mercoledì 6 febbraio 2008

Gli irregolari? Uomini liberi e non terzisti (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di sabato 2 febbraio 2008

L’educazione all’anticonformismo culturale richiede libertà intellettuale e attitudine all’eresia. Filippo La Porta, critico letterario e scrittore, ha individuato con coraggio un itinerario di ampio respiro attraverso la lettura delle opere di “figure esemplari” del '900, per affrescare una “lezione per il nostro presente”. Maestri irregolari (Bollati Boringhieri, € 14, 154 pp) disegna un viaggio attraverso le opere di undici autori: Nicola Chiaromonte, George Orwell, Simone Weil, Albert Camus, Ignazio Silone, Arthur Koestler, Carlo Levi, Hannah Arendt, Christopher Lasch, Pier Paolo Pasolini, Ivan Illich.
“Ma chi è il maestro” si chiede nell’introduzione La Porta, e l’aggettivo irregolare ne amplifica ed esalta il ruolo, come se per insegnare qualcosa, per individuare strade non battute, sia indispensabile iscriversi nel novero dei non allineati. “Credo che abbiamo bisogno di maestri, anche se oggi tendiamo a pensare il contrario: e anzi l’idea stessa di maestro è divenuta sospetta, incompatibile con la democrazia di massa e con le sue retoriche domande... eppure abbiamo bisogno di maestri, noi smarriti abitanti del terzo millennio, sradicati da ogni tradizione e desolatamente liberi di scegliere quella che più ci piace, orfani di tutte le ideologie”. Il deserto della postmodernità libera il paesaggio dai polverosi santuari degli ismi del novecento, ma allo stesso tempo genera spaesamento, una progressiva perdita di riferimenti per comprendere il reale. Nuove povertà, secolarizzazione, riforma dei diritti di cittadinanza, ruolo delle metropoli, diritto alla vita in rapporto alla tecnica, sono solo alcune delle sfide a cui la politica dovrebbe dare risposte immediate. E qui La Porta spiega perché più che i politici, sono i filosofi, gli uomini di pensiero a svolgere un ruolo guida. “Qualcuno negli anni settanta, al contrario di me e della maggioranza dei miei coetanei, provava ammirazione non per i leader politici – così magnetici e inclini al comando - ma per i grandi filosofi. Forse per questo ne hanno preservato maggiormente l’integrità morale. Dopo la morte di Dio, la sfida principale della modernità consiste nel fondare la nostra morale su basi interamente terrene”. Qual è il fil rouge che unisce la speculazione sui “maestri irregolari”? Sono queste 12 coordinate: la critica dell’esistente per amore della realtà, il concetto di limite, l’inganno del futuro, l’immagine luminosa del fratello maggiore, il ruolo positivo di educatori e non indottrinatori, la mistica della democrazia, il recupero del sacro (mistica senza fede), l’essere saggisti (scrittori senza genere e mestiere), il bisogno di ripensare la nostra civiltà, un agire poco visibile, un approccio individualista e un posizionamento anticomunista in chiave antitotalitaria che valsa a molti appellativi delegittimanti. Spiega il critico romano senza giri di parole e cancellando inutili ipocrisie: “Dalla Arendt a Orwell, i maestri di cui parlo sono sempre stati giudicati poco affidabili politicamente. Non si capiva da che parte stessero. Eppure si sono tutti schierati in modo inequivocabile. Il fatto è che nel loro comportamento c’era qualcosa di indisciplinato, di sospetto, specie per la sinistra comunista, largamente egemone sul piano culturale. Bisognava gettare su di loro un’ombra di infamia”. Nelle pagine del saggio emerge la speculazione socratica di Nicola Chiaromonte, intellettuale non allineato, disorganico, “impegnato a decostruire il potere” e a demolire gli idoli sociali. La sua rotta? Una conversione alla semplicità delle cose, l’errore resta la hybris, una prospettiva che, a differenza di tanti intellettuali italiani la cui fama non ha mai superato i confini nazionali, permise a Chiaromonte di contaminare altre culture, con la rivista americana Politics, e influenzare la dirigenza anticomunista polacca di Solidarnosc. Poi colpisce il rigore antitotalitario dello scrittore inglese George Orwell: in anni in cui l’Europa era divisa da una cortina di ferro, la verità andava affermata senza ricorrere agli artifici della propaganda. Negava, nei fatti, che la democrazia potesse essere difesa con metodi totalitari, i quali un giorno avrebbero potuto trovare nuovo spazio nel governo del popolo. L’elogio della concretezza è tutto in una citazione di Simon Weil: “Bisogna preferire l’inferno reale al paradiso immaginario”. La filosofa parigina postulava un elogio assoluto della bellezza: il bello non coincide con il bene, ma è capace di produrre il bene, e la bellezza è “una misteriosa