mercoledì 19 dicembre 2007

La destra si racconta, altro che Veltroni...

Articolo di Stefano Petroselli
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 19 dicembre 2007

Dopo più di trent’anni il topo di fogna di Jack Marchal torna sulla copertina di un prodotto editoriale della destra italiana. Una scelta in qualche modo coraggiosa, quella di Charta minuta, il mensile della Fondazione Farefuturo diretto da Adolfo Urso, che in questo modo recupera un’icona protagonista dell’immaginario di tanti giovani che hanno “fatto politica” negli ultimi decenni. Grazie al tratto inconfondibile di Alfio Krancic, un topo di fogna si è preso il posto sulla cuccia di Snoopy, e si è messo alla sua epica macchina da scrivere per esordire con un ironico slogan dai toni mussoliniani: «Chi non scrive è perduto!». E, in effetti, l’iniziativa editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, è anche in quello slogan: la destra italiana – questa è l’esortazione – deve riuscire a raccontarsi al di là dei parametri razionali e ideologici del politichese e soprattutto oltreil vuoto “teatrino della politica”.
«Un esperimento culturale, una sfida intellettuale e la posa in opera di un’immaginaria ma concretissima prima pietra emozionale», così Filippo Rossi descrive nel suo editoriale il numero in edicola di Charta che raccoglie una serie di racconti di scrittori, giornalisti o operatori culturali che fanno parte della famiglia della destra culturale italiana. «È stata – spiega ancora il coordinatore editoriale della Fondazione – una richiesta a banda larga, senza vincoli e paletti: solo che la narrazione fosse genericamente “politica” nel senso più pieno del termine. Con questo numero “tutto da leggere”, Charta è diventata, per una volta, una sorta di megafono delle emozioni di un mondo culturale complesso, che esiste, si muove, discute, litiga, si divide, legge, scrive, sogna, interroga e si interroga. Semplicemente, crea». Insomma, anche a destra finalmente si comincia a pensare l’appartenenza politica declinandola secondo le categorie “leggere” dell’emozione e del sentimento.
Tutti a scuola da Walter Veltroni? È indubbio, in effetti, come il cosiddetto veltronismo possa essere lettosia dal lato di un qualunquismo sofisticato anche se colto, sia dal lato di un’esigenza concreta di fondare la politica andando oltre categorie sistematiche che troppe volte non riescono a spiegare la realtà se non collocandola dentro l’orizzonte (e i linguaggi) dell’immaginario. E sembra essere proprio quest’ultima la strada scelta anche da Charta. Per mettere la passione al posto dell’interpretazione, l’ironia al posto delle note a pie’ di pagina. La ricetta – spiegano a Charta minuta – in fondo è semplice, per far capire quello che la premiata ditta “Ignazi & C. ” non può riuscire a spiegare sullo strano mondo del “polo escluso”.
È vero che la politica è fatta di programmi,di contenuti, di strategie, di sintesi… che la politica è fatta di Politica (con la p maiuscola). Ma, attenzione, la politica è impastata anche, forse soprattutto, di un retroterra esistenziale fondato nell’immaginario, con passioni, pulsioni, amori e innamoramenti... La politica è fatta di storie insomma (con la s minuscola). Di tante piccole storie umane. Magari comiche, magari tragiche, magari insignificanti. Storie di tutti i giorni. Di bar e banchi di scuola, di stadi e cinema, di amori e invidie, di fedeltà e tradimenti. «E se “la politica della storia” – dice Rossi – è raccontata egregiamente dai saggisti, dai politologi, “le storie della politica” possono essere raccontate da chi si mette in gioco perlustrando l’animo umano, setacciandone i sentimenti, facendo rivivere le passioni. E ripescando le emozioni dai meandri della memoria individuale e collettiva,fornendo a esse una trama narrativa». È per questo che Charta minuta ha deciso di porre questa “prima pietra” («Raccontiamoci», l’hanno chiamata) di quello che vuole diventare un vero e proprio “archivio delle emozioni” che possa raccontare senza superbia e senza moralismo quello che il mondo della destra italiana è stato, è, e soprattutto vuole diventare.
