Dal Secolo d'Italia di sabato 6 ottobre 2007
«In guerra e in amore tutto è lecito». Questo è lo slogan che Gianfranco Manfredi ha scelto per il suo Volto Nascosto, la nuova miniserie mensile in quattordici uscite di cui quell’instancabile fabbricatore di sogni di Sergio Bonelli manderà in edicola il primo albo, "I predoni del deserto", già dal prossimo 10 ottobre. La presentazione ufficiale di questo “fumetto epico” – ambientato tra la Roma umbertina e l’Etiopia di fine Ottocento, sullo sfondo della prima guerra coloniale italiana – è prevista per domani nell’avvincente cornice di Romics, il festival del fumetto e dell’animazione che da giovedì sta tenendo alla nuova fiera di Roma la sua settima edizione. E sempre domani, giornata conclusiva di una manifestazione ricca di eventi, Gianfranco Manfredi, “papà” di Volto Nascosto ma anche di Magico Vento – sciamano dei Lakota, personaggio bonelliano di grande successo in Italia e all’estero che ha appena festeggiato dieci anni di presenza in edicola – verrà insignito del prestigioso Romics d’oro, riservato ai grandi maestri del fumetto internazionale.
Laureato in storia della filosofia a Milano, sua città d’adozione, Manfredi (Senigallia ’48), prima di cimentarsi con le “nuvolette parlanti” – è autore di storie anche per Dylan Dog, Tex e Nick Raider – ha esplorato ogni angolo dell’industria culturale italiana. Ha iniziato negli anni ’70 incidendo dischi e scrivendo anche testi per cantanti affermati come, per citarne alcuni, Ricky Gianco, Mia Martini e Gianna Nannini. Negli ’80 si è dedicato alla scrittura di romanzi pubblicando una decina di romanzi (quasi tutti editi da Feltrinelli) e saggi di critica musicale (suo il primo libro su Lucio Battisti), ma anche al cinema, recitando e collaborando con registi del calibro di Samperi, Steno, Corbucci e Troisi, e alla televisione (sua la sceneggiatura del telefilm a episodi Valentina del ’89, ispirato al conturbante personaggio di Guido Crepax). Nel ’91 l’approdo al fumetto, naturale crocevia tra immagini e testo e, ci dice Manfredi, «parte non secondaria della narrativa, anzi – per dirla con Goffredo Fofi – i fumetti, per le ricerche innovative di linguaggio e di modi espressivi, “sono più stimolanti di buona parte della narrativa e cinematografia italiana”». Salvo poi aggiustare il tiro: «E comunque si tratta pur sempre di intrattenimento, anche se di qualità, questo è un paese in cui tutti si prendono troppo sul serio». Frecciata neanche tanto velata a quegli intellettuali che, nel corso degli anni, hanno riservato ai fumetti stroncature snobistiche o, al contrario, attribuito velleità rivoluzionarie. Come ha scritto Sergio Brancato, studioso di teorie e tecniche dei linguaggi cinematografici e fondativi della cultura di massa, Manfredi è «diverso dagli italiani della sua generazione, quella del tramonto degli anni ’40, ancora soggiogata dal peso delle rovine lasciate dalla guerra e dal furore ideologico del realismo». Diversità che emerge dai suoi personaggi, dichiaratamente «post ideologici» e con una spiccata vocazione all’erranza, dalle atmosfere delle sue storie magiche, fantastiche, popolate di fantasmi – come nella sua prima serie a fumetti, Gordon Link, editrice Dardo ’91 – e capaci di grandi suggestioni immaginifiche come il west e il mito della frontiera in Magico Vento. E, naturalmente, dalle sue convinzioni artistiche. «L’illuminismo e il post-positivismo, il cosiddetto pensiero razionale, idealistico o quello del materialismo storico, hanno considerato la magia come un’eredità del passato – ha detto – di cui liberarsi tramite la ragione, ma il punto di vista magico dà evidenza alla realtà simbolica delle cose e si fonda sul senso prima che sull’intelletto. Per questo l’immaginario ha sconfitto l’ideologia, perché rielabora in maniera più compiuta i conflitti della modernità».
Manfredi, nei “formidabili” anni ’70, faceva parte dell’ala creativa del movimento: «Mi considero e mi consideravo un libertario in un periodo in cui si tendeva a ideologizzare tutto e inquadrare il mondo in categorie rassicuranti, il bene contro il male. Volevamo innovare le culture giovanili e non solo, impresa impossibile in un paese che ancora non riesce a uscire dalla trappola delle celebrazioni». L’accenno polemico è ai «sepolcri imbiancati», a chi ha celebrato «enfaticamente quanto acriticamente» il ’77 e si appresta a celebrare il ’68. «Si tirano fuori gli aspetti zuccherosi e si eliminano quelli sgradevoli, il tutto senza mai fare seriamente i conti con la propria storia. Si fa presto a dire che il “palazzo” non ascolta la società, cosa dovrebbero dire i ragazzi con certi genitori che invece di ascoltarli si autocelebrano ricordando i bei tempi?». I giovani di oggi – sottolinea Manfredi – dimostrano maggiore spirito critico e una nuova sensibilità rispetto ai lettori degli anni ’70, «che confondevano i sentimenti con la retorica, cioè con il falso sentimentalismo». Volto Nascosto si rivolge a loro ma non solo, a un pubblico «trasversale», non c’è la scelta di un target predefinito, gli ingredienti del romanzo popolare ci sono tutti: azioni spettacolari e imprevedibili, delitti, passioni, avventure e colpi di scena. Volto Nascosto, il protagonista, è un misterioso condottiero che indossa una maschera d’argento a nascondergli il viso. Viene dal Sudan, dove ha combattuto contro gli inglesi per poi diventare il braccio destro della Regina Taitù, moglie di Menelik II. «Non una first lady dei tempi moderni, ma una donna guerriero, un capo dell’esercito che non si sottrae alla battaglia». Intorno a loro ruotano i destini di altri tre personaggi: un giovane rappresentante di commercio, generoso e altruista, pronto a qualsiasi sacrificio per l’amicizia; uno spavaldo ufficiale di cavalleria dell’esercito italiano che ama l’avventura e una bellissima nobildonna disposta a tutto per amore. Disposta a tutto! «“In guerra e in amore tutto è lecito”. L’aspetto eccitante della guerra, come dell’amore, è che ti sia concesso di tutto. Volevo evitare di contrapporre – come facevano gli hippy – l’amore alla guerra: “Fate l’amore, non fate la guerra”. Fare l’amore può essere altrettanto devastante e così racconto di amori tempestosi, melodrammatici e tragici tipici dell’Ottocento. E nella storia non ci sono buoni e cattivi, non troverete la retorica del generale pazzo che tortura la povera vittima. Certo, se devo schierarmi – chiarisce – lo faccio dalla parte di chi è invaso e non di chi invade, ma la guerra è guerra, eroismi e infamità si distribuiscono in parti uguali».
Manfredi ci confessa che inizialmente aveva pensato di farne un romanzo “ottocentesco” – “genere” con cui si è già misurato brillantemente in Magia rossa (’82) e Il piccolo diavolo nero (2001) – ma poi ha preferito optare per il fumetto. «Non è semplice rendere efficacemente una scena di battaglia senza rischiare di diventare noiosi o di concentrarsi sulle tempeste emotive dei personaggi. Lo splendido scenario etiopico ma anche la Roma umbertina, con le sue botteghe aperte sul selciato e le chiese che spuntano dal nulla, possono essere rese in maniera decisamente più suggestiva dalle immagini». La narrativa contemporanea – osserva – ha dovuto prendere atto di come la capacità di immaginazione dei lettori si sia indebolita. «Perché devono perdere tempo a immaginare una scena quando possono tranquillamente vedere un film o leggere un fumetto senza fare alcuna fatica?». Immaginazione che certo non manca a Manfredi, che pure ha pescato nell’album dei ricordi familiari. «Mio padre e mio nonno materno passarono molti anni in Africa durante la guerra e anche io l’ho visitata un paio di volte». Così, nel primo episodio della saga, uno dei protagonisti, Ugo Pastore, segue il padre nel continente africano, dove è impegnato, come consulente di una grossa compagnia commerciale italiana, nella stipula di un trattato tra l’Italia e l’Etiopia. Trattato che risulterebbe difforme nelle diverse traduzioni, tanto da ingenerare un’incomprensione tra i paesi dalle conseguenze terribili. Assegnato in seguito ad una spedizione in Sudan, viene assalito dai predoni di Volto Nascosto e la storia entra nel vivo... Come mai, gli abbiamo chiesto, proprio la guerra coloniale? «Perché mi appassionava e ritenevo utile una riflessione su uno snodo incompiuto della nostra storia e delle fratture politico-culturali che hanno segnato l’identità nazionale. Perché nessuno dice che il colonialismo italiano (segnato dalle rovinose