Dal Secolo d'Italia di martedì 23 ottobre 2007
Probabilmente Brad Bird, regista e sceneggiatore dell’ultimo film della Pixar, Ratatouille, non poteva né sapere né immaginare che avrebbe mandato sui teleschermi di tutto il mondo una metafora psicologica che si adegua benissimo anche alla parabola politica ed esistenziale della destra italiana. Perché, aldilà e oltre le intenzioni del regista, la storia di Remy, un topo dotato di un olfatto straordinario e di un talento naturale per la buona cucina, può venire letta come il perfetto romanzo biografico e sentimentale di un’intera generazione di giovani che, avviati alla politica negli anni Settanta, si sono ritrovati protagonisti della storia del loro Paese.
La storia è semplice: Remy non è un topo di fogna come tutti gli altri, lui non ce la fa a rimanere ancorato alle tradizioni della famiglia, non riesce a mangiare solo spazzatura. Guarda altrove, vuole volare altro, oltre gli schemi di chi vuole i topi di fogna ai margini della società. Remy alza la testa, si ribella alle regole che lo vogliono reietto e inascoltato, vuole diventare un cuoco, creare qualcosa di nuovo. Vuole “provarla nuova”. Dopo una serie di rocamboleschi accadimenti, Remy si trova separato dalla sua colonia e finisce a Parigi, sede del ristorante che porta il nome del suo Chef preferito, il famoso Gusteau, dal motto seducente: «Tutti possono diventare grandi cuochi». È qui Remy fa conoscenza con il giovane ed imbranato Linguini, un timido sguattero che, grazie ai consigli del topo-chef, diventa ben presto famoso e celebrato. I due sembrano invincibili ma resta da superare il giudizio del temibile Anton Ego, il più feroce tra i critici culinari francesi... Ha detto Laura Castaldi: «Questa pellicola in fondo è un inno all’amicizia ma soprattutto al coraggio. Quel coraggio che viene ben ripagato se si ha fiducia nelle proprie potenzialità o forse soltanto nel sogno che ciascuno di noi conserva nel proprio cuore. Con la volontà e con il sacrificio ciascuno di noi può diventare un Remy del proprio destino, che insegue il proprio sogno anche in solitudine ma con la determinazione di colui che ha in sé la speranza di raggiungere il proprio obiettivo. Aggiungiamo anche la bontà unita all’amore e al rispetto per gli altri, siano questi tuoi simili o meno, e allora gli ingredienti ci sono tutti per la riuscita di un buon piatto, proprio come il buon vecchio Walt Disney ha predicato per oltre un cinquantennio».
L’intreccio del film scorre via con una sceneggiatura impeccabile anche nella seconda lettura, quella “politica”. Chi raffigura il giovane Remy, infatti, se non quei giovani militanti che nei pieni anni di piombo («Fascisti carogne, tornate nelle fogne») hanno cercato di uscire all’aperto, confrontarsi col mondo, contro le regole della propria famiglia e contro la società che li rifiutava? Il “topo di fogna” Remy è la perfetta metafora di un certo modo di stare a destra senza subire i vincoli della colonia, del partito, del passato. «Non puoi cambiare la natura», dice a Remy il padre, preoccupato per le sue fughe in avanti. «Cambiare fa parte della natura. La puoi influenzare», risponde il topo sognatore. E ancora, il padre: «Dove vai?». La risposta di Remy vale più di tanti lunghi discorsi: «Con un po’ di fortuna, avanti», sussurra, allontanandosi con orgoglio in una Parigi immaginaria ma inconfondibilmente “anni Settanta”.
Già, Parigi... più la pellicola va avanti e più Ratatouille come metafora non mostra lacune. Basta pensare, ad esempio, che il primo numero dell’italiana La Voce della Fogna uscì nel dicembre 1974 come tentativo di riproporre, in termini originali, l’esperienza francese del foglio satirico/ideologico Alternative, animato dal disegnatore e musicista Jack Marchal, inventore di fumetti i cui protagonisti erano proprio... giovani topi(!). In una recente intervista al Secolo Jack Marchal ha ricordato così quell’esperienza: «Avemmo l’idea di puntare sull’immagine. Sulla stampa trotzkista venivamo definiti i topi di fogna, i topi neri? Bene, noi facemmo dei topi il nostro simbolo: diventammo una banda di topi a Parigi». Un modo nuovo di stare a destra, insomma, come ha sottolineato il politologo Marco Revelli. Lo scopo della Voce della Fogna, ha scritto in Italia Marco Tarchi, «era quello di disporre di un veicolo moderno e dotato di linguaggio immediato con cui replicare, in tono ironico, agli intenti di delegittimazione degli avversari e nel contempo proporre un’operazione di stile, cioè, lo svecchiamento della stanca immagine del neofascismo. Verso la metà degli anni ’70 capimmo che non era più il tempo di continuare a sostenere la vecchia destra, che era tempo di uscire dal ghetto». E dalle fogne. Come Remy, insomma, che per tutto il film combatte su due fronti: quello della famiglia retrograda che lo vuole riportare indietro; e quello della società civile che non lo accetta ancora. La battaglia di Remy è tutta qui, in questo doppio fronte psicologico, in questa tenaglia che lo vuole far rimanere quello che è, che vuole interrompere i suoi sogni di gloria. La battaglia, a destra, è sempre questa, ancora oggi. Perché, come ha spiegato Filippo Ceccarelli, il grido “tornate nelle fogne” oltre ad essere incivile era, anche inesatto: «Molto semplicemente, non erano fogne. Si trattava di vere e proprie città sotterranee... fra reticoli di gallerie che di colpo si aprivano in volte affrescate, o si perdevano entro cantine polverose, come pure ai margini di ambulacri anche parecchio frequentati...». È così che Ratatouille diventa soffio attuale di speranza, quando registra il riscatto della colonia dei topi che, tutti insieme, diventano cuochi di un grande ristorante. Un avvertimento a chi è vissuto, anche di traverso, per qualche anno nella famiglia umana della destra italiana. In quella scena si rischia la commozione: i bambini e gli amici di oggi non capiranno, perché i tempi del «Fascisti carogne, tornate nelle fogne» sono, per fortuna, ormai lontani. Ma quei topi di fogna che, tutti insieme, crescono e diventano altro da sé senza tradire se stessi, sono la migliore immagine di questa destra moderna che, partita dalle fogne, è riuscita, con mille contraddizioni e tra mille ostacoli, ad arrivare al governo del paese.
Un consiglio è d’obbligo, allora, a tutti gli operatori culturali, i giornalisti, gli intellettuali che, a diverso titolo, si occupano di questa famiglia politica. Se volete capire nel profondo quello che è successo in questi ultimi decenni, se volete capire lo sdoganamento e le svolte culturali, le paure e i tic intellettuali, andate di corsa a vedere Ratatouille. Capirete molto più in quest’ora e mezza di poesia animata che leggendo cento libri. Dove va la destra italiana? A rispondere c’ha pensato Remy, un topo di fogna che entrerà di prepotenza nel nostro immaginario: «Con un po’ di fortuna, avanti».
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
2 commenti:
BELL'ARTICOLO, COMPLIMENTI!
SALUTI!
caffenero.ilcannocchiale.it
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
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