Dal Secolo d'Italia di venerdì 22 febbraio 2008
Il nostro è culturalmente il tempo delle grandi sintesi. Il romanzo è morto, il cinema subisce l’insidia della televisione e della Rete, e neppure l’arte figurativa se la passa troppo bene. L’unica via di sopravvivenza residuata alle tradizionali forme espressive è la contaminazione: l’ibridazione di forme e temi, favorita dallo sviluppo delle tecnologie, sono lo strumento attraverso cui rilanciarsi verso una non effimera rinascita creativa.La critica più all’avanguardia coglie nel segno quando afferma che, pur essendo ultracentenario, il fumetto si pone in pole position per conseguire il primato artistico del futuro. Persino a sinistra, a proposito di supereroi, si scomodano concetti post-illuministici come «olimpo pagano», «politeismo dei valori», «nuova mitologia», «icone di compensazione rispetto a una realtà vacillante, insicura, persino precipitata» (Mario Serenellini su la Repubblica, in un pezzo dedicato alla recente “Strip-Screen” di Bologna sui film tratti dagli universi Marvel e Dc-Comics). Per loro stessa intrinseca natura, infatti, le “nuvole parlanti” sono già strutturate come fusione di parola e immagine. Nel passato prossimo, i primi ingenui lavori a matita, consegnati alla memoria con l’appellativo di “giornalini”, si sono evoluti in mature e ambiziose “grafic novel”. Più di recente, il mezzo si è arricchito di nuove, imprevedibili possibilità realizzative, grazie all’apporto del computer (soprattutto in sede di colorazione delle tavole). In futuro, non è difficile immaginare ulteriori trasformazioni del mezzo, nella direzione di un “ipertesto” sempre più realistico, complesso, flessibile e fruibile a più livelli.
Il Secolo si è accorto da tempo delle potenzialità esplosive del fumetto e concede sempre più spazio all’interpretazione dei “comics” italiani e stranieri. Il problema di sdoganare il fumetto non ce lo siamo davvero mai posti. D’altronde noi abbiamo un’ambizione in più: trasformare la domanda «sarà il fumetto l’arte del nuovo millennio?» in un’affermazione… vorremmo poter arrivare a dire che sì, sarà il fumetto l’arte del nuovo millennio, senza bisogno di certificati accademici, accrediti giornalistici o titoli di merito commerciali.
Iniziamo l’esplorazione odierna con Quattro?, che conclude la tetralogia del Mostro (62 pp, euro 18). Iniziativa provvidenziale, quella di Alessandro Editore, che riporta in Italia un autore decisamente irregolare, nella cui poetica affiora a tratti una evidente tendenza politica anticonformista. Nato a Belgrado nel ’51, Enki Bilal si trasferisce a Parigi all’età di dieci anni; lì, frequenta le Belle Arti e già nel ’73 pubblica la prima storia, L’appel des etoiles; in coppia con lo sceneggiatore Pierre Christin, crea Légendes d’aujourd’hui, fra cui spiccano i racconti La crociera dei dimenticati e Le falangi dell’ordine nero, nonché Battuta di caccia, La stella dimenticata di Laurie Bloom, Coeurs sanglants; il suo capolavoro in solitaria è la trilogia di Nikopol, che egli stesso traspone nel film Immortal. Ad vitam.