sconfitte di Amba Alagi, Macallè e Adua) non inizia, come molti credono, con Mussolini ma nel periodo liberale, post risorgimentale e prefascista con Crispi, un uomo di sinistra (anche se aveva i socialisti all’opposizione) e che l’invasione etiopica è approvata con il voto favorevole di diversi ex garibaldini, i mitici “liberatori” che si fanno “invasori”?». Forse perché oggi vanno di moda altri fenomeni, come il grillismo. «Il grillismo non è una novità e poi, diciamocelo, perché non parlare della altre “caste”, quella dei musicisti di successo che anche se appartengono a case discografiche diverse si mettono d’accordo per programmare le uscite e non sovrapporsi in classifiche di vendita preconfezionate… E le campagne pubblicitarie milionarie per promuovere un disco o un libro sono una cosa seria? E la casta dei comici? In questo paese tutti dovrebbero farsi un esame di coscienza prima di puntare il dito, accettare di fare una vita più modesta se davvero vogliono essere liberi e meno condizionati dal successo». Dopo un’assenza dal cinema di oltre dieci anni, Manfredi è tornato alla sceneggiatura per un solo film, Il trasformista di Luca Barbareschi, una pellicola non troppo fortunata del 2002. «Il cinema è cambiato molto negli ultimi anni, alla base del fumetto, invece, rimane un lavoro artigianale, senza effetti speciali, c’è chi scrive e chi disegna. Non dovendosi inventare nulla e non avendo i condizionamenti economici del cinema, ho preferito approfondire la forma espressiva del fumetto. Quello di Barbareschi fu un gran bel film, il primo di antipolitica vera in senso positivo. Ha mostrato le contraddizioni della nostra società senza schierarsi in maniera strumentale. E lo ha fatto senza godere della grancassa dell’establishment culturale che governa questo paese, per questo non ha avuto successo». Già, il “volto nascosto” del cinema non allineato.
Laureato in storia della filosofia a Milano, sua città d’adozione, Manfredi (Senigallia ’48), prima di cimentarsi con le “nuvolette parlanti” – è autore di storie anche per Dylan Dog, Tex e Nick Raider – ha esplorato ogni angolo dell’industria culturale italiana. Ha iniziato negli anni ’70 incidendo dischi e scrivendo anche testi per cantanti affermati come, per citarne alcuni, Ricky Gianco, Mia Martini e Gianna Nannini. Negli ’80 si è dedicato alla scrittura di romanzi pubblicando una decina di romanzi (quasi tutti editi da Feltrinelli) e saggi di critica musicale (suo il primo libro su Lucio Battisti), ma anche al cinema, recitando e collaborando con registi del calibro di Samperi, Steno, Corbucci e Troisi, e alla televisione (sua la sceneggiatura del telefilm a episodi Valentina del ’89, ispirato al conturbante personaggio di Guido Crepax). Nel ’91 l’approdo al fumetto, naturale crocevia tra immagini e testo e, ci dice Manfredi, «parte non secondaria della narrativa, anzi – per dirla con Goffredo Fofi – i fumetti, per le ricerche innovative di linguaggio e di modi espressivi, “sono più stimolanti di buona parte della narrativa e cinematografia italiana”». Salvo poi aggiustare il tiro: «E comunque si tratta pur sempre di intrattenimento, anche se di qualità, questo è un paese in cui tutti si prendono troppo sul serio». Frecciata neanche tanto velata a quegli intellettuali che, nel corso degli anni, hanno riservato ai fumetti stroncature snobistiche o, al contrario, attribuito velleità rivoluzionarie. Come ha scritto Sergio Brancato, studioso di teorie e tecniche dei linguaggi cinematografici e fondativi della cultura di massa, Manfredi è «diverso dagli italiani della sua generazione, quella del tramonto degli anni ’40, ancora soggiogata dal peso delle rovine lasciate dalla guerra e dal furore ideologico del realismo». Diversità che emerge dai suoi personaggi, dichiaratamente «post ideologici» e con una spiccata vocazione all’erranza, dalle atmosfere delle sue storie magiche, fantastiche, popolate di fantasmi – come nella sua prima serie a fumetti, Gordon Link, editrice Dardo ’91 – e capaci di grandi suggestioni immaginifiche come il west e il mito della frontiera in Magico Vento. E, naturalmente, dalle sue convinzioni artistiche. «L’illuminismo e il post-positivismo, il cosiddetto pensiero razionale, idealistico o quello del materialismo storico, hanno considerato la magia come un’eredità del passato – ha detto – di cui liberarsi tramite la ragione, ma il punto di vista magico dà evidenza alla realtà simbolica delle cose e si fonda sul senso prima che sull’intelletto. Per questo l’immaginario ha sconfitto l’ideologia, perché rielabora in maniera più compiuta i conflitti della modernità».
