Dal Secolo d'Italia di giovedì 29 novembre 2007
Francesco Guccini torna a fare parlare di sé. Non solo perché sono 40 anni dal suo esordio discografico con l’album Folk Beat n.1: ma anche perchè sono da poco arrivati in libreria due volumi tutti dedicati al cantautore emiliano, Parole e canzoni, un cofanetto edito da Einaudi Stile libero (pp. XIII-324, euro 23) a cura di Francesca Pattavia (contenente il canzoniere integrale, uno scritto di Edmondo Berselli e un Dvd con un’intervista realizzata da Vincenzo Mollica), e Di questa cosa che chiami vita. Il mondo di Francesco Guccini, di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini (edizioni Il margine, pp. 288 + 16 a colori, euro 17) con una prefazione del musicista Giovanni Lindo Ferretti, già voce dei Cccp e dei Csi ora “convertitosi” a posizioni misticheggianti. Quest’ultimo libro è una sorta di enciclopedia gucciniana autorizzata dallo stesso Guccini che lo scorso 23 novembre ha presenziato alla presentazione del libro nella sua Pàvana, sull’Appennino tosco-emiliano: è una raccolta di voci attinenti agli interessi del cantautore. Alla lettera “A”, ad esempio corrispondono voci come “acque”, “Americhe”, “anarchia”, ma si passa anche ad argomenti personali come le donne, i gatti, i fumetti, i ritratti, la figlia, i parenti e altri ancora.
I due libri sono utili soprattutto a smontare gli stereotipi dentro cui è sempre stato inserito il cantautore, minimizzandondone la poesia e il pensiero reale a favore di una politicizzazione da bassa lega. Giovanni Lindo Ferretti dichiara da subito di avere convinzioni filosofiche diverse da quelle di Guccini, però scrive: «Non è questo che conta». Quanto conta sono infatti i «nostri decenni», che Guccini ha raccontato meglio di altri.
«Quando gli chiediamo se politicamente si definirebbe un anarchico, risponde: “Libertario, direi”. Provate ad immaginare come suona quella parola, detta da lui», è quanto si chiedeva il giornalista Gino Castaldo, su Repubblica di venerdì sugli echi politico-esistenziali che da sempre accompagnano le vicende legate al cantautore modenese. Un libertario non-allineato: del resto questa vena non conformista emergeva già ai tempi dell’Avvelenata, quando Guccini si smarcava dalle polemiche che volevano legarlo a qualche sigla: «Io tutto, io niente, io stronzo ed io ubriacone/ io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista/ io ricco, io senza soldi, io radicale,io diverso ed io uguale/ negro, ebreo, comunista». Una vena che all’epoca venne riconosciuta da Bruno Lauzi nella sua invettiva contro i cantautori di sinistra intitolata Io canterò politico. Lauzi infatti salvava solo «il poetico e candido Guccini», perché a suo avviso il cantore emiliano non era mai sceso al dibattito da cortile. Talmente libertario Guccini da sapersi d’altronde dimostrare anche anticomunista ai tempi Jan Palach: «Non sono mai stato un estremista – ha confessato ad Edmondo Berselli – non è nella mia cultura. E neanche comunista, perché il Pci allora era il partito dell’Urss, figurarsi...». E nel 1970 quelle sensibilità manifestate divennero una canzone, Primavera di Praga, dove Guccini arrivò a paragonare il gesto di Jan Palach a quello di un altro giovane boemo, Jan Hus, datosi alle fiamme da eretico nel 1415: «Quando ciascuno ebbe tinta la mano/ quando quel rogo si sparse lontano/ Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava/ all’orizzonte del cielo di Praga». Ma la sua propensione a non farsi fagocitare dai toni e dai climi degli ambienti estremisti, che pure in Italia erano stati preponderanti nell’ambito della canzone d’autore, emergeva già in un libro che tendeva a superare gli steccati degli “anni di piombo” e pubblicato a metà anni ’80 da una casa editrice vicina alla Nuova destra, la Settecolori: C’eravamo tanto a(r)mati, curato da Maurizio Cabona e Stenio Solinas, dove tra i racconti bipartisan di personaggi del calibro di Massimo Cacciari, Umberto Croppi, Giampiero Mughini, gli stessi Cabona e Solinas, Massimo Fini, Giordano Bruno Guerri, Gianni Rivera, Giuseppe del Ninno, Adolfo Morganti, Oliviero Beha e altri, anche Francesco Guccini parlava dei suoi anni ’70. E ricordava: «La politica! Nei miei ideali anni ’70 l’ho sempre fatta stando dentro e fuori […] comunque, ero un tiepido, non credevo che il Maotzetungpensiero risolvesse i nostri problemi; che quello che dovesse riguardare e magari funzionare per un popolo di contadini andasse bene per noi. Gli altri si, ed allora io scrivevo una canzone come questa: “Se guardi nelle tasche della sera/ritrovi le ore che conosci già/ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai/ e il tempo andato non ritroverai/ Giornate senza senso/ come un mare senza vento/ come perle di collane di tristezza/ Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate/ fugge un cane come la tua giovinezza/ Negli angoli di casa cerchi il mondo/ nei libri e nei poeti cerchi te/ ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà/ e dove corra il tempo chi lo sa”. E’ un brano di Un altro giorno è andato, che, se avessero inventato allora la parola riflusso, sarebbe stata definita la canzone del riflusso per eccellenza!».
E, proseguiva Guccini nel suo amarcord sugli anni ’70: «La domanda tipo era “Sei borghese o rivoluzionario?”. Oppure “Cosa ne pensi dell’economia?”». Ecco il punto: Guccini, più di altri, si è reso conto di certe contraddizioni in seno al contesto giovanile di quel periodo, maturando delle riflessioni degne di nota, ad esempio, anche in merito ad un’icona molto in voga nei Seventies , quella di Ernesto “Che” Guevara. «Guevara è un mito fuori dalle appartenenze politiche. Si può essere conservatori e allo stesso modo emozionarsi per la storia del “Che”» ha infatti sostenuto restituendo Guevara, al quale ha anche dedicato alcune canzoni come Stagioni, ad un immaginario collettivo trasversale e novecentesco.
Non è un mistero che di tutte queste tematiche legate al “Guccini-pensiero” si era già parlato ad un dibattito sulla musica al terzo Campo hobbit, a Castel Camponeschi, nel luglio 1980. In un estratto dal dibattito pubblicato poi sul libro Hobbit-Hobbit, considerato l’album di famiglia dei tre campi, si può leggere un intervento di uno dei partecipanti: «…Sicuramente, voi tutti, avrete sentito parlare di un cantautore di nome Francesco Guccini, il quale – nel 1971 – ha realizzato un album intitolato L’isola non trovata, al cui interno si trovano svariati brani che si possono considerare vicini a certe nostre posizioni o a certe nostre caratteristiche di sensibilità e di interesse; basti pensare al long playing Radici del 1972. E la destra giovanile, c’è da dire, ha saputo riflettere tant’è che da lì in poi si diffuse, anche a destra, la Guccinimania. «Ascoltavo Guccini, soprattutto per l’affresco generazionale che fa con Eskimo» ha dichiarato Annalisa Terranova, militante negli anni 70-80 del Fronte della gioventù. E canzoni di Guccini sono state riproposte anche da autori di musica “alternativa” come Francesco Mancinelli che ha fatto sua una versione de Le cinque anatre. E ancora, nel 1992, raccontando nel suo Alternativa e doppiopetto la storia del Msi, Gianni Scipione Rossi faceva introdurre il libro da una strofa di Vedi cara: «Non capisci quando cerco in una sera/ un mistero d’atmosfera che è difficile afferrare».
