Francesco Storace è sempre stato l’icona della destra più appassionata e popolare. Battutista ingegnoso, più che filosofo della politica, ne ha inventate alcune che lasciano il segno come la famigerata risposta a chi gli chiedeva di dire qualcosa di destra. Lo sventurato disse: «A froci...». Lo sanno tutti. Eppure risultava simpatico, accattivante come solo il “Nando Mericoni di An” poteva essere. Ora ha scelto di affidarsi alla portavoce Daniela Santanchè per fare di quella destra caciarona, verace e tenace, ma intrecciata con la commovente e a volte eroica storia del Msi, un partitino da 2 per cento utile – secondo alcuni – a Silvio Berlusconi per “tenere a bada” Gianfranco Fini. Santanchè, dunque. Sono lontani i tempi in cui Storace arringava la destra sociale osservando: «Noi c’abbiamo una che si chiama Mussolini, volete mettere con la Santanchè?». Lontanissimi, per ché all’epoca diceva anche: «Non è che Fini fa il nostro capo per poi portarci in dote ad Arcore...». Già. Adesso l’amico Silvio è acclamato dal popolo storaciano come «Duce... Duce...». E dove Storace porterà in dote la sua destra lo dirà il tempo. Ma torniamo a Daniela. La “Lara Croft” della nuova formazione. Promette infatti una destra da “bava alla bocca”. E subito concretizza in richieste estreme la promessa: campionato sospeso, castrazione chimica e carcere a vita per i pedofili, comprensione per la rivolta giovanile di chi non ha casa. A quando la pena di morte? Uno stile molto differente dalle “camicette nere” che nel Msi e poi in An hanno passeggiato con intelligenza e leggerezza. Prendiamo le prime dirigenti femminili: portavano fiori sulle tombe dei caduti per la Patria, organizzavano le befane tricolori, si struggevano per Trieste italiana. E prima ancora, le ausiliarie: donne che da sconfitte hanno saputo diventare protagoniste, come Fede Arnaud Pocek, solare capitana delle ausiliarie della Decima che nel dopoguerra ti mette in piedi una scuola di doppiaggio cinematografico ammirata in tutto il mondo. O come un’altra ex ausiliaria, Raffaella Duelli, che nel dopoguerra divenne assistente sociale, lavorando con i ragazzi disagiati.
E poi ci furono, certo, le mamme dei militanti sprangati nei bui anni Settanta. A loro si è rivolta Daniela conquistando gli applausi dell’assemblea costituente della Destra. Mamme generose e presenti. Come la signora Flavia Amadei che questionava con i celerini prima delle cariche di piazza: «Eh no, voi non dovete torcere un capello a questi bravi ragazzi. Questi sono figli di mamma...». Stile diverso dal dito medio alzato dell’onorevole Daniela. Mocassini contro tacchi a spillo. Lasagne domenicali contro i party al Billionaire. Parrucchiere solo a Pasqua e a Natale. Un appartamento di Primavalle che brucia contro la sede dei circoli D-Donna con i termosifoni dorati. Santanchè non si perde però mai d’animo e, nella messe di citazioni utili a riempire la scena, azzecca quella giusta (ma giustificata?). Del resto è una discola (fin da quando era bambina, confessa lei stessa nel suo sito) e quando una cosa non la sa se la studia. Diventa deputato? Va in vacanza con quattro professoroni che la erudiscono per Montecitorio in diritto e filosofia. Diventa assessore ai grandi eventi di Ragalna in Sicilia? Ci porta Alba Parietti per festeggiare degnamente la notte di San Lorenzo. Diventa relatrice per la Finanziaria? Si inventa la porno-tax. Diventa la paladina della legge anti-velo? Si inventa che l’obbligo del chador sta scritto nel Corano e si fa insultare dagli estremisti islamici. Diventa portavoce della Destra di Storace? Si mette a citare Giorgio Almirante: «Non bisogna andare verso il popolo ma sentirsi popolo». Sì, ma lo diceva uno che girava con la cinquecento, e non andava a sciare a Cortina. Non
importa, Daniela sa come accendere i riflettori su di sé. Nessuno la batte nell’autopromozione. Il guaio è che la portavoce di Storace ha capito che dovrà occuparsi anche di fascismo e dunque comincia a girare attorno all’argomento con la dovuta circospezione. Parola d’ordine: storicizzare, ma con garbo. Cose buone citabili: l’Eur, la bonifica, il sistema previdenziale. Daniela si butta: «Il fascismo mi interessa come periodo storico, studiandolo sui libri. Mi interessa capire che in quel Ventennio molte cose buone sono state fatte, dall’architettura alla bonifica. Poi di Mussolini si può parlare come personaggio politico. Oggi le pensioni sono al centro del dibattito e pensiamo alla rivoluzione che Mussolini ha fatto su questo argomento, ad esempio. Ma non è questo il punto».
Il punto infatti è che Santanchè ora deve preoccuparsi di andare non verso un popolo qualunque, ma verso il popolo un po’ nostalgico e un po’ veteromissino lusingato dall’identitario Ciarrapico che si commuove: «Vince sempre chi più crede, chi più a lungo sa patir...». In questo schema, Daniela non sa come entrarci, lei che non ha patito proprio nulla. Che è arrivata in An nel 1995 e quattro anni dopo era già consigliere provinciale a Milano e nel 2001 era già deputato. Pure ci ha provato, a fare la vittima: «Io non ne potevo più di subìre chi, per legittimarsi davanti alla comunità finanziaria, arriva a definire il fascismo il male assoluto». Poco credibile per una che di sè racconta di essere diventata di destra, all’università di Torino, perché i comunisti portavano l’eskimo e lei voleva portare i Levi’s e le borse Chanel e Vuitton.
In An ha guidato il dipartimento femminile. In quella veste ha voluto strafare, ha preso di petto le quote rosa e ne ha fatto uno stendardo politico, mixando abilmente divismo e femminismo. Oggi ha capito che con questo retrogusto non sarà molto apprezzata dai seguaci un po’ “machisti” di Francesco Storace. Così Daniela si è compiaciuta di archiviare il vessillo delle pari opportunità («Ho lasciato stare le quote rosa, ora penso alle quote giovani») e ha lasciato che il gran capo la investisse dinanzi alla platea in visibilio con grande ostentazione di virilità ideologica: «Meglio una destra figa che una destra fighetta...». E lei lo ha ricambiato con muliebre devozione, nella prima intervista dopo il grande abbraccio con la Destra maiuscolata, soffermandosi sulla possanza degli attributi del capo. Se le palle dei colonnelli di An sono di velluto, come sono quelle di Storace? «Semplicemente le ha. Non si può fare distinzione, è come chi ha carattere. Non si tratta di averlo buono o brutto... si tratta di avere carattere. Le palle non è che bisogna averle di velluto, di cachemire o di seta... bisogna averle». Bava alla bocca e palle in primo piano: è questa la destra che convince?
E poi ci furono, certo, le mamme dei militanti sprangati nei bui anni Settanta. A loro si è rivolta Daniela conquistando gli applausi dell’assemblea costituente della Destra. Mamme generose e presenti. Come la signora Flavia Amadei che questionava con i celerini prima delle cariche di piazza: «Eh no, voi non dovete torcere un capello a questi bravi ragazzi. Questi sono figli di mamma...». Stile diverso dal dito medio alzato dell’onorevole Daniela. Mocassini contro tacchi a spillo. Lasagne domenicali contro i party al Billionaire. Parrucchiere solo a Pasqua e a Natale. Un appartamento di Primavalle che brucia contro la sede dei circoli D-Donna con i termosifoni dorati. Santanchè non si perde però mai d’animo e, nella messe di citazioni utili a riempire la scena, azzecca quella giusta (ma giustificata?). Del resto è una discola (fin da quando era bambina, confessa lei stessa nel suo sito) e quando una cosa non la sa se la studia. Diventa deputato? Va in vacanza con quattro professoroni che la erudiscono per Montecitorio in diritto e filosofia. Diventa assessore ai grandi eventi di Ragalna in Sicilia? Ci porta Alba Parietti per festeggiare degnamente la notte di San Lorenzo. Diventa relatrice per la Finanziaria? Si inventa la porno-tax. Diventa la paladina della legge anti-velo? Si inventa che l’obbligo del chador sta scritto nel Corano e si fa insultare dagli estremisti islamici. Diventa portavoce della Destra di Storace? Si mette a citare Giorgio Almirante: «Non bisogna andare verso il popolo ma sentirsi popolo». Sì, ma lo diceva uno che girava con la cinquecento, e non andava a sciare a Cortina. Non
importa, Daniela sa come accendere i riflettori su di sé. Nessuno la batte nell’autopromozione. Il guaio è che la portavoce di Storace ha capito che dovrà occuparsi anche di fascismo e dunque comincia a girare attorno all’argomento con la dovuta circospezione. Parola d’ordine: storicizzare, ma con garbo. Cose buone citabili: l’Eur, la bonifica, il sistema previdenziale. Daniela si butta: «Il fascismo mi interessa come periodo storico, studiandolo sui libri. Mi interessa capire che in quel Ventennio molte cose buone sono state fatte, dall’architettura alla bonifica. Poi di Mussolini si può parlare come personaggio politico. Oggi le pensioni sono al centro del dibattito e pensiamo alla rivoluzione che Mussolini ha fatto su questo argomento, ad esempio. Ma non è questo il punto».