necessità”, “guarisce dall’utopismo e dalla mania pedagogica di migliorare le cose”. La Porta si sofferma anche su una rilettura politica dello scrittore Albert Camus, troppo spesso relegato in un incapacitante ambito sofisticato e letterario. Perché fu ostracizzato? “La sinistra ufficiale riservava “il silenzio e la derisione” a ogni tradizione rivoluzionaria non marxista”. Del resto era un conservatore atipico, affermava che bisogna “conservare ciò che conta dell’esistenza”. Amava il calcio, come Pasolini, il suo ruolo era portiere, “sotto un sole meridiano”, solitario, schierato responsabilmente a difesa di una comunità. Un antidoto all’arido politicismo può, invece, essere fornito dalla lettura di Hanna Arendt. Le sue opere spopolarono nei college americani durante gli anni della contestazione, ma non furono letti davvero a fondo e le sue parole d’ordine non divennero il lessico del sessantotto, che non aveva nell’ideologia ma nell’idea di movimento la sua forza autentica.
Nel 1981 fu pubblicato in Italia il saggio di Christopher Lasch La cultura del narcisismo. L’opera fu elogiata dal filosofo di destra Augusto Del Noce. La demistificazione del concetto di progresso (che cancella i limiti dell’uomo); la critica delle politiche liberal e della continua crescita delle burocrazie governative; l’interazione tra la cultura di massa, la crescita dei consumi e il declino dell’autorità morale: su queste linee il sociologo americano, con una ricerca interdisciplinare, codifica una riforma della cittadinanza secondo l’etica della responsabilità estesa anche ai poveri e non garantiti, che non devono sentirsi vittime in attesa del soccorso del welfare ma protagonisti attivi della società. Per Lasch la via d’uscita dai vicoli chiusi della postmodernità è nel recuperare una civiltà del limite, fatta di felicità e ordinaria infelicità, con una critica serrata alle deformazioni della società turbocapitalista che trasforma i cittadini in consumatori senza autonomia di pensiero. Tra gli irregolari un ruolo di primo piano lo merita anche Pier Paolo Pasolini: irritava e attraeva per la forza del suo amore per la verità, e per il senso del sacro che esaltava in certi provocatori interventi (una reminiscenza della lettura del pensiero dell’intellettuale rumeno Mircea Eliade). Amava la poesia, perché superava la logica produttivistica: “alcuni momenti vanno strappati all’utilità del mercato, come il buono, la gratuità, la solidarietà, il sogno”. Una critica serrata all’industrialismo permea l’opera di Ivan Illich, sociologo austriaco, insieme a una quanto mai attuale critica del linguaggio, che progressivamente sta degradando a semplice e fredda comunicazione, “scambio di informazioni tecniche che prescindono da un soggetto dotato di identità” (Orwell).
L’itinerario proposto da La Porta può risultare congeniale e stimolante per chi si posiziona a destra (secondo l’intuizione di Alain de Benoist), generando inattese contaminazioni. La formazione "disorganica" - e allo stesso tempo legata allo spirito del tempo – tipica della destra italiana del Novecento ha permesso, infatti, dal dopoguerra ad oggi di decrittare a fondo la realtà, per leggerne le sfaccettature “in orizzonti inaccessibili” (Pietrangelo Buttafuoco) ai tanti conformisti della cultura nazionale.
Michele De Feudis è giornalista e scrittore, collaboratore dell'Ansa e del Secolo d'Italia. Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, edito da L'arco e la corte (Bari)

4 commenti:

Unknown ha detto...

Era da tanto che non pubblicavi un articolo del mio amico Michele.
A proposito, ultimamente pubblichi pochi corsivi: sentiamo la mancanza di Conan.
Comunque, il tuo è un gran bel sito. Complimenti.

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Ciao Umberto, hai ragione. C'è un bel Conan sul Secolo di oggi, ma sono incasinato. Domani pomeriggio lo posto, insieme ad altre cosettine.
Grazie e a presto.
Roberto

Anonimo ha detto...

Ciao Roberto!

Di La Porta avevo già letto un libro di molti anni fa sulla nuova narrativa italiana, e mi era piaciuto per come analizzava tendenze ed autori, arrivando anche a conclusioni non sempre condivisibili ma sicuramente originali.
Questo suo nuovo lavoro mi sembra interessante. Quasi quasi lo compro.

PS: sono di nuovo sul web. Esisto dopo un mese. Fantastico :-)))

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Ciao Claude, bentornato sul web! :)) Prima o poi passo anche io al Mac, fammi sapere come ti trovi...
Anche io ho letto (solo) il libro sulla nuova narrativa, ben fatto. Una delle poche antologie sulle nuove leve italiane. Niente male per un critico militante :))
Un abbraccio e a presto.
Rob