Manfredi, nei “formidabili” anni ’70, faceva parte dell’ala creativa del movimento: «Mi considero e mi consideravo un libertario in un periodo in cui si tendeva a ideologizzare tutto e inquadrare il mondo in categorie rassicuranti, il bene contro il male. Volevamo innovare le culture giovanili e non solo, impresa impossibile in un paese che ancora non riesce a uscire dalla trappola delle celebrazioni». L’accenno polemico è ai «sepolcri imbiancati», a chi ha celebrato «enfaticamente quanto acriticamente» il ’77 e si appresta a celebrare il ’68. «Si tirano fuori gli aspetti zuccherosi e si eliminano quelli sgradevoli, il tutto senza mai fare seriamente i conti con la propria storia. Si fa presto a dire che il “palazzo” non ascolta la società, cosa dovrebbero dire i ragazzi con certi genitori che invece di ascoltarli si autocelebrano ricordando i bei tempi?». I giovani di oggi – sottolinea Manfredi – dimostrano maggiore spirito critico e una nuova sensibilità rispetto ai lettori degli anni ’70, «che confondevano i sentimenti con la retorica, cioè con il falso sentimentalismo». Volto Nascosto si rivolge a loro ma non solo, a un pubblico «trasversale», non c’è la scelta di un target predefinito, gli ingredienti del romanzo popolare ci sono tutti: azioni spettacolari e imprevedibili, delitti, passioni, avventure e colpi di scena. Volto Nascosto, il protagonista, è un misterioso condottiero che indossa una maschera d’argento a nascondergli il viso. Viene dal Sudan, dove ha combattuto contro gli inglesi per poi diventare il braccio destro della Regina Taitù, moglie di Menelik II. «Non una first lady dei tempi moderni, ma una donna guerriero, un capo dell’esercito che non si sottrae alla battaglia». Intorno a loro ruotano i destini di altri tre personaggi: un giovane rappresentante di commercio, generoso e altruista, pronto a qualsiasi sacrificio per l’amicizia; uno spavaldo ufficiale di cavalleria dell’esercito italiano che ama l’avventura e una bellissima nobildonna disposta a tutto per amore. Disposta a tutto! «“In guerra e in amore tutto è lecito”. L’aspetto eccitante della guerra, come dell’amore, è che ti sia concesso di tutto. Volevo evitare di contrapporre – come facevano gli hippy – l’amore alla guerra: “Fate l’amore, non fate la guerra”. Fare l’amore può essere altrettanto devastante e così racconto di amori tempestosi, melodrammatici e tragici tipici dell’Ottocento. E nella storia non ci sono buoni e cattivi, non troverete la retorica del generale pazzo che tortura la povera vittima. Certo, se devo schierarmi – chiarisce – lo faccio dalla parte di chi è invaso e non di chi invade, ma la guerra è guerra, eroismi e infamità si distribuiscono in parti uguali».
