sabato 1 dicembre 2007

«Il fumetto? Spettacolare quanto un film... e più libero!» (Claudio Ughetto intervista Gianfranco Manfredi)

Intervista a cura di Claudio Ughetto (nella foto a sinistra)
Sergio Bonelli, l'editore italiano di fumetti per eccellenza, non finisce mai di stupire pur nel rispetto di una tradizione che dura da più di mezzo secolo. Se Tex ha sempre soddisfatto i gusti di lettori poco avvezzi ai cambiamenti formali, benché amanti della qualità, è proprio attraverso i mensili bonelliani che quelli della mia generazione hanno potuto affezionarsi a un personaggio originale e “moderno” come Mister No, o evolvere nella comprensione del linguaggio fumettistico con l'arrivo di Ken Parker. Era la fine degli anni 70 dello scorso secolo. Anche in seguito, nonostante le inevitabili crisi, Bonelli non ha mai smesso di credere nella “letteratura disegnata”1, nemmeno nei decenni seguenti: basti pensare al successo di Dylan Dog che, ci piaccia o meno, ha travalicato l'ambito fumettistico per rientrare in un immaginario più vasto di gadget e agendine.
Negli ultimi anni l'avvento delle “mini-serie” bonelliane ha sorpreso un po' tutti gli appassionati di fumetti popolari in Italia, avviando per la stessa casa editrice un corso che personalmente mi sembra in continua evoluzione. Si tratta di un prodotto che finora si è mantenuto tra il mensile tradizionale, con eroe predominante, e il proposito di stare in un determinato numero di albi. Per le prime due serie l'intento mi è sembrato interessante, non sempre convincenti i risultati. Brad Barrow metteva insieme tanto cinema americano di serie A e B2, l'eroe non innescava grandi immedesimazioni, tuttavia è con lui che Bonelli apre il nuovo corso. Con Demian si verifica un tanto imprevisto quanto anelato (almeno per me!) avvicinamento alla vecchia Europa: il biondo chevalier lotta nella Marsiglia raccontata da Jan-Claude Izzo e cantata da IAM e Fonky Family, con escursioni in Africa e in Medio Oriente. L'ho seguito per tutta la saga, apprezzandone alcune intuizioni ma rimanendo nel complesso deluso. Orfano di Ken Parker e Mister No, la figura del “giustiziere”, per quanto sbeccata da delusioni e sconfitte, non mi persuade. Ho trovato difficile da reggere l'azzardato miscuglio di Polar e feuilleton, con accenti arturiani, cortocircuitato da ambientazione e drammi metropolitani. Il finale, poi, sapeva molto di tirato via: come se in realtà il progetto della mini-serie non fosse che un pretesto per mettere insieme tante suggestioni da chiudere per obbligo contrattuale. Aggiungo, inoltre, di trovare pericolosamente midcult un eroe che legge Prevert, Neruda e Garcia Lorca sulla scogliera o sulla spiaggia, a torso nudo e in jeans.
Non so come procederà Volto Nascosto, progetto narrativo in 14 numeri del vulcanico Gianfranco Manfredi, già creatore del già bonelliano Magico Vento. Per il momento il primo episodio3, è riuscito ad emozionarmi molto più di Brad Barrow e Demian. Mi sono piaciuti l'ambientazione mediterranea e lo scenario storico che ha come sfondo la prima guerra coloniale italiana, tra il 1889 e il 1896, apparentemente lontano da noi eppure rievocante scene d'occupazione e di mediazione, battaglie e reciproche crudeltà. Se mai scenario è stato più inusuale per Bonelli, insieme all'Amazzonia di Mister No4, l'epoca narrata è degna del compianto Hugo Pratt, anche lui avvezzo a percorrere territori inusuali e suggestivi. Inoltre, Volto Nascosto non è l'eroe della vicenda, bensì un misterioso guerrigliero dalla maschera d'argento, attorno al quale ruotano Ugo, Vittorio e Matilde, i tre protagonisti di una storia in evoluzione, con passioni e sentimenti più vicini al romanzo avventuroso che al fumetto tradizionale. Forse Manfredi ha ragione a non ritenere Volto Nascosto una graphic-novel, visto che come formato e impaginazione rimaniamo nell'ambito bonelliano. Nonostante in questo primo numero il disegnatore Goran Parlov ci riservi alcune sequenze di grande impatto cinematografico (come quella dell'attacco dei predoni al campo degli ascari, da pag. 72 a pag. 78), l'insieme sembra rispettare al meglio l'idea di farne un “romanzo a fumetti”5.