La storia di Quattro? è la primizia di un’arte ancora di lì da venire, da non farsi sfuggire. A volte sembra troppo ellittica, come l’ultimo Battisti, per intenderci, e richiede al lettore uno sforzo in più. In effetti, la vicenda è troppo oscura e contorta perché se ne possa dare una sintesi senza tradirla: possiamo dire che abbiamo a che fare con una storia a tre voci, che dalla Jugoslavia del 1993 ci conduce dritti nel futuro apocalittico del 2026 attraverso le esperienze traumatiche di Nike, Leyla e Amir; possiamo dire che Nike, il protagonista, ha una memoria prodigiosa, e che Optus Warhole, l’antagonista, è un duplicatore di umani, artista del Male assoluto; per il resto, la scena sopravanza gli attori, il contesto prevale sul testo, il disegno (bozzetti e colori stesi con secchi colpi di) sulla narrazione scritta. Bilal ci introduce con un pezzo da antologia in un futuro inquietante, schizzato in un limaccioso grigio-rosso, dove l’integralismo religioso si è impadronito persino dello sport, dove l’effetto serra ha trasformato il clima terrestre, dove le guerre etniche e le manipolazione genetiche si sono messe al servizio di sanguinose rimonte oscurantiste. L’autore contravviene alle regole dello stile pop-corn e, pur con qualche ermetismo di troppo, riesce a rendere – un pugno allo stomaco per tutti noi! – la deriva dell’umanità nel nulla della post-post-modernità.
Altro volume edito da Alessandro è quello conclusivo del ciclo dei Tecnopadri, intitolato La galassia promessa e firmato da Alexandro Jodorowsky ai testi e Alessanda Zoran Janjetov e Fred Beltram ai disegni (pp. 48, euro 18). La trama è lineare e non toglie spazio al messaggio morale che gli autori inviano ai loro lettori: Albino, il Supremo Tecnopadre, come un novello Mosè, conduce mezzo milione di “pantecno” alla Galassia Promessa; qui incontra particelle intelligenti capaci di replicare poteri e fattezze dei visitatori, intenzionate a respingerlo; Albino deve trasfigurarsi in un essere superiore, Tinalban, per riuscire a far accettare la presenza degli umani sul posto e a fondarvi una società perfetta. «Vivere in pace, gioire della vita, sviluppare le nostre coscienze, dividere la nostra felicità con tutti gli organismi viventi»… questo è lo scopo che la migrazione di Albino si prefigge, e, quando infine, vinta la parte oscura di sé stessi, il Tecnopadre e i suoi compagni di avventura coronano la loro ricerca, egli può ben dire: «Qui termina il nostro viaggio! Finalmente abbiamo trovato la Galassia promessa dove le relazioni umane armoniose saranno più importanti dei progressi tecnologici corrotti da un eccesso di scienza e da una mancanza totale di coscienza». Come si anticipava, Jodorowsky non si fa scrupolo di mettere nelle sue nuvolette dichiarazioni idealistiche, quasi imbarazzanti per quanto sono ingenue, entusiaste e smaccate. Il suo è un genio scortato da un superiore sapere esoterico, fatto di illuminanti attraversamenti spirituali. I disegnatori quasi si scusano di occupare la pagine con figure e tinte, tanta è la potenza delle didascalie e delle battute di sceneggiatura.
Chiudiamo con un fumetto in stile franco-belga della coppia Swolffs-Grifo, Vlad Igor Mio Fratello, pubblicato dalla Lancio (pp. 50, euro 8): vi si descrive fin nei minimi dettagli di ambiente e architettura una tecnologica Russia del futuro, in cui si intrecciano congiure politiche internazionali, traffici di droga, schiavismo e prostituzione, visti dall’ottica di un ex ufficiale smagato e violento. È un mondo immerso in una salamoia di cinismo ben rappresentata dalle parole di un produttore-faccendiere: «Se tu sapessi che influenza ho io sul nostro buon popolo, assetato di sensazioni… dei thriller per esorcizzare la loro paura degli emarginati, dei criminali, degli stranieri…delle vicende romantiche per fornirgli un pizzico di sogno e di speranza… degli affreschi storici per solleticare un po’ di nazionalismo che gli rimane… dell’erotismo per rendere piccante la loro triste quotidianità…».
Errico Passaro, Ufficiale dell'Aeronautica Militare, dottore in giurisprudenza, è giornalista pubblicista. Ha pubblicato su testate e collane professionali un saggio in volume, oltre 100 racconti e cinque romanzi: Il delirio, Solfanelli; Nel solstizio del tempo, Keltia; Gli anni dell'aquila, Settimo Sigillo; Le maschere del potere, Nord; Inferni, Secolo d'Italia.
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