Il punto infatti è che Santanchè ora deve preoccuparsi di andare non verso un popolo qualunque, ma verso il popolo un po’ nostalgico e un po’ veteromissino lusingato dall’identitario Ciarrapico che si commuove: «Vince sempre chi più crede, chi più a lungo sa patir...». In questo schema, Daniela non sa come entrarci, lei che non ha patito proprio nulla. Che è arrivata in An nel 1995 e quattro anni dopo era già consigliere provinciale a Milano e nel 2001 era già deputato. Pure ci ha provato, a fare la vittima: «Io non ne potevo più di subìre chi, per legittimarsi davanti alla comunità finanziaria, arriva a definire il fascismo il male assoluto». Poco credibile per una che di sè racconta di essere diventata di destra, all’università di Torino, perché i comunisti portavano l’eskimo e lei voleva portare i Levi’s e le borse Chanel e Vuitton.
In An ha guidato il dipartimento femminile. In quella veste ha voluto strafare, ha preso di petto le quote rosa e ne ha fatto uno stendardo politico, mixando abilmente divismo e femminismo. Oggi ha capito che con questo retrogusto non sarà molto apprezzata dai seguaci un po’ “machisti” di Francesco Storace. Così Daniela si è compiaciuta di archiviare il vessillo delle pari opportunità («Ho lasciato stare le quote rosa, ora penso alle quote giovani») e ha lasciato che il gran capo la investisse dinanzi alla platea in visibilio con grande ostentazione di virilità ideologica: «Meglio una destra figa che una destra fighetta...». E lei lo ha ricambiato con muliebre devozione, nella prima intervista dopo il grande abbraccio con la Destra maiuscolata, soffermandosi sulla possanza degli attributi del capo. Se le palle dei colonnelli di An sono di velluto, come sono quelle di Storace? «Semplicemente le ha. Non si può fare distinzione, è come chi ha carattere. Non si tratta di averlo buono o brutto... si tratta di avere carattere. Le palle non è che bisogna averle di velluto, di cachemire o di seta... bisogna averle». Bava alla bocca e palle in primo piano: è questa la destra che convince?
Annalisa Terranova è nata a Roma nel 1962, giornalista e scrittrice. Redattrice al mensile "Area" e al "Secolo d’Italia", è stata tra le fondatrici del Centro Studi Futura ed attiva nella rivista "Eowyn". Ha pubblicato, nel 1996, Planando sopra boschi di braccia tese, saggio sul movimento giovanile del MSI e, nel 2002, Aspetta e spera che già l’ora si avvicina, dedicato agli eventi di Alleanza Nazionale in rapporto alla svolta di Fiuggi. Recentemente ha pubblicato Camicette nere (Mursia, 2007)
2 commenti:
Annalisa ha tracciato il ritratto più genuino di questo personaggio che dovrebbe tornarsene sullo yacht di Briatore.
Certo se Daniela Santanchè deve rappresentare la destra allora voglio anche la Pivetti
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