Insomma, emerge dalla filologia dei testi di Guccini uno spirito irregolare e anticonformista irriducibile allo stereotipo che molti si sono fatti di lui. E a scanso di equivoci vale la pena lasciare parlare il cantautore stesso: «Come vedi tutto è usuale/ solo che il tempo chiude la borsa/ e c'è il sospetto che sia triviale/ l'affanno e l'ansimo dopo una corsa/ l'ansia volgare del giorno dopo/ la fine triste della partita/ il lento scorrere senza uno scopo/ di questa cosa che chiami vita».
I due libri sono utili soprattutto a smontare gli stereotipi dentro cui è sempre stato inserito il cantautore, minimizzandondone la poesia e il pensiero reale a favore di una politicizzazione da bassa lega. Giovanni Lindo Ferretti dichiara da subito di avere convinzioni filosofiche diverse da quelle di Guccini, però scrive: «Non è questo che conta». Quanto conta sono infatti i «nostri decenni», che Guccini ha raccontato meglio di altri.
«Quando gli chiediamo se politicamente si definirebbe un anarchico, risponde: “Libertario, direi”. Provate ad immaginare come suona quella parola, detta da lui», è quanto si chiedeva il giornalista Gino Castaldo, su Repubblica di venerdì sugli echi politico-esistenziali che da sempre accompagnano le vicende legate al cantautore modenese. Un libertario non-allineato: del resto questa vena non conformista emergeva già ai tempi dell’Avvelenata, quando Guccini si smarcava dalle polemiche che volevano legarlo a qualche sigla: «Io tutto, io niente, io stronzo ed io ubriacone/ io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista/ io ricco, io senza soldi, io radicale,io diverso ed io uguale/ negro, ebreo, comunista». Una vena che all’epoca venne riconosciuta da Bruno Lauzi nella sua invettiva contro i cantautori di sinistra intitolata Io canterò politico. Lauzi infatti salvava solo «il poetico e candido Guccini», perché a suo avviso il cantore emiliano non era mai sceso al dibattito da cortile. Talmente libertario Guccini da sapersi d’altronde dimostrare anche anticomunista ai tempi Jan Palach: «Non sono mai stato un estremista – ha confessato ad Edmondo Berselli – non è nella mia cultura. E neanche comunista, perché il Pci allora era il partito dell’Urss, figurarsi...». E nel 1970 quelle sensibilità manifestate divennero una canzone, Primavera di Praga, dove Guccini arrivò a paragonare il gesto di Jan Palach a quello di un altro giovane boemo, Jan Hus, datosi alle fiamme da eretico nel 1415: «Quando ciascuno ebbe tinta la mano/ quando quel rogo si sparse lontano/ Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava/ all’orizzonte del cielo di Praga». Ma la sua propensione a non farsi fagocitare dai toni e dai climi degli ambienti estremisti, che pure in Italia erano stati preponderanti nell’ambito della canzone d’autore, emergeva già in un libro che tendeva a superare gli steccati degli “anni di piombo” e pubblicato a metà anni ’80 da una casa editrice vicina alla Nuova destra, la Settecolori: C’eravamo tanto a(r)mati, curato da Maurizio Cabona e Stenio Solinas, dove tra i racconti bipartisan di personaggi del calibro di Massimo Cacciari, Umberto Croppi, Giampiero Mughini, gli stessi Cabona e Solinas, Massimo Fini, Giordano Bruno Guerri, Gianni Rivera, Giuseppe del Ninno, Adolfo Morganti, Oliviero Beha e altri, anche Francesco Guccini parlava dei suoi anni ’70. E ricordava: «La politica! Nei miei ideali anni ’70 l’ho sempre fatta stando dentro e fuori […] comunque, ero un tiepido, non credevo che il Maotzetungpensiero risolvesse i nostri problemi; che quello che dovesse riguardare e magari funzionare per un popolo di contadini andasse bene per noi. Gli altri si, ed allora io scrivevo una canzone come questa: “Se guardi nelle tasche della sera/ritrovi le ore che conosci già/ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai/ e il tempo andato non ritroverai/ Giornate senza senso/ come un mare senza vento/ come perle di collane di tristezza/ Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate/ fugge un cane come la tua giovinezza/ Negli angoli di casa cerchi il mondo/ nei libri e nei poeti cerchi te/ ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà/ e dove corra il tempo chi lo sa”. E’ un brano di Un altro giorno è andato, che, se avessero inventato allora la parola riflusso, sarebbe stata definita la canzone del riflusso per eccellenza!».
E, proseguiva Guccini nel suo amarcord sugli anni ’70: «La domanda tipo era “Sei borghese o rivoluzionario?”. Oppure “Cosa ne pensi dell’economia?”». Ecco il punto: Guccini, più di altri, si è reso conto di certe contraddizioni in seno al contesto giovanile di quel periodo, maturando delle riflessioni degne di nota, ad esempio, anche in merito ad un’icona molto in voga nei Seventies , quella di Ernesto “Che” Guevara. «Guevara è un mito fuori dalle appartenenze politiche. Si può essere conservatori e allo stesso modo emozionarsi per la storia del “Che”» ha infatti sostenuto restituendo Guevara, al quale ha anche dedicato alcune canzoni come Stagioni, ad un immaginario collettivo trasversale e novecentesco.
Non è un mistero che di tutte queste tematiche legate al “Guccini-pensiero” si era già parlato ad un dibattito sulla musica al terzo Campo hobbit, a Castel Camponeschi, nel luglio 1980. In un estratto dal dibattito pubblicato poi sul libro Hobbit-Hobbit, considerato l’album di famiglia dei tre campi, si può leggere un intervento di uno dei partecipanti: «…Sicuramente, voi tutti, avrete sentito parlare di un cantautore di nome Francesco Guccini, il quale – nel 1971 – ha realizzato un album intitolato L’isola non trovata, al cui interno si trovano svariati brani che si possono considerare vicini a certe nostre posizioni o a certe nostre caratteristiche di sensibilità e di interesse; basti pensare al long playing Radici del 1972. E la destra giovanile, c’è da dire, ha saputo riflettere tant’è che da lì in poi si diffuse, anche a destra, la Guccinimania. «Ascoltavo Guccini, soprattutto per l’affresco generazionale che fa con Eskimo» ha dichiarato Annalisa Terranova, militante negli anni 70-80 del Fronte della gioventù. E canzoni di Guccini sono state riproposte anche da autori di musica “alternativa” come Francesco Mancinelli che ha fatto sua una versione de Le cinque anatre. E ancora, nel 1992, raccontando nel suo Alternativa e doppiopetto la storia del Msi, Gianni Scipione Rossi faceva introdurre il libro da una strofa di Vedi cara: «Non capisci quando cerco in una sera/ un mistero d’atmosfera che è difficile afferrare».
Insomma, emerge dalla filologia dei testi di Guccini uno spirito irregolare e anticonformista irriducibile allo stereotipo che molti si sono fatti di lui. E a scanso di equivoci vale la pena lasciare parlare il cantautore stesso: «Come vedi tutto è usuale/ solo che il tempo chiude la borsa/ e c'è il sospetto che sia triviale/ l'affanno e l'ansimo dopo una corsa/ l'ansia volgare del giorno dopo/ la fine triste della partita/ il lento scorrere senza uno scopo/ di questa cosa che chiami vita».
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Collabora col Secolo d’Italia, testata per la quale ha realizzato alcuni articoli sul mondo ultras e uno sul fumettista Andrea Pazienza. Si è laureato in Scienze storiche a Palermo, con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra. Studioso della stagione Campi hobbit e della musica “alternativa” ha partecipato al convegno catanese "…e uscimmo a riveder le stelle: a trent’anni dal laboratorio dei Campi hobbit" insieme ad Umberto Croppi, Paola Frassinetti e Fabio Fatuzzo.
12 commenti:
Trovo Guccini assieme a Stefano Rosso e Rino Gaetano uno di quelli che hanno descritto al meglio la realtà italiana.
Condivido, oltre Guccini, per quanto riguarda il grande Rino Gaetano
Non ho mai approfondito Guccini, salvo fingermene interessato verso i 16 anni, quando m'innamorai follemente di una ragazza che mi parlava continuamente di Guccini e me lo faceva ascoltare a palla. Mi piaceva, come cantautore, ma era un periodo in cui i cantautori non prendevano quelli della mia generazione, più interessati alla new-wave inglese (ed io ci mettevo anche un po' di metal, ma proprio a spizzichi, e i Pink-Floyd - che poi ho ridimensionato...).
In seguito l'unico cantautore (?) che ho approfondito, fino al fanatismo, è stato De André, secondo me il più grande. Quando nel tuo articolo, Giovanni, accenni a coloro che non si sono mai mescolati col coro fai un accenno giusto, ma De André è proprio come Guccini in questo senso - "Storia di un impiegato" è stato un breve episodio, legato all'enfasi sessantottesca, ma anche lui come Guccini è sempre stato libertario, al punto che gli diedero pure del "fascista"-. Il resto della sua produzione è arte pura.
Gli altri non mi hanno mai preso: De Gregori due palle, Battisti (lo so, eresia!)scriveva belle musiche pop, ma i testi di Mogol sono terribili, soprattutto non resistono al tempo: diventano scemi, a rischio di ridicolo involontario.
Guccini mi convince di più, da quel che conosco. Il tuo articolo mi ha incuriosito, dandomi lo sprone per approfondire il personaggio e la sua musica. Vedo se riesco a scaricare qualcosa, e comunque credo che i suoi album non costino molto, vista la carriera quarantennale.
Ciao!
Claudio, hai centrato un punto secondo me di fondamentale importanza: l'indole libertaria, al di là della destra e della sinistra, sia di Guccini che di De Andrè.
Concordo pienamente col tuo intervento
Segnalo, tra le altre cose, che il pezzo su Guccini è stato anche ripreso su Repubblica di oggi.
L'ho letto, e mi è sembrato abbastanza corretto. Una cosa che mi è piaciuta è che, scrivendo "siamo tutti gucciniani" hai evitato un'esplicita appropriazione, rispettando un artista che è di chi lo apprezza e trova nelle sue canzoni dei tempi e un immaginario in cui riconoscersi.
Segnalo che in "La Nuova Destra" Michele Angella evidenzia la passione di molti ragazzi di quegli anni per i cantautori, soprattutto per Guccini e De André. Precisamente: De André, Guccini e il Pasolini de gli "Scritti corsari".
Errata corrrige: volevo scrivere "temi", non tempi...
Ottimo Giovanni, si occupa del tuo articolo Alessandra Longo nella sua rubrica "Belpaese" in termini più che lusinghieri.
E dove posso trovare questa rubrica?
Ciao Roberto!
Ciao Claudio. Su Repubblica di ieri. Lo riporto qui.
Guccini bipartisan
Quarant'anni dopo: "siamo tutti gucciniani". Sorpresa: nell'eterno (e ormai un po' polveroso) giochino di quel che è di destra e quel che è di sinistra, a Francesco Guccini è dedicata un'intera pagina del Secolo d'Italia, quotidiano di An. Gli ultimi due libri che parlano di lui,a 40 anni dal suo primo album Folk beat n.1, "smontano gli stereotipi" e "la politicizzazione di bassa lega" di cui sarebbe stato vittima. Piace, a destra, il Guccini "libertario non allineato" che "già ai tempi dell'Avvelenata, si smarcava così":"Io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista..." Un lungo articolo per dimostrare che l'autore de La locomotiva è stato tirato per la giacchetta dai compagni ma, in realtà, è uno "spirito irregolare e anticonformista". E, in quanto tale, è sempre piaciuto anche ai camerati, sin dai tempi dei campi Hobbit. Siamo tutti gucciniani, dunque.
Grazie Roberto!
Claudio conosco quel passaggio del libro di Angella, mi colpì molto all'inizio dei miei studi sulla Nd.
Il libro di Michele Angella è uno dei migliori in assoluto sull'argomento
Da Emule ho scaricato un casino di album del "Guccino", come lo chiamava il Pertini del grande Paz!
Adesso lo ascolto :)
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