mercoledì 5 dicembre 2007

Cavandoli, la rivincita dell'operaio designer (di Ivo Germano)

Articolo di Ivo Germano
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 5 dicembre 2007
Un genio che si firmava “Cava” e che decise di lasciare un segno, un semplice segno d’infinita e angelica creatività. Di chi si tratta? Ma di Osvaldo Cavandoli, un vero e unico italiano globale, dal tratto pari a quello di Milo Manara, Hugo Pratt e Benito Jacovitti e dall’intelligenza vivace, mai sovrapposta alla deriva cerebrale e intellettualistica di certo fumetto contemporaneo. La sua Linea è come Willy Coyote e Dick Dastardly, al perenne inseguimento di Bee Beep e Penelope Pistop. Ed è quasi incredibile assistere alla sua rivincita postuma su YouTube: le clip di Cavandoli sono tra le più “cliccate” dal popolo del web, che ha restituito giustizia e popolarità all’autore dopo un oscuramento che durava dalla chiusura di Carosello, nel 1977.
La creatura di Cavandoli se la deve sempre vedere, a muso duro, con il limite fisico e mentale di un margine. Un po’ incazzosa, un po’ disincantata ha legato il proprio destino allo spot della pentola a pressione Lagostina, il conto alla rovescia con la modernizzazione. L’omino ebbe anche “un altra vita”, dopo i celebri spot: decine di episodidi tre minuti, venduti in 40 Paesi negli anni ’80 ma snobbati dall’Italia, dove non sono mai entrati in circolazioneprima che i fans della rete si ricordassero di “Cava” e lo riportassero nel circuito della comunicazione.
Tecnicamente più che pudicamente, la creatura di Cavandoli, secondo quanto ha scritto Michele Serra su la Repubblica è simbolo «di quella Milano industriale, dagli umori artistici intensi e lunari, stilizzati e sobriamente eleganti». Parente stretta del migliore design meneghino, è l’esempio dell’«inspiegabile shining che aiuta l’autore, il creativo, il creatore a far nascere dal nulla il suo eroe». Continua Serra: «di questo shining noi italiani siamo piuttosto ricchi, sarà un luogo comune dirlo ma è davvero il nostro bene-rifugio, il nostro antidoto contro le varie crisi strutturali, lo sfascio civico, la gracilità di tante strutture e infrastrutture. Come per la Linea, c’è un estro che risolleva quando si precipita, un estro o magari anche solo una gran fortuna o un incoercibile, inspiegabile ottimismo».
Cavandoli, uomo che veniva dal Lago di Garda, da arbeiter metalmeccanico s’inventò una suggestione eroica della Vita agra di Luciano Bianciardi e delle tante facce e parole da Bar Jamaica e dintorni, dove correre in edicola, fare la fila per un film, informarsi su tutto lo scibile della novità era il “pane e companatico” di una forma mentis e non solo un automatismo caratteriale.
Gettata nel latte felice del progresso e del consumo da farsi e fabbricarsi, la Linea cancella e riavvolge il carosello, mutandone il senso e il registro, per mezzo di una linea, tratteggiata sulla stessa strada in cui cammina e un personaggio, cui creare situazioni e contorni. Al suono di reiterata cantilena e di un gramelot intraducibile: “lui cerca la, lalala”. Poi la cantilena si arresta un momento e una voce “fuoricampo” gli domanda: «Ehi, ma si può sapere cosa cerchi?». Di nuovo, il ritornello: «Lui cerca Lagostina, la cerca e qui la trova…». In ambienti sempre più urbani, con oggetti e cose più contemporenee, la Linea, rappresentava la terra promessa di una nuova cittadinanza coi simboli e le sintesi di un tempo inatteso e sorprendente, non tanto per chi lo praticava, quanto per chi vi assisteva e vi si dedicava, per marciare, biblicamente.
Lasciarsi alle spalle un mito non è mai facile, specialmente, un “mito d’oggi”, per dirla alla Roland Barthes, cioè una di quelle cose, automobili, scarpe, orologi, capi d’abbigliamento, che, dalla loro comparsa, sanciscono un prima e un poi. L’esplorazione del Novecento artistico, innovativo e tellurico nelle regioni simboliche del design e dell’ingresso artistico della cultura popolare del XX secolo.
Semplicemente il perché Cavandoli abbia fatto scuola e stile, lavorando a un affresco animato supremo, rispetto a uno strambo e insolito oggetto e soggetto di lavoro.
Il “grande gioco” del gioco della modernità italiana, rappresentati dalla Linea che non era più figli della nazionalizzazione spettacolare delle masse, ma un semplice appunto del futuro. Qui ed ora: dato estetico, fatto sociale e culturale dell’immaginazione simbolica di Gerardo Dottori e Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Emilio Notte e Marcello Dudovich, Emilio Tadini, Mario Schifano e Ugo Nespolo.
Osvaldo Cavandoli si rese conto che tempi diversi costruivano un nuovo romanzo popolare ben prima che il calcio fosse realmente romanzo popolare, democraticamente smanioso e ribollente, borghese e popolano, cioè per gente d’intelletto e “di braccia”. Il disegno si trasformò, allora, in figura in movimento, grazie all’intuizione artistica che tolse alla comunicazione pubblicitaria quell’alone vagamente aristocratico e britannico. La Linea, come vita attiva e pop che ci permetteva di fare la conoscenza con questo grande e nuovo spettacolo, generando una particolare grammatica e intrepida sintassi. Osvaldo Cavandoli un nome uno stile che ha narrato visivamente la febbre sociale e politica degli anni Sessanta, sobrio, funzionale, secco.
Ivo Germano (1966) Borghese di provincia all'Amicimiei, sociologo e giornalista, scientificamente si occupa di produzione culturale e strutture simboliche dell'immaginario contemporaneo. Incline a scrivere e interessarsi di cose inutili, curiosamente e felicemente borghesi.

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