una certa estetica, l’esaltazione della virilità, i corpi nudi, le statue classiche le masse in movimento, il gusto per la politica come spettacolo sono nate in quegli anni e non hanno più abbandonato l’uomo della modernità. Basti pensare che nel sul libro Senso. I costumi sessuali degli italiani dal 1880 a oggi, Marta Boneschi definisce «reazionario» il ventennio che va dalla fine della seconda guerra alla metà degli anni Sessanta. Come non ricordare, solo per fare qualche esempio, la copertura delle statue nude allo stadio dei Marmi di Roma. Sessuofobia?
Omofobia? Comunque, lasciando da parte le storie sordide e le piccolezze umane, il libro di Marco Fraquelli, allora, può diventare un ottimo strumento per approfondire tutto questo e cominciare a spiegare quello che a volte sembra inspiegabile. Ma per fare questo, forse, bisogna fuggire dall’idea ideologica (e razzista) che l’autore, e molti con lui molti a destra come a sinistra, sembra avere dell'omosessualità come entità monolitica, biologica e filosofica. Forse bisogna cominciare a ragionare sul Novecento e su tutte le effervescenze che lo hanno percorso con le categorie aperte e mobili della postmodernità.
Omofobia? Comunque, lasciando da parte le storie sordide e le piccolezze umane, il libro di Marco Fraquelli, allora, può diventare un ottimo strumento per approfondire tutto questo e cominciare a spiegare quello che a volte sembra inspiegabile. Ma per fare questo, forse, bisogna fuggire dall’idea ideologica (e razzista) che l’autore, e molti con lui molti a destra come a sinistra, sembra avere dell'omosessualità come entità monolitica, biologica e filosofica. Forse bisogna cominciare a ragionare sul Novecento e su tutte le effervescenze che lo hanno percorso con le categorie aperte e mobili della postmodernità.
È solo così che si può cominciare a ragionare – come ha spiegato Susan Sontag – che le dittature della prima metà del secolo scorso portavano in sé, ce lo spiega lo stesso Fraquelli, «anche un ideale di vita come arte, culto della bellezza, feticismo del coraggio, sentimento estatico...». Se secondo la scrittrice, il fascismo, incanalando pulsioni erotiche (Marinetti, Fiume) in energia e in desiderio guerriero, in culto estetizzante, in comunione giocosa con la comunità, finisce per erotizzarsi. Un paradosso? Forse. Ma la storia, come spiegava Prezzolini, per fortuna «è come un romanzo: imprevedibile, illogica, proprio per questo attaente». È quello che, purtroppo, Fraquelli non ha capito nello scrivere un libro che, senza la scelta scandalistica, poteva essere molto più utile per aprire un dibattito, ache a destra, su libertà sessuale e diritti civili. Un dibattito che deve partire proprio dall’onda lunga del Novecento, con tutte le contradizioni inspiegabile con una visione razionalista (e schematica) della storia.
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
8 commenti:
Carissimi,non è una battuta, ma questo è davvero un articolo con i controcoglioni.Complimenti a Filippo.
Gran bell'articolo, sì. E toccherà comprare anche il libro, malgrado ci farà incazzare.
Un abbraccio.
Sarà, ma un conto sono delle tensioni eroiche ed erotiche, il cameratismo, la condivisione di una intensa emotività in battaglia quando si combatte e in battaglia interiore quando si combatte ancor di più contro le proprie piccolezze. Ma un altro conto sono le relazioni omosessuali. Che non sono in nessun modo condivisibili. La bellezza, l'Amore, partecipano della Grazia di Dio e della creazione. La pederastia, no. Avrò un vago accento cattolico (forse talvolta, come in questo caso, nemmeno troppo velato), ma pur comprendendo e appoggiando appieno la filosofia e l'estetica libertaria (un po' meno l'etica, proprio perché etica) ritengo che ogni forma di diritto naturale debba chiarire quanto l'omossesualità sia devianza e non forma di libertà. Possiamo intavolare una seria discussione sulla libertà, ma non sui vizi perversi e contro natura. Nudismo, cameratismo e tutto quello che comporta la vita in una comunità fatta di uomini, non può comprendere in nessun modo la promiscuità. Per il resto complimenti per l'articolo, davvero puntuale. Per il libro, caro Roberto, aspetterò che Tu l'abbia letto. Poi casomai me lo racconti... Certe incazzature proprio non me le posso permettere. Metti che mi cascano i capelli?
A questo punto non rimane che misurarmi con il libro. Per quello che mi riguarda, ognuno può gestire la propria vita sessuale come meglio crede.
La penso come Roberto: ognuno si gestisca la propria vita sessuale come meglio crede. Anche se preferisco una visione complessa della sessualità, e in questo sono molto critico verso il cattolicesimo, seguendo la Cantarella. Per un pagano la parola "omosessuale" non avrebbe avuto significato. L'omosessualità, come la intendiamo noi, è nata con la fine del paganesimo. Eterosessualità e omosessualità, componenti maschili e femminili, sono in ognuno di noi: dipende da come vogliamo vivercele, dai momenti, da ciò che ci fa scegliere durante l'adolescenza ecc.
Quindi ognuno viva la sua sessualità come preferisce, con chi vuole, premesso il rispetto per tutti e per ognuno.
D'accordo, spero di non aver turbato nessuno con la pochezza delle mie idee e la mia grettezza. Resta chiaro il fatto, come dite voi, che poi ciascuno infra moenia fa come je pare...
Sono le rivendicazioni socio-culturali e filosofiche che non gradisco (o forse, essendo di estrazione cattolica e quindi un po' ottusa, non capisco). Ma in tema di libertà, forse, sono anch'io libero di apprezzare più le donne che gli uomini. Almeno nel mio letto (e non solo). Poi non essendo un grande intellettuale tante cose non le capisco... Nonostante laurea e tanti studi, resto un po' troppo terra terra.
Concordo con Roberto che dice che il libro dobbiamo leggerlo però ci farà incazzare. E tanto credo, perchè le mistificazioni possono infastidire.
Detto questo Fabrizio pone un problema condivisibile e che ripropongo: quanto certe tematiche stanno diventando mode?
Ho l'impressione che spesso il desiderio di scandalizzare, colpire, cercare di andare "contro" comunque e contro chiunque abbia molto di modaiolo.
Lo penso riguardo a gran parte del fenomeno gay, ma anche rispetto a fenomeni più generali...il "caso" Santacroce ad esempio...
"Ma in tema di libertà, forse, sono anch'io libero di apprezzare più le donne che gli uomini".
Bé... mi sembra legittimo e sacrosanto. Come anche l'idea che alla fine questo doversi sentire obbligati a rivendicare delle preferenze, oppure la tendenza a sessualizzare rapporti anche affettivi sia un po' uno dei mali del nostro tempo.
Alla fine si frequentano delle persone, ci si piace, il resto accade anche, ma non è solo quello...
"Ho l'impressione che spesso il desiderio di scandalizzare, colpire, cercare di andare "contro" comunque e contro chiunque abbia molto di modaiolo".
Concordo. Ma come dici tu, questo riguarda un po' tutto. Mi sono sempre chiesto: se nel passato i gay fossero stati meno perseguitati, oggi ci troveremmo in queste condizioni?
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