domenica 3 febbraio 2008

Gerard Depardieu: oui, je suis l'Europe

Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 3 febbraio 2008

Non c’è due senza tre. Ed ecco che venerdì 8 febbraio Obelix, tenero personaggio senza età capace di infiammare la fantasia dei bambini quanto degli adulti, torna nelle sale italiane per la terza volta in poco meno di dieci anni. E a indossarne i caratteristici pantaloni ascellari a grandi righe bianche e celesti che hanno fatto del celebre gallo un beniamino anche del cinema popolare non poteva essere che Gèrard Depardieu. Dopo Asterix e Obelix contro Cesare (1999, con Roberto Benigni e Laetitia Casta) e Asterix e Obelix: missione Cleopatra (2002, con Christian Claivier e Monica Bellucci), i registi di Asterix alle Olimpiadi, Frèdèric Forestier e Thomas Langmann, come i loro predecessori, si affidano ancora una volta alla travolgente comicità del grande attore francese. Affiancato da un altro monumento del cinema transalpino: un autoironico Alain Delon nei panni di Giulio Cesare. Si parla di doping e corruzione (e giudici corrotti saranno le “nostre” Iene Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu con Enrico Brignano commentatore sportivo) ma il film non ha la pretesa di affrontare l’attualità. Piuttosto di far divertire. Non (solo e tanto) grazie agli 80 milioni di effetti speciali spesi dalla Warner (e che lo rendono indubbiamente spettacolare), ma anche per la presenza di un cast arricchito per l’occasione da famosi uomini di sport che si prestano al gioco. O meglio: ai giochi olimpici di Roma. C’è, per citarne uno, Michael Schumacher impegnato in una corsa delle bighe – che richiama Ben Hur – con l’inseparabile Jean Tods intento ad annusare la terra prima della sfida a mo’ di Russel Crowe nel Gladiatore.
Citazioni su citazioni, rese in perfetto “humor gallico”. Della celeberrima serie di avventure – trecento milioni di albi venduti in tutto il mondo – Asterix alle Olimpiadi è senz’altro l’episodio «più vicino allo spirito europeo del fumetto». Non lo diciamo noi. L’interpretazione autentica è di Albert Uderzo, papà, con Renè Goscinny, della saga. Parere condiviso dai registi: «E’ l’unica serie di storie che, in Europa, può fare concorrenza a Harry Potter e a Spiderman senza perdere la sua identità europea». E da un entusiasta Depardieu, perfettamente a suo agio nello strabordante ruolo di Obelix: «Adoro questo personaggio, mi piace e mi ci riconosco».
Un eroe senza stelle e strisce per l’attore meno hollywoodiano e allineato di chiunque altro: «Non voglio essere troppo magro, altrimenti sembro un attore americano di quelli tutti tirati a lucido, meglio essere grasso». Nessuna missione impossibile da compiere. Niente a che vedere con quei bravi ragazzi perfettini di Batman e Spiderman, pronti a mettere la sorte del mondo al primo posto, facendo infuriare fidanzate e amici. «Quelli sono sempre impegnati a salvare l’America – ha detto un vulcanico Depardieu nella presentazione italiana del film lo scorso lunedì a Roma – a Obelix non gliene frega niente di salvare la Gallia, non ha alcuna ambizione se non fare felice chi ama. E’ come un bambino, si sorprende davanti alla vita, al cibo e all’amore. Non devo recitare, visto che gli assomiglio sempre più».
Vero soprattutto il contrario: è Obelix che finisce per “somigliare” a Depardieu, ad assumerne irreversibilmente i tratti. L’attore francese marchia a fuoco i personaggi, plasmandoli definitivamente a propria immagine, scoraggiandone ogni emulazione futura. Il suo Jean Valjean ne I miserabili (2000) cancella le pur apprezzabili precedenti interpretazioni di Lino Ventura, Jean Paul Belmondo e Liam Neeson, così come il carisma del suo Conte di Montecristo (1998) rende sbiadito il ricordo di quello di Andrea Giordana (datato 1966).
E cosa dire del suo magnifico Cyrano de Bergerac (1990)? L’interpretazione, straordinaria, gli valse la Palma d’Oro a Cannes, il premio César (l’Oscar francese) come miglior attore e il trionfo mondiale. Persino una nomination all’Oscar, riconoscimento sfumato dopo un malinteso con la stampa statunitense: Depardieu raccontò di aver assistito da ragazzino a uno stupro e qualcuno capì (e scrisse) che vi aveva partecipato. Da allora Cyrano ha, in ogni caso, il volto da simpatica canaglia di Depardieu. E un destino, per certi versi, analogo: come il poeta spadaccino, ispirato alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, ha nel suo spropositato naso il principale ostacolo per la realizzazione dei suoi sogni (conquistare il cuore della bella cugina Rossana), Depardieu dispone di una fisicità talmente “ingombrante” che avrebbe potuto relegarlo in ruoli minori, da caratterista. Pericolo scongiurato da un talento smisurato che somma una prepotente presenza scenica con l’appeal del sex symbol e la raffinatezza e naturalezza dell’attore teatrale capace di misurarsi – come in Cyrano – con testi ottocenteschi.
Versatilità talmente accentuata da farlo passare con disinvoltura da ruoli epico-storici (dalle gesta di Cristoforo Colombo ne 1492: La conquista del Paradiso di Ridley Scott a quelle del corpulento Porthos nella Maschera di ferro di Randall Fallace al fianco di moschettieri del calibro di John Malkovich, Jeremy Irons e Gabriel Byrne, con Leonardo Di Caprio nel ruolo del re) a comici, da film romantici a drammatici, dal cinema d’autore a quello di pura evasione. Salutato sin da subito come «il nuovo Gabin» (riconosciuto come erede dallo stesso Gabin) e «il De Niro europeo», ha al suo attivo più di 150 film, tra cui vere e proprie pietre miliari dell’immaginario del cinema europeo, tanto da diventare – secondo la classifica stilata qualche anno fa dal settimanale Le Point – l’attore francese più pagato. Senza, però, darsi arie da attore “arrivato”. Sempre alla ricerca di nuove esperienze, convinto com’è che «sia meglio fare delle stupidaggini che vivere in economia ed economizzare se stessi». Se – come ha detto in un’intervista – «un buon attore è quello che ha molto vissuto», lui, non fosse altro che per questo, lo è. Anche se la definizione di attore gli sta stretta: «Non sono i copioni a interessarmi, ma la vita. Io non mi reputo un attore, sono uno che ama la gente. Se la gente mi vede come Obelix, allora io sono Obelix. Io ammiro gli attori, loro lavorano tanto, io no. Il mio lavoro consiste nell'osservare la gente e nel sopravvivere». Non a caso, l’attività dichiarata è sì quella di attore, regista e produttore cinematografico, ma anche di “viticoltore”. Passione antica quanto irresistibile, quella per il buon vino. Tanto fa farsi ristoratore – si dice che il suo “La Fontaine Gaillon” sia l’unico locale parigino dove si possa gustare il culatello di Parma – e produttore di vini con «tanti piccoli appezzamenti: in Borgogna, Bergerac, Anjou, Languedoc, Marocco, Algeria, Spagna, Portogallo, Argentina...».
Vino, buona tavola e cinema: passioni che si rincorrono e si intrecciano. Tanto da inscenare ne L’abbuffata, film di Mimmo Calopresti del 2007, la propria morte per indigestione. Con tanto di necrologio immaginario, dal sapore di una firma: «Gérard Depardieu, un cuoco prestato al cinema». Passioni, gli auguriamo, non così fatali, come anche quella per le moto di grande cilindrata. Quest’ultima, sinora, gli è costata un paio di brutti incidenti e qualche mese lontano dal set. Ma ci vuole altro per fermarlo. Non c’è riuscito neanche un infarto. Né l’intervento al cuore nel 2000. E porta i suoi sessant’anni (e i cinque bypass) con la vitale noncuranza di chi è sopra le righe per naturale propensione, pronto ad accendere una gitanes dietro l’altra, senza risparmiarsi: cinque sono i progetti in uscita e almeno tre quelli in preparazione, tra cui Bellamy di Claude Chabrol in cui reciterà ancora con Clovis Cornillac (il nuovo Asterix). Trattando tutti con simpatia contagiosa. Lo hanno confermato i registi dell’ultimo film. «Gèrard ride, scherza e mette tutti a proprio agio – ha raccontato Forestier – mentre Delon ti mette in soggezione, quando c'era lui stavamo sull'attenti».
Depardieu non nasconde la sua ammirazione per il collega, lo giustifica: «Delon in gioventù è stato un militare e questo gli ha dato una certa tempra, un’immagine di duro che ha sempre conservato. E’ una leggenda vivente, ma se scavi in profondità ti conquista». Non è la sola cosa in comune che hanno. Entrambi, alle ultime elezioni, hanno sostenuto Sarkozy. «Il solo uomo politico che lavori realmente per cambiare le cose. Gli altri – ha dichiarato Depardieu a Paris Match in piena campagna elettorale – non si sa da che parte stanno e cosa vogliono fare». Passione per Sarkozy condivisa anche dal collega Jean Reno, insieme al quale ha girato nel 2003 Sta zitto… non rompere, un film con ruoli di criminali dal cuore tenero cuciti letteralmente su misura per i due mattatori del cinema francese.
Ruoli che richiamano gli esordi negli anni Settanta, quando a Depardieu venivano affidate parti di uomini duri, solitari e vagamente sciovinisti (interpretate con la naturalezza di chi veniva da un’adolescenza che definire turbolenta sarebbe un eufemismo) come il teppista de I santissimi (1973), il ladro di Maîtresse (1975) e il seduttore impenitente de L’ultima donna (1976). Fu Novecento, il film di Bernardo Bertolucci (1976), a dargli la notorietà internazionale.
Un rapporto, quello con il nostro paese e con i registi italiani, che si è consolidato con il tempo. «Senza aver paura a generalizzare, posso dire che noi francesi, soprattutto chi lavora nel cinema, consideriamo l'Italia come la nostra seconda patria. La commedia dell'arte è nata qui e Molière l'ha portata in Francia». Ha lavorato con Marco Ferreri, Comencini, Calopresti, Scola, Rubini, Veronesi, Ponti e Tornatore nel bellissimo film Una pura formalità (1994). Forse il più bello del regista siciliano: un noir claustrofobico spezzato da continui flashback, ambientato in una spoglia caserma di polizia eppure ricco di colpi di scena, con un disorientato Depardieu accusato di omicidio da un altrettanto straordinario Roman Polanski.
Tra i suoi attori preferiti c’è Roberto Benigni, con il quale ha lavorato nel primo film della serie di Asterix e Obelix: «Un vero comico ma che all’occorrenza riesce a leggere Dante e soprattutto a farlo capire». Nella presentazione romana del film ha confessato un desiderio analogo: «Mi piacerebbe fare come lui, che va negli stadi a recitare. Io avevo pensato di proporre gli scritti di Sant’Agostino, che è parte della nostra cultura». Una scoperta che risale al 2003, quando si lasciò affascinare da alcune pagine delle Confessioni dando vita a una serie di letture per un pubblico sempre più numeroso. In attesa di vederlo anche qui all’opera con la quiete spirituale di Sant’Agostino, non rimane che apprestarsi a godere il suo ultimo Obelix: un successo annunciato, al quale potrebbero aggiungersi altri capitoli. «Mi piacerebbe molto realizzare Asterix gladiatore – ha dichiarato l’altro regista, Langmann – e se così fosse un sogno sarebbe poter riunire la coppia Boldi De Sica, di cui sono un grande fan». Pensare che per la nostra altezzosa critica militante si tratta di pellicole trash, la cui semplice visione è perversione inconfessabile… Mentre già si vocifera di nuovi ambiziosi progetti che Peter Jackson – il regista de Il signore degli anelli – e Steven Spielberg avrebbero per realizzare una versione cinematografica di Tintin, il giovane reporter dai capelli rossi creato dal “fascista” Georges Remi (in arte Hergé) nel 1929. Per una curiosa combinazione al Giornale di Tintin collaborava anche un giovane autore, René Goscinny, che in seguito, insieme ad Albert Uderzo, darà vita proprio ad Asterix il gallico. Perché l’Europa, al di là dell’eterna disputa tra galli sempliciotti e romani sbruffoni, tra finali di calcio e testate extraregolamentari, passa anche per i fumetti e il cinema.

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