Dal Secolo d'Italia di giovedì 7 febbraio 2008
In fondo ha proprio avuto ragione la sinistra a investire, gramscianamente, sulla cultura e sull’immaginario. I passati anni di consenso derivano indubbiamente anche da quell’intuizione. Ma, bisognava aspettarselo, tutti gli investimenti portano con sé un rischio uguale e contrario. E così, oggi, la sinistra si ritrova a parlare di cantautori come un risparmiatore parla delle borse mondiