mercoledì 19 dicembre 2007

C'è un po' di Pound dietro De André (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 16 dicembre 2007

Dici “Fabrizio De André” e lo conoscono tutti. Dici “Massimo Bubola” e non lo conosce quasi nessuno. Eppure, Bubola ha firmato insieme a De André due album di altissimo livello come Rimini, nel 1978, e il successivo L’indiano, nel 1981. Fu una collaborazione strana e preziosa, la loro. Un sodalizio che nasceva evidentemente sbilanciato a favore di De André – che aveva quattordici anni in più e, soprattutto, un percorso artistico già consolidato, che lo accreditava già allora come uno dei massimi esponenti della “canzone d’autore” – ma che sul piano creativo ebbe la forza di superare ogni distanza, fino a metterli in condizioni di sostanziale parità.
Benché giovanissimo, Bubola non aveva solo un talento notevole per i
testi e una robusta attitudine per le musiche: possedeva anche, e proba bilmente fu proprio questo a guadagnargli la piena accettazione da parte di De André, delle motivazioni esistenziali e culturali che andavano al di là delle sue stesse doti artistiche. Come ricorda lo stesso Bubola, citando espressamente Ezra Pound, «non è importante quello che pensi, ma a che profondità lo pensi».
Dopo quei due album, però, le loro strade tornarono a separarsi. Bubola si mise a seguire la propria carriera solistica, con esiti altalenanti e, tutto sommato, inferiori alle attese; De André intraprese prima il grande progetto di Creuza de ma, con l’ex Pfm Mauro Pagani, e infine, non senza difficoltà e incomprensioni, la collaborazione con Ivano Fossati che nel 1996 sfocerà nel comunque straordinario Anime salve. Indipendentemente da quello che avvenne in seguito, però, il lavoro che svolsero insieme rimane un grandissimo esempio di incontro poetico.
Un’esperienza, innanzitutto creativa ma anche umana, che merita davvero di essere ripercorsa passo passo, approfondendola il più possibile. Niente di meglio, quindi, di questa lunga “conversazione con Massimo Bubola” che è stata pubblicata recentemente da Aliberti col titolo di Fabrizio De André. Doppio lungo addio. A fare le domande, ma anche a interloquire a tutto campo, c’è Massimo Cotto, vale a dire uno tra i più competenti e sensibili tra i giornalisti musicali italiani. Il risultato è ottimo. Anche perché chiarisce fino in fondo quanto lavoro, quanta riflessione, quanta cura, ci sia dietro certe canzoni, giustamente indimenticabili.
F. Z.
(Massimo Cotto, “Fabrizio De André. Doppio lungo addio”, pp.157, € 7,90)
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Il Secolo d’Italia”. Attualmente cura il mensile “L’Officina”, appena ristrutturato in chiave “magazine”.

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