Dal Secolo d'Italia di martedì 27 febbraio 2008
La nomination l’aveva conquistata a suon di applausi, ma l’Oscar come migliore film d’animazione non è arrivato. Gliel’ha soffiato la corazzata Pixar. Ovvero Ratatouille. Film curato quanto divertente, quest’ultimo. Nulla da eccepire. Persepolis, però – produzione indipendente, senza effetti speciali né trucchi di alcun tipo – non fa solo ridere (e molto). Aiuta a riflettere. E di questi tempi ce n’è un gran bisogno, a tutte le latitudini. Sarà nelle nostre sale da venerdì 29 febbraio e una cosa è certa: conquisterà il pubblico come ha già fatto la grapich novel, ormai vero e proprio fumetto di culto, da cui è tratta la pellicola, il racconto di vent’anni di storia iraniana, dalla rivoluzione islamica del ’79 agli anni Novanta, visti attraverso gli occhi di una bambina coraggiosa che si ribella al conformismo del regime dei mullah intonando Eye of the Tiger, il brano dei Survivor reso celebre dall’epica dei film di Rocky con Sylvester Stallone, e comprando al mercato nero musicassette degli amati e vietatissimi Abba e Iron Maiden. Una bambina che oggi ha poco meno di quarant’anni, vive in Francia ma conserva intatta la sfrontatezza di chi non ha alcuna intenzione di rinunciare alla propria identità e si esprime per immagini «per ribattere ai pregiudizi sul mio paese senza essere interrotta»: Marjane Satrapi, già autrice di libri illustrati per bambini e “strisce” per quotidiani, è da qualche anno la “fumettista” iraniana più famosa al mondo.
Sì, perchè la sua minisaga in quattro volumi, pubblicata per la prima volta in Francia nel 2000, ha superato il milione di copie vendute. Il merito di averla proposta sin dal 2002 in lingua italiana è della Lizard – la casa editrice costituita nel ’93 dall’indimenticato Hugo Pratt, la cui stessa opera omnia impreziosisce un catalogo ricco dei principali autori di “nuvole parlanti”– che recentemente ha mandato in libreria la bellissima edizione integrale di Persepolis (352 pp. € 22,50). E il film ha la stessa energia vitale e contagiosa del fumetto. Per realizzarlo la Satrapi ha chiesto e ottenuto la collaborazione alla regia di Vincent Paronnaud, classe ’70, una delle matite francesi più brillanti della nuova generazione. Il risultato non è una semplice trasposizione cinematografica della storia, ma una originale combinazione tra la tecnica di animazione tradizionale e un montaggio con molti stacchi veloci, riferimento dichiarato al ritmo serrato di Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese e alle contaminazioni con la commedia italiana e l’espressionismo tedesco. Ne è venuto fuori un capolavoro di realismo stilizzato, più aderente alla realtà di quanto non sia generalmente il cartone animato, un film capace di alternare ironia e tragedia e di restituire lo stile grafico “minimalista” del fumetto. Rigorosamente in bianco e nero. Con un’unica scena a colori, quella iniziale, la più triste. «Il film inizia con me all’aeroporto – ha raccontato l’autrice – un episodio che abbiamo reso a colori sovvertendo la legge per cui il colore è allegria e il bianco e nero tristezza. Ero talmente malinconica che sono andata a Orly a vedere la gente che si imbarcava per Teheran. Ho fatto la coda con loro come se avessi un biglietto. Quando è stato il mio turno me ne sono andata al bar. A piangere tutte le lacrime che avevo». Il tutto senza alcun cedimento all’autocommiserazione. Al contrario, il film è decisamente autoironico, invita a sorridere di se stessi. «Il senso dell’umorismo è la chiave della sopravvivenza. E il mio umorismo è iraniano: per secoli l’abbiamo usato per cavarcela nelle avversità. Lo humor è il più alto livello di comunicazione. Ridere ti permette di prendere distanza dal mondo senza cadere nel cinismo».
Un film, anche per questo, in grado di parlare a tutti. Perché lo fa partendo dal personale e con il linguaggio universale delle immagini. «Mi piace pensare per immagini. Nessuno avrebbe avuto interesse a leggere un libro sull’Iran. Nessuno in un mondo dove basta accendere la radio o la tv o comprare un giornale per sentire di guerre e morti. Da qui la scelta di partire dalla storia con la minuscola invece che con la maiuscola. La seconda non la posso conoscere che in parte mentre la prima è la mia e se non la so io… Ho trovato il modo di raccontare come i grandi cambiamenti politici possano cambiare la vita delle persone, in modo che anche i non iraniani possano comprendere e identificarsi». Nessuna tesi precostituita. Già, perché Marjane ha tenuto a precisare cosa non vuole essere il film. «Non è un film-manifesto né un film rivendicativo, non fa facile sociologia, non dà giudizi, non dice “questo è giusto e questo è sbagliato”. Non è un film orientato politicamente, che vuole schierarsi». Tantomeno una storia del Terzo mondo o genericamente orientaleggiante. «Siamo come incastrati da qualche parte – si lamenta la Satrapi – tra il famoso Le mille e una notte di Shahrazad e il terrorista barbuto con la moglie vestita come una cornacchia». Ha ragione: si può essere fanatici (e pericolosi) indossando un elegante abito di sartoria e facendosi la barba tutti i giorni. «Fanatico è chi dice: se non la pensi come me sei contro di me. Nel mio paese sono i mullah, è ovvio. Ma non c’è differenza fra un musulmano fanatico, un cristiano fanatico e un ateo fanatico». L’ambizione dell’opera, semmai, è proprio quella di combattere contro certi luoghi comuni e nozioni astratte e generalizzanti come “terrorismo islamico” e “fondamentalismo islamico”, ricordando che le prime vittime di tutto ciò sono proprio gli iraniani che sono di fede musulmana. Offrendo un’immagine della realtà iraniana più reale di quella che la gente vede alla tv o legge sui giornali. La parte più “esotica” della storia – piuttosto – è quella che si svolge a Vienna, dove i genitori di Marjane la spediscono, appena quattordicenne, per sottrarla a un regime sempre più repressivo confidando in un’amica di famiglia che invece la parcheggerà in un anonimo pensionato. «In Austria – dirà – ho sperimentato il nichilismo dell’Occidente, la solitudine più assoluta, la mia di esule ma anche la loro». Per i suoi amici viennesi «la vita è il nulla». Asserzione incomprensibile per chi apprezza la libertà.