I racconti già pubblicati e impreziositi dalle intervista a Federico Moccia, Giuseppe Culicchia e Antonio Pennacchi (foto a destra), non rappresentano un punto fermo ma un “work in progress” che vuole coinvolgere chiunque abbia qualcosa da raccontare. Nuovi contributi possono essere mandati all’indirizzo e-mail archiviodellemozioni@chartaminuta.it: saranno tutti pubblicati sul sito della rivista e molti potranno confluire in un libro fatto di storie: «Le nostre storie. Il nostro futuro».
Ma un gran lavoro è stato già fatto. Basta scorrere i racconti pubblicati nel numero che si può trovare nelleprincipale edicole e librerie. Solo a scorrere i nomi degli autori, si capisce che un’intera famiglia culturale e politica ha accettato la sfida di metter in piazza i propri sentimenti in modo di farsi conoscere ma, anche e soprattutto, mettersi in discussione. Perché la narrazione per forza intrinseca corre via dai postulati, affonda le radici nella vita vera di persone in carne e ossa che sfuggono da ogni stereotipo ideologico. Da Gabriele Marconi a Pierluigi Felli, da Annalisa Terranova a Miro Renzaglia, da Italo Cucci a Umberto Croppi, da Federico Zamboni ad Aldo Di Lello, da Domenico Di Tullio ad Alfio Krancic, da Giuliano Compagno ad Augusto Grandi, da Luigi G. de Anna a Ferdinando Menconi, da Maurizio Makovec a Errico Passaro, da Nico Forletta a Roberto Alfatti Appetiti, da Ippolito Edmondo Ferrario a Ugo Franzolin e Alessandro Manzo, non è impossibile individuare un minimo comun denominatore – non certo generazionale, nè di coerenza ideologica – in una raccolta di racconti “a colori”, variegata, eccitante, esplosiva che ha il merito indiscusso di spiattellare la ricchezza espressiva di un mondo culturale che (per la cattiva interpretazione di un sano individualismo artistico) ancora non riesce a “fare squadra” nella postmodernità e a imporsi egemonicamente come dovrebbe nel discorso pubblico. Un mondo che non riesce a recuperare l’epicità degli anni Settanta nel flusso leggero dell’inizio Millennio: «Conosco un venditore – scrive Giuliano Compagno (immagine a destra) nel suo splendido «Trentasette buonipartiti» – che trent’anni fa stazionava spesso davanti a un liceo e quando l’aria si faceva tesa prendeva a menare le mani e non si salvava nessuno perchè era grande e grosso e a far a botte ci sapeva fare come pochi, e il motivo della sua animosità era che dentro e quella scuola ci stava una decina di ragazzini a cui ripetevano continuamente che erano carogne e che dovevano tornare nelle fogne...». Ma ora che quei ragazzini sono usciti dalle fogne, forse non hanno ancora imparato “a menar le mani” metaforicamente, non sono riusciti a recuperare la loro tradizione di irriverenza e trasgressione in una logica di presenza costante nel dibattito culturale. E allora, forse, un’altra possibile copertina di questo numero, avrebbe potuto essere la Fontana di Trevi tinta di rosso da Graziano Cecchini. Il gesto eclatante, dannunziano, marinettiano, futurista e ardito: ecco come a destra bisognerebbe cominciare a raccontarsi. «Il pericolo sta scritto, non la sicurezza...», si conclude così la biografia che Miro Renzaglia ha voluto dedicare a Carlo Michelstaedter, alla ricerca, in sostanza, per dirla con Umberto Croppi nel suo «A cena con Tondelli», di «una destra al di fuori degli stereotipi, della visione macchiettistica, della retorica patriottarda e guerrafondaia attribuita al suo partito» per sfatare «un’altra balla, un altro mito: il militarismo». Insomma, una destra che si racconta per pennellate cromatiche a volte dissonanti ma sempre sincere. Come quando Italo Cucci racconta di Enzo Biagi lo portò «al Carlino nel luglio del ’70 malgrado conoscesse – seppur vagamente – le mie idee politiche… E pensare che dal Carlino, dov’era dal ’61, ero stato allontanato da Giovanni Spadolini perché troppo estremista e siccome gli estremi si toccano non vorrei avere un giorno in redazione un comunista».