Dal primo numero è difficile farsi un'idea di come procederà la storia: al momento, dei tre protagonisti della vicenda abbiamo conosciuto solo Ugo Pastore, giovane agente di commercio partito col padre per l'Eritrea. Gli altri verranno dopo. Volto Nascosto già domina lo scenario: generoso e spietato, a suo modo giusto, anche quando fa sterminare un intero battaglione di ascari, disarmati, perché li ritiene dei traditori. Dal punto di vista tecnico mi ha colpito il tratto di Parlov, ormai maturo e molto dinamico, perfetto per servire una sceneggiatura che si distingue per ritmo e sintesi. Tuttavia mi viene spontaneo chiedere a Gianfranco Manfredi come mai ha sentito il bisogno di supportare un così efficace connubio grafico/narrativo con dei ballon dei pensieri mai sovrastanti, però relativamente superflui e talvolta inutilmente esplicativi. Lui mi spiega che si tratta di una scelta compiuta per evitare troppe “tavole mute”, come quelle di Una ballata del mare salato di Pratt, che pur suggestive avrebbero allungato la narrazione. “È una scelta, di per sé legittima e coerente con la struttura del fumetto come strumento autonomo, che possiamo considerare come una mediazione tra la letteratura e il cinema”. Di nuovo mi sembra che questa scelta corrisponda all'intento dell'autore di realizzare un “romanzo a fumetti”, e quindi finisca per caratterizzarne l'opera. Prendere o lasciare, ed io prendo volentieri. Pur rimanendo convinto che Berardi e Milazzo, con Ken Parker, abbiano liquidato ogni lungaggine e aumentato il ritmo della narrazione per immagini proprio grazie alle “tavole mute”. “Inoltre”, mi spiega ancora Manfredi, “il fumetto si rivolge a un pubblico vastissimo, e c'è una parte di pubblico che ha bisogno di non sentirsi tagliata fuori”.
Parlando del pubblico, il fruitore della storia, mi viene da pensare che Volto Nascosto poteva diventare una fiction Tv di qualità e di successo, poiché ha il ritmo e la complessità necessaria per distinguerlo da certi polpettoni attuali, ma anche per il contesto storico post-risorgimentale che si apre ai liberalismi d'inizio secolo e le loro innumerevoli contraddizioni, i personaggi pieni di passioni e di ideali, la sensibilità verso chi sta peggio di noi e degli scenari potenzialmente esotici ma già ibridati dal sogno coloniale e da una violenza talvolta insostenibile. Ma è proprio Gianfranco Manfredi a farmi capire come, almeno in Italia, il fumetto offra delle possibilità decisamente superiori a quelle televisive. Volto Nascosto l'aveva pensato come un romanzo ed è diventato un fumetto, ma mai lo proporrebbe come fiction televisiva, perché sarebbe di “qualità pessima, come la maggior parte di quanto si produce. Una volta trasmesse, le fiction italiane rimangono negli archivi perché non sono neppure esportabili. Si tratta di fiction istituzionali, molto provinciali6. Allora si ricorre ai formati importati”.
E dei telefilm americani, alcuni dei quali hanno raggiunto una qualità notevole? Che ne pensa Gianfranco Manfredi di LOST, Prison Break, Desperate Housewives, Heroes o Dexter? “Si tratta di prodotti notevoli, e non sempre ci arrivano quelli più interessanti. Penso a Carnival, uscito per due stagioni e poi improvvisamente sparito dal palinsesto. Trattava tematiche forti, compreso il fondamentalismo religioso, e forse durante il secondo mandato di Bush è stato ritenuto sconsigliabile trasmetterlo”. Ma a volte la scelta d'interromperli non riguarda la politica. “Twin Peaks, di David Lynch, è stato seguito per tre stagioni, poi l'interesse è calato quand'è diventato troppo dispersivo”. Ascoltando Manfredi mi viene in mente Alias, il primo successo di J. J. Abrams7, la cui programmazione è durata cinque anni: quando partì era inverosimile ma coinvolgente, tutto giocato su colpi di scena e personaggi sfaccettati e imprevedibili, poi degenerò in una sorta di telenovela d'azione, con trovate tanto stucchevoli che alla fine ho persino gradito un finale che sarebbe dovuto arrivare almeno due anni prima. “E comunque,” aggiunge Manfredi, “si tratta di prodotti destinati ai canali satellitari, rivolti ad una audience precisa. Altrimenti il vasto pubblico, quello che usa i canali tradizionali, deve guardarseli in seconda serata o registrarseli. E la distribuzione è pessima. Non c'è continuità, e il pubblico ne ha bisogno”.
