domenica 2 dicembre 2007

I nuovi easy rider (di Filippo Rossi)

Articolo di Filippo Rossi
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 2 dicembre 2007

Massimiliano Cordeschi di mestiere fa il meccanico. Ha trentasei anni, vive e lavora a Viterbo. Massimiliano è un meccanico di motociclette. Yamaha: quella di Valentino Rossi, per intenderci. È bravo, molto bravo, tanto da partecipare al campionato del mondo dei meccanici Yamaha. E' volato fino a Tokio per portarsi a casa la palma del migliore: è il più bravo meccanico del mondo. Lui vive la notizia come la cosa più normale anche se non lo è. Campione italianissimo, come la rossa Ducati che ha vinto il campionato del mondo MotoGp. Campione, come la rossa Ferrari, marchio tricolore impresso indelebilmente nell’immaginario mondiale. Con orgoglio. Ieri sera il concessionario dove lavora lo ha voluto festeggiare con una mega festa: tutta meritata, perché Massimiliano è un eroe discreto di un’Italia profonda, sconosciuta, troppe volte dimenticata. Un’Italia giovane, non certo di sinistra, che vive di passioni e amicizie forti, che cavalca la modernità senza troppe angosce esistenziali, senza paura. Anima e motori. Come si guida una motocicletta. In nome di un’etica del lavoro declinata con leggerezza nella postmodernità. Quest’Italia popolare, futurista e ingegnosa che ogni tanto riconquista gli onori delle cronache ha una sua Woodstock, una sua Isola di Wight, «l’isola di chi ha negli occhi il blu della gioventù».
Si tratta del MotorShow di Bologna che anche quest’anno, fra una settimana, aprirà i battenti a una mondo di giovani variegato, colorato, solare, che nulla ha a che fare con gli stereotipi che i mass media continuano a propinare. Come se i giovani debbano per forza essere drogati, picchiatori, superficiali, deboli, magari assassini, sicuramente degenerati, quanto meno menefreghisti e individualisti, senza valori e... «bamboccioni». Guardando a 360 gradi tutto ciò che avviene contemporaneamente all’interno del MotorShow ci si fa tutt’altra idea di questa gioventù, perché miriadi di tasselli che si incastrano finiscono per comporre uno straordinario mosaico culturale in sole dodici spettacolari giornate: esposizioni di prodotto, momenti di approfondimento, test drive per i visitatori, gare con campioni di livello internazionale, eventi musicali, premiazioni di eventi sportivi e diversi ospiti del mondo dello sport e dello spettacolo. Si incontra una gioventù vera e vitale, coraggiosa, che sa sognare nuove realtà, che - come spiega Francesco Delzio nel suo Generazione Tuareg (Rubettino, pag. 96. Euro 8.00) - non chiede certezze ma nuove opportunità. Una gioventù che insegue nuove libertà, le libertà di costruire il proprio futuro senza soffocare in una cappa di regole che le tarpano le ali, che non la fanno volare. Una gioventù finalmente e tranquillamente postideologica, ma non per questo senza idee, che cerca un proprio spazio in un mondo sempre più in mano ai vecchi. Una gioventù nomade (Tuareg, appunto), in eterno e vitale movimento, che, come sottolinea Alessandro Baricco nel suo I Barbari, riesce a surfare tra le idee finalmente senza vincoli di appartenenza. Idee senza ideologia: «I trentenni e i quarantenni di oggi – spiega il giovane Delzio – si sono formati in un deserto, causato dal dissolvemneto delle ideologie, dei luoghi di aggregazione, di punti riferimento...». Nomadi, cantava Franco Battiato «che cercano gli angoli della tranquillità / nelle nebbie del nord e nei tumulti delle civiltà / tra i chiari scuri e la monotonia / dei giorni che passano / camminatore che vai / cercando la pace al crepuscolo / la troverai / alla fine della strada».
Un grande evento mitopoietico, ecco cos’è il MotorShow di Bologna. Perché riesce a costruire e interpretare i miti moderni di questa gioventù maggioritaria nel Paese che la politica non si può permettere di lasciare da sola. Di abbandonarla a se stessa. È la gioventù che si muove, che viaggia, che vive l’Italia come una grande famiglia moderna e allargata. È la gioventù che ai funerali del povero “Gabbo” Sandri non si è vergognata di cantare senza retorica l’Inno di Mameli. È la gioventù che va ai concerti di Vasco Rossi e con Blasco cerca «nuovo senso anche dove senso non c’è». È la gioventù che ascolta Beppe Grillo e se la ride e lo applaude quando ha il coraggio di scagliarsi contro una politica vecchia, troppo vecchia: «Napolitano? Chi è costui?».