Ecco perché la narrativa.. Perché il racconto. Come spiega Amos Oz: «Se acquistate un biglietto per viaggiare in altri Paesi, andrete ad ammirare i monumenti, i palazzi e le piazze, i musei, i paesaggi e i siti storici. Se siete fortunati, avrete forse l’occasione di scambiare anche quattro parole con la gente del posto. Poi farete ritorno a casa, portandovi dietro una manciata di fotografie e cartoline. Ma se leggete un romanzo, sarà come comprare un biglietto che vi condurrà nei recessi più intimi di un’altra terra edi un altro popolo». Ecco, un mondo (nel nostro caso un mondo culturale) che racconta e si racconta, regala al lettore la chiave della sua coscienza e dei suoi sentimenti più intimi. Esperimento rischioso, ma avvincente per i possibili sviluppi futuri.
Una vera e propria sfida intellettuale per un famiglia culturale che troppo volte si è attardata a spiegare e spiegarsi, a giustificare e giustificarsi, senza però riuscire a ripercorrere i sentieri dell’anima esaltandone anche i passaggi illogici, le discese ardite e le risalite. «La storia dell’Occidente – ha spiegato il filosofo Jean- Pierre Faye (foto a destra) – inizia con l’avvento imprevisto di racconti. Nella trama stessa dei cambiamenti naturali si intessono i cambiamenti della faccia e della forma prodotti dalla forza narrativa stessa. Effetto di racconto che è anche effetto di chimera e di fictio. L’effetto della narrazione che passa attraverso la finzione narrativa – il falso e il vero, la storia e il romanzo – è l’enigma che occorre indagare». La memoria, insomma, ha senso solo quando è capace di farsi racconto, quando si sottrae al rigor mortis della conservazione. Quando non si propone cioè come eredità immutabile, definita una volta per tutte, ma come repertorio di immagini e sensazioni, pronte di volta in volta a rivelare la loro vitalità proprio nella disponibilità a una nuova narrazione. Da questo punto di vista, a dispetto dell’illusoria quantità dei documenti storici, la politica contemporanea difetta di narrazioni: manca, ad esempio, a oggi, un grande narratore capace di “inventare” la storia della guerra civile del ’900, così come Tucidide ha “inventato” la storia della guerra civile tra greci, raccordando tra loro singoli episodi e facendone una narrazione nuova e destinata a rimanere nell’immaginario. Solo il racconto è in grado di vitalizzare la memoria e di condizionare la storia futura. Solo il racconto ha come effetto di provocare l’anima, l’irruzione dello straordinario nella storia. È James Hillman a spiegare come «l’arte della politica sia saper includere ciò che è eccessivo e anormale intessendolo nel quotidiano». Ed è proprio questo quanto si propone di fare Charta minuta: “raccontare”la politica per vincere la sfida del “fare politica”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao Roberto.
ho gli appuntamenti in facoltà per mettere su il mio convegno per la sicurezza nel lavoro.
felice?
guarda che diamine mi tocca ancora postare...

senza parole.

gb
http://lostonato.ilcannocchiale.it/

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Veramente ben fatto, il blog. E tutte quelle icone degli Ottanta...

Anonimo ha detto...

:-) mille grazie Roberto!

sono del 78; ma gli 80 li ho nel sangue: mi ricordo anche da piccino, che l'Italia era sulla rampa di lancio per diventare chissà che Paese.

euforia.
ho questo ricordo.

invece...?
mah...