Spaesata e resa vulnerabile dalle prime sfortunate (ed esilaranti) peripezie sentimentali, Marjane decide di tornare in un Iran trasformato dalla lunga guerra con l’Iraq in un grande cimitero, anche se questo significa accettare intolleranti restrizioni personali, dal chador alla semplice possibilità di scambiare effusioni in pubblico con il fidanzato. Entra in un Istituto d’arte e, per evitare problemi con i Guardiani della rivoluzione, si sposa con un ragazzo che la delude. A 24 anni, pur continuando a sentirsi profondamente iraniana, prende la dolorosa decisione di divorziare e lasciare il proprio paese per la Francia. La nonna, “personaggio” meraviglioso, tenero e irriducibile, le affida un’unica raccomandazione, cui la Satrapi si è scrupolosamente attenuta: «Resta integra e coerente con te stessa». Una determinazione che certa critica progressista si è affrettata a presentare come una prova di femminismo, ricevendone in risposta una ferma presa di distanza: «Non posso essere femminista, perché ho scelto di essere umanista: il mondo non si divide in maschi e femmine. Si divide in stupidi e no». Di scontro di civiltà, giustamente, non vuole sentirne parlare. «No, non credo allo scontro fra blocchi contrapposti di civiltà: io vengo da una cultura, quella iraniana, dove la poesia è alla base del pensiero. Attualmente i conflitti non avvengono tra l’Oriente e l’Occidente o tra l’Islam e il mondo cristiano, ma piuttosto tra i fanatici e le persone normali». Non esistono civiltà superiori, neanche la “sua” Francia: «Chiudi i supermarket di Parigi, taglia l’acqua e l’elettricità e i cittadini della città più civile del mondo si mangeranno tra loro. È la paura che ci fa perdere la coscienza. Questa è la natura umana. Se vuoi che la gente non si mangi a vicenda, fai in modo che non abbia fame, dagli cultura e istruzione». E la democrazia è una conquista. «Una società è pronta per essere democratica il giorno in cui le donne e gli uomini che ne fanno parte vengono considerati uguali. In Iran oggi le donne valgono la metà degli uomini. Ma, per reazione a questo stato di cose, il 70 per cento degli studenti sono ragazze. Un giorno queste donne si emanciperanno e spingeranno la società verso il cambiamento. In mondo naturale. La democrazia non si regala come un pacco». Opinioni che non sono state apprezzate dagli ayatollah, che – per voce dell’agenzia di Stato per il cinema – hanno censurato e liquidato il film come una «manovra anti-iraniana». Presenterebbe «una visione irreale delle conseguenze della rivoluzione islamica». “Argomenti” che scoraggiano un ritorno della Satrapi in patria, dove manca da molti anni. «A un mio amico, che ha disegnato Tintin in chador, hanno ritirato il passaporto. Il regime è imprevedibile. Non so cosa farebbero a me se decidessi di andare, ma non ha l’aria di essere una buona idea».
In Europa e negli States, invece, Persepolis è letteralmente amato. Catherine Deneuve, che nel film è la voce della madre (e Chiara Mastroianni di Marjane, che nel nostro Paese ha la voce di Paola Cortellesi), ha definito la Satrapi «la mia romanziera preferita». Se al festival di Cannes il film ha ricevuto un’ovazione di quindici minuti (e il premio della giuria), il New York Times ha paragonato i suoi disegni alle litografie di Matisse e il libro è diventato lettura obbligatoria in circa 250 università americane. Non rimanendo immune a qualche tentativo di speculazione, come la “proposta indecente” di trasformare il fumetto in una serie tv, «una versione di Mai senza mia figlia (film del ’91 protagonista Sally Field, intrappolata in Iran da un marito brutale), mixata a Beverly Hills». Erano già stati scelti gli attori: Jennifer Lopez e Brad Pitt. Offerta naturalmente rigettata:«Non me la prendo per le sciocchezze dette a Hollywood, siamo in un paese dove anche i politici dicono sciocchezze». Mica solo lì. Anche qui. Anzi: "ma anche" qui.
Nessun commento:
Posta un commento