È soprattutto così che si può spiegare la contestazione a Romano Prodi dello scorso anno, tra gli stand che mettevano in mostra il nuovo sogno futurista: un sogno tutto italiano. Fischi e pernacchie, qualche “vaffa” liberatorio, per cercare di scrollarsi di dosso la polvere museale. Per scagliarsi finalmente contro quei «dotti, medici e sapienti» cantati da Edoardo Bennato.
Niente è più sacro, per fortuna, per questi giovani in un burocratichese che biascica tintinnare di dentiere e assolutizza regole che non possono valere più. Andategli a chiedere della Costituzione e sorridete di soddisfazione di fronte alla loro ignoranza. Sì, è anche in quell’ignoranza che dobbiamo riporre la speranza del futuro italiano. È anche al MotorShow che, allora, è possibile riconoscere le nuove forme dell’eterna contestazione giovanile: quella che vive il nuovo mentre tutti gli altri sono ancora lì ad aspettarlo. D’altra parte è proprio l’esperienza della velocità che cambia la visione del mondo, il senso delle proporzioni, la configurazione dei rapporti tra le cose, crea o rivela la simultaneità degli eventi, insomma introduce una nuova nozione di spazio e di tempo. Nuovi paesaggi.
Venerdì prossimo – giornata inaugurale e di apertura al pubblico dell'edizione 2007 – partirà anche una mostra dinamica in città, che esporrà, in diverse gallerie, opere dedicate al tema dei motori. Un percorso culturale percorrendo il quale il pubblico potrà cogliere in ogni spazio un singolo momento di arte moderna o contemporanea che, al termine del percorso stesso, costituirà una grande mostra virtuale sul mondo dei motori in undici tappe. Le opere scelte dalle singole gallerie appartengono all’immaginario artistico ed esprimono di volta in volta concetti come la velocità, la tecnologia, il viaggio inteso come metafora, l’automobile e la motocicletta come segni dell’evoluzione sociale, economica e di costume, dei nostri tempi.
La macchina, insomma, come cifra culturale della modernità per questi nuovi giovani che sembrano pescare a pieni mani (senza rendersene conto, come è giusto) nei miti futuristi di inizio Novecento quando Drieu La Rochelle poteva dire «tutto ciò che è nuovo è buono».
E ancora oggi c’è una gioventù vitale che non si piange addosso per le pensioni a rischio, che non si attarda a chiedere garanzie, una gioventù con le palle che non pretende un lavoro fisso e impiegatizio ma vuole creare, sognare lavorando. Una gioventù, quella che ogni anno da tutta Italia, da tutta Europa, continua a vagheggiare ancora “lune elettriche” piuttosto che “chiari di luna” e che arriva a sentire la macchina come un essere vivente: «Le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi» si leggeva sul Manifesto futurista del 1909. La macchina come creatura dell’immaginazione inventiva, a sua volta creatrice di nuove percezioni e immagini; non contrapposta alla vita ma potenziale della vitalità dell’uomo.
È così che al MotorShow, e tra le migliaia di giovani che accorrono a Bologna, si ravviva un futurismo mediato da cento anni di storia novecentesca, un futurismo musicale soft e pacifista che non si rassegna. È per non chiudersi in se stesso. È in questi luoghi dell’immaginario globale che appaiono all’orizzonte giovani che riescono a declinare internet e nuovo eroismo, che accettano la sfida del futuro senza abbassare la testa e senza incupirsi di fronte agli ostacoli. Questi giovani non hanno come primo pensiero la propria pensione; né come secondo, né come terzo. Meccanici di nuove fantasie – qui il successo dei motori che si fanno spettacolo (MotorShow, appunto) – per affrontare curve pericolose senza scivolare nella retorica giovanilista. Risuonano oggi e risuoneranno ancora le parole del manifesto di Marinetti «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia».
Ci sarà qualcuno che anche questa volta spiegherà , osservando il popolo del MotoShow, che questi nuovi barbari, questi nomadi della modernità, sono vuoti di valori, che cercano solo il divertimento, che i loro sogni si fondano sul nulla. Qualcuno continuerà a parlare di riflusso e qualcun’altro pontificherà di stereotipi in bianco e nero. E senza tempo. Non ce ne curiamo. Non ve ne curate. Il tempo, per fortuna, è dalla vostra parte. E fate come il dottor House: salite sulla vostra nuova moto, carne e spirito del vostro gusto per la sfida e per le decisioni al limite, e date gas. Come ha spiegato Ivan Battista nel suo Kentauros: «Giro la chiave e quel sogno comincia... Non ha importanza dove andare, importante è viaggiare, mettere il cuore nel cammino, smuovere la passione e il sentimento».
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".

Nessun commento: