venerdì 28 dicembre 2007

Che belle le strenne, ma attenti al trabocchetto (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 23 dicembre 2007

Dicesi “strenna”: l’etimo rinvia all’Antica Roma e a un che di solenne; nei fatti, come quasi ogni altro aspetto del “santo” Natale, ha perso il 99 per cento del suo valore originario e si è ridotta a qualcosa d’altro. Qualcosa di assai più prosaico. L’apoteosi del marketing di fine anno. L’asso nella manica di chi deve vendere. La tentazione numero uno per chi deve comprare.
Le strenne sono insidiose. Tanto si presentano bene, a prima vista, quanto vanno valutate con cura, prima di lasciarsi convincere. Un po’ come a certe feste piene di sfarzo, e di sconosciuti: la signorina è tutta elegante, e parla in modo così suadente, e, nonostante il suo fascino irresistibile, si mostra cordiale, simpatica, per nulla altezzosa.
Occhio, fratelli. Magari è davvero quel che sembra; ma magari no. Magari è amore a prima vista. Probabilmente no. La strenna è attraente. E gioca sul velluto: noi abbiamo poco tempo, e un mucchio di regali da fare. E più soldi del solito, questo sì, ma nemmeno lontanamente tutti quelli che servirebbero per comprare solo il meglio. Babbo Natale ha tutto l’anno, per prepararsi alla bisogna. Noi ce la dobbiamo sbrigare in fretta e furia. Preoccupandoci innanzitutto di fare bella figura nel fatidico momento in cui si scambiano i pacchetti e i nostri si vanno a incrociare con gli altri. Come si dice, non si ha mai una seconda possibilità di dare la prima impressione. Il regalo esige un impatto immediato: che sia realmente azzeccato lo si scoprirà in seguito; ciò che conta, sul momento, è che piaccia al colpo d’occhio. E di regola - in quest’epoca a corto di santi e di eroi, ma strapiena di navigatori (navigatori Internet...) - il cocktail vincente è semplicissimo e collaudato: tre quinti di apparenza, un quinto di moda, il resto a piacere ma-niente-di-impegnativo-grazie. “Big Trendy”, se vi serve un nome.
Entrate in un negozio di dischi e verificate di persona. Il suddetto “Big Trendy” viene usualmente proposto in due versioni. La prima, che chiameremo “Il Grande Ritorno”, è il nuovo album di qualcuno che mancava dalle scene da un po’, o da un po’ tanto, e finalmente si ripropone. Come si dice in questi casi, “un evento”. O giù di là. Il messaggio sottinteso è che la durata del l’attesa è direttamente proporzionale alla riuscita dello sforzo creativo. Assai a lungo si impegnò l’artista per forgiare cotanta opera; ergo, mano alla saccoccia e affrettarsi ad acquisire prontamente (prontamente!) il novello capolavoro. Chi prima arriva, prima si bea. E chi si bea, per definizione, è un beato. O giù di là.
La seconda, in mancanza di un congruo numero di inediti coi quali realizzare un album che sia effettivamente nuovo, è una delle tante variazioni possibili sul tema “La Meglio Antologia”. Un tempo, quando la concorrenza era minore e il pubblico meno agguerrito, per le case discografiche era davvero il non plus ultra dell’imbonimento a costo zero. Da un lato si limitavano a riunire in uno stesso disco un certo numero di pezzi già apparsi in precedenza e consacrati, quando più quando meno, dal favore popolare; dall’altro, non dovevano nemmeno sforzarsi di trovare un titolo originale: in lingua inglese, l’alternativa si riduceva a optare tra “The Greatest Hits” e “The Best of... ”; in italiano, bastava tradurre: “i più grandi successi” oppure “il meglio di... ”.
Oggi, anche per il dilagare degli mp3 e dello scambio “peer-to-peer” (nonché della pirateria vera e propria), è diventato necessario andare oltre. Insaporendo le vecchie pietanze con qualche spezia meno consueta o, almeno, abbellendole con una guarnitura accattivante. Ed ecco qua. All’abituale rassegna di brani già usciti, si aggiungono un paio di inediti; oppure, se proprio non si ha a disposizione niente di meglio, qualche rilettura del materiale di repertorio: dal classico, ma ormai ridimensionato, “unplugged” in chiave acustica, all’incisione dal vivo, magari registrata in occasioni che, per un motivo o per l’altro, possono essere, o apparire, speciali. A proposito: l’altra faccia della “Meglio Antologia” è ovviamente il live. Che ufficialmente è la registrazione di uno o più concerti e che, in teoria, dovrebbe catturare, e quindi restituire, la peculiare intensità dello show; ma che in realtà, anche se è prassi consolidata non dirlo, si concede ampi, o amplissimi, rimaneggiamenti a posteriori, così da eliminare almeno gli errori più vistosi e mantenere, o addirittura accrescere, il prestigio delle star di turno. A garantire la suggestione, tanto, basta e avanzano gli extra, gentilmente – e gratuitamente – forniti dal pubblico presente: le ondate di applausi, i gridolini euforici, i coretti a go-go. Come fai a non identificarti, al cospetto di tanto entusiasmo?
Come fai a non precipitarti a comprare un prodotto così attraente e offerto, magari, a prezzo ribassato? Come fai a resistere al rilucente fascino, appunto, della strenna? Semplice: riconsideri l’idea stessa di novità. Eviti di lasciarti abbagliare dalla confezione, e da quello che va strombazzando la pubblicità, e vai dritto alla sostanza. Ti poni una domanda. Una buona, un’ottima domanda. Il “nuovo” è una categoria oggettiva o soggettiva? In altre parole: è preferibile un disco che è oggettivamente nuovo in quanto è appena uscito, ma che alla resa dei conti è artisticamente superfluo, o è preferibile un disco che sarà anche apparso da uno, da dieci, o persino da trent’anni, ma che contiene pezzi bellissimi e che per te, o per la persona cui lo potresti regalare, è reso tuttora nuovo dal fatto che non lo avete mai ascoltato? Non è una contrapposizione. Non stiamo dicendo che il meglio è tutto nel passato e che, nel confronto, l’attualità è destinata a soccombere. E’ solo un tentativo di andare in controtendenza rispetto ai luoghi comuni del mercato. E se può darsi che quest’anno sia già tardi, perché riusciate a sfuggire alla Facile Seduzione della Strenna, non importa. È un consiglio senza data di scadenza. Buono – se lo trovate buono – per tutto il tempo che vorrete.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Il Secolo d’Italia”. Attualmente cura il mensile “L’Officina”, appena ristrutturato in chiave “magazine”.

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