Quindi, almeno in Italia, sarebbe ora di cambiare punto di vista? Il fumetto è forse più un'opportunità che un vincolo? Gianfranco Manfredi non ha dubbi: “Il fumetto è più libero. Comporta un minore investimento. Volendo andare ai minimi termini, bastano i testi e i disegni. Ed è altrettanto spettacolare! Dal primo episodio di Volto Nascosto s'intuisce ancora solo in parte, ma in questa serie ci saranno delle scene d'azione molto impegnative. Scene non usuali per un fumetto Bonelli: grandiose battaglie che oggigiorno, per realizzarle al cinema o in televisione, dovresti ricorrere alla computer grafica”.
Alla fine mi trovo a dover cambiare idea, ed è proprio Manfredi a darmene conferma: ritenevo Bonelli un editore tradizionalista, o meglio, un grande appassionato che ha spesso imboccato corsie sicure sull'autostrada del fumetto. Ma non è così. Sarà che ricordo l'esperienza di Orient Express, rivista di fumetti d'autore che non ebbe vita lunga sebbene Bonelli ci avesse investito molto. Erano gli anni 80 e con Orient Express si chiuse definitivamente la possibilità di portare il fumetto d'autore ad un vasto pubblico. Tant'è che alcuni degli scrittori e dei disegnatori che parteciparono all'esperienza, come Mignacco e Rotundo, entrarono a libro paga per le inossidabili serie mensili. “In Italia”, mi spiega Manfredi, “il lettore di fumetti non frequenta le librerie, preferisce l'edicola. Non gli interessa una rivista in cui ogni mese deve seguire molteplici storie frammentate, rischiando di non capirci nulla o con la prospettiva di doversi procurare, chissà quando, il cartonato in libreria se vorrà leggersela per intero”.
Bonelli non è affatto tradizionalista, anzi... comincio a pensare che queste mini-serie non siano soltanto un rimedio per sopravvivere in un mercato che non è più quello che diede un successo interminabile a Tex Willer. In fin dei conti Volto Nascosto è quanto da tempo desideravo in un fumetto: storia appassionante e originale, ottima sceneggiatura, personaggi vitali, e la quasi sicurezza d'appassionarmi per quattordici numeri mensili, senza incappare in quei riempitivi che prima erano inevitabili.
NOTE:
1. La definizione è di Hugo Pratt, l'inventore di Corto Maltese.
2.Cosa un po' imbarazzante, siccome era una sorta di remake di un remake: La guerra dei mondi, che Spielberg aveva recentemente omaggiato con un film che non era certo tra i suoi migliori.
3. I predoni del deserto, ottobre 2007.
4. Scenario che tra l'altro rompeva con la tradizione western per raccontare la seconda metà dello scorso secolo.
5. Roberto Alfatti Appetiti
6. Sebbene per altri motivi, il critico televisivo Aldo Grasso dice delle fiction italiane: “Confondono il contenuto dell'opera con i valori che vogliono trasmettere. I buoni vincono sui cattivi oppure i cattivi si redimono e così via. Messaggi rozzi, costruiti senz'arte, senza tensione estetica. Ne escono serial apologetici, edificanti, sei tremendi santini. Sono confezionati pensando all'audience, non al prodotto”.
7. Uno dei creatori di Lost.
Claudio Ughetto è nato a Giaveno (TO) nel 1965, dove risiede. Di mestiere fa l'educatore in un Consorzio pubblico. I suoi interessi sono molteplici: letteratura e filosofia, arti figurative e tutto ciò che riguarda l'immaginario. Da anni si sente vicino alla cultura non conformista, nella convinzione che la dicotomia destra/sinistra sia ormai inefficace per leggere e affrontare le questioni contemporanee. Scrive per Diorama Letterario, Arianna e Opifice. Un suo racconto è stato pubblicato nell'antologia Tutti esplosi. Le trame di Opifice (prefazione di Massimo Carlotto, Giulio Perrone editore, euro 12). Di recente ha pubblicato il suo primo romanzo Una falciola di terra (Il Filo, 2007, euro 18).

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