Manfredi ci confessa che inizialmente aveva pensato di farne un romanzo “ottocentesco” – “genere” con cui si è già misurato brillantemente in Magia rossa (’82) e Il piccolo diavolo nero (2001) – ma poi ha preferito optare per il fumetto. «Non è semplice rendere efficacemente una scena di battaglia senza rischiare di diventare noiosi o di concentrarsi sulle tempeste emotive dei personaggi. Lo splendido scenario etiopico ma anche la Roma umbertina, con le sue botteghe aperte sul selciato e le chiese che spuntano dal nulla, possono essere rese in maniera decisamente più suggestiva dalle immagini». La narrativa contemporanea – osserva – ha dovuto prendere atto di come la capacità di immaginazione dei lettori si sia indebolita. «Perché devono perdere tempo a immaginare una scena quando possono tranquillamente vedere un film o leggere un fumetto senza fare alcuna fatica?». Immaginazione che certo non manca a Manfredi, che pure ha pescato nell’album dei ricordi familiari. «Mio padre e mio nonno materno passarono molti anni in Africa durante la guerra e anche io l’ho visitata un paio di volte». Così, nel primo episodio della saga, uno dei protagonisti, Ugo Pastore, segue il padre nel continente africano, dove è impegnato, come consulente di una grossa compagnia commerciale italiana, nella stipula di un trattato tra l’Italia e l’Etiopia. Trattato che risulterebbe difforme nelle diverse traduzioni, tanto da ingenerare un’incomprensione tra i paesi dalle conseguenze terribili. Assegnato in seguito ad una spedizione in Sudan, viene assalito dai predoni di Volto Nascosto e la storia entra nel vivo... Come mai, gli abbiamo chiesto, proprio la guerra coloniale? «Perché mi appassionava e ritenevo utile una riflessione su uno snodo incompiuto della nostra storia e delle fratture politico-culturali che hanno segnato l’identità nazionale. Perché nessuno dice che il colonialismo italiano (segnato dalle rovinose sconfitte di Amba Alagi, Macallè e Adua) non inizia, come molti credono, con Mussolini ma nel periodo liberale, post risorgimentale e prefascista con Crispi, un uomo di sinistra (anche se aveva i socialisti all’opposizione) e che l’invasione etiopica è approvata con il voto favorevole di diversi ex garibaldini, i mitici “liberatori” che si fanno “invasori”?». Forse perché oggi vanno di moda altri fenomeni, come il grillismo. «Il grillismo non è una novità e poi, diciamocelo, perché non parlare della altre “caste”, quella dei musicisti di successo che anche se appartengono a case discografiche diverse si mettono d’accordo per programmare le uscite e non sovrapporsi in classifiche di vendita preconfezionate… E le campagne pubblicitarie milionarie per promuovere un disco o un libro sono una cosa seria? E la casta dei comici? In questo paese tutti dovrebbero farsi un esame di coscienza prima di puntare il dito, accettare di fare una vita più modesta se davvero vogliono essere liberi e meno condizionati dal successo». Dopo un’assenza dal cinema di oltre dieci anni, Manfredi è tornato alla sceneggiatura per un solo film, Il trasformista di Luca Barbareschi, una pellicola non troppo fortunata del 2002. «Il cinema è cambiato molto negli ultimi anni, alla base del fumetto, invece, rimane un lavoro artigianale, senza effetti speciali, c’è chi scrive e chi disegna. Non dovendosi inventare nulla e non avendo i condizionamenti economici del cinema, ho preferito approfondire la forma espressiva del fumetto. Quello di Barbareschi fu un gran bel film, il primo di antipolitica vera in senso positivo. Ha mostrato le contraddizioni della nostra società senza schierarsi in maniera strumentale. E lo ha fatto senza godere della grancassa dell’establishment culturale che governa questo paese, per questo non ha avuto successo». Già, il “volto nascosto” del cinema non allineato.
12 commenti:
Al di là delle opinioni di Manfredi, questa nuova serie bonelliana mi attrae molto. Dopo "Demian", non sempre brillante ma con buoni spunti, un altro soggetto dall'ambientazione inedita, con inoltre (mi sembra) uno svolgimento adeguato ai nostri tempi, tipo LOST o Prison Breack, ovvero svariati personaggi, nessuno routinario (cioè che "non puo morire"), dialettica tra macro e microsituazioni. Bonelli è cambiato, insomma.
Di "Volto Nascosto" mi piace, come ho detto l'ambientazione. E' inedita (non americanizzata, situata in un periodo molto particolare che si apre -idealmente - a quella di un altro glorioso fumetto: l'inizio del '900 di Corto Maltese) particolare e offre un sacco di spunti narrativi.
Penso che mi divertirò a seguire questo strano ibrido tra romanzo e telefilm d'alto livello.
«“In guerra e in amore tutto è lecito”. L’aspetto eccitante della guerra, come dell’amore, è che ti sia concesso di tutto. Volevo evitare di contrapporre – come facevano gli hippy – l’amore alla guerra: “Fate l’amore, non fate la guerra”. Fare l’amore può essere altrettanto devastante e così racconto di amori tempestosi, melodrammatici e tragici tipici dell’Ottocento. E nella storia non ci sono buoni e cattivi, non troverete la retorica del generale pazzo che tortura la povera vittima. Certo, se devo schierarmi – chiarisce – lo faccio dalla parte di chi è invaso e non di chi invade, ma la guerra è guerra, eroismi e infamità si distribuiscono in parti uguali».
Uno che la pensa così non può che piacermi.
Grandissimo Roberto e grande personaggio anche Manfredi.
I fumetti della nuova serie li comprerò tutti
Demian mi ha soddisfatto, confermo il mio giudizio positivo (albo più, albo meno). E per gli stessi motivi che hai detto tu, c'è da ritenere che Volto Nascosto mi piacerà.
Manfredi mi ha fatto un'ottima impressione, per le opinioni espresse e tutto il resto. Peraltro è stato di una disponibilità estrema...
Il 10 ottobre vedremo...
Alla fine di Demian non mi ha convinto la figura del "giustiziere", per quanto ambiguo, fondalmentalmente pluralista e nonviolento (con questo non significa che non sparasse). Io preferisco i personaggi alla Mister No o Ken Parker, mentre il biondo francese sapeva più di Zagor o Tex, benchè adeguato ai nostri tempi caotici.
Rimangono fantastici i contesti e la descrizione della malavita francese.
Credo che alcune puntate di Demian siano state superflue proprio per la sua caratteristica: alla fine un giustiziere non può che vivere una concatenazione di avventure. Più interessanti, nel nuovo trend bonelliano, erano le scelte dei comprimari che entravano e uscivano dalla sua vita.
Questo Volto Nascosto, invece, mi sembra più complesso e ambiguo. Più vicino a quello che un romanzo a fumetti dev'essere. Ma staremo a vedere.
Sono andato sul web ad ammirare le tavole di Parlov. Davvero belle: ricordano quelle di certi serial francesi degli anni 80, come in parte la grafica della tavola stessa.
http://www.ubcfumetti.com/preview/?14555
"Perché nessuno dice che il colonialismo italiano (segnato dalle rovinose sconfitte di Amba Alagi, Macallè e Adua) non inizia, come molti credono, con Mussolini ma nel periodo liberale, post risorgimentale e prefascista con Crispi, un uomo di sinistra (anche se aveva i socialisti all’opposizione) e che l’invasione etiopica è approvata con il voto favorevole di diversi ex garibaldini, i mitici “liberatori” che si fanno “invasori”?».
Anche questa riflessione merita. La feci da me a me quando iniziai a studiare seriamente la storia. Non si riflette mai sul fatto che il colonialismo italiano fu un fenomeno liberale, nel complesso "di sinistra" e che Crispi fu uno dei peggiori repressori dei lavoratori.
Bisognerebbe ricordarlo a quei Radicali che amano semplificare sulla bontà dei governi liberali dell'epoca, vanificati dal comunismo e dal fascismo.
Sì, è vero, Manfredi offre una serie di spunti interessanti e lo fa - a differenza di altri intellettuali - senza pontificare... Sono proprio curioso di leggere il fumetto. Riguardo ai disegnatori, sono stati mobilitati tutti i migliori disegnatori bonelliani per la serie, compreso Diso.
Claude, un OT: all'ultima mail che ti ho scritto mi è tornata indietro questa: THIS IS A WARNING MESSAGE ONLY. YOU DO NOT NEED TO RESEND YOUR MESSAGE. Delivery to the following recipients has been delayed.
Che significa? :))
La mail l'hai ricevuta o no?
Ciao
In pratica dice che quello è solo un messaggio di avvertimento e che la tua mail non ha seguito il corso corretto.
Il perché non lo so. Potresti aver digitato male qualcosa o è successo qualcosa.
Prova di nuovo:
cughetto@gmail.com
Ciao:)
La mail è arrivata ieri.
Ciao.
Siccome sto smaltendo gli strascichi dell'influenza, oggi ho potuto dedicare la mattinata alla lettura del primo episodio di "Volto Nascosto".
Bello, originale, documentatissimo. Assuefatto a Ken Parker, come al solito ho riscontrato qualche ballon dei pensieri supefluo, e mi sono sentito preso per cretino, perché Parlov è bravissimo a sintetizzare le espressioni, per cui era come dover sopportare una ripetizione. Però la narrazione è dinamica e ritmata, il personaggio di Ugo prende, così generoso e aperto, fermo nelle sue convinzioni eppure non fanatico. Ambigua e suggestiva la figura di Volto Nascosto, un vero guerrigliero. Mi sono emozionato più volte, ed è molto per un fumetto. Con Demian, più enfatico e ridondante, non mi accadeva quasi mai.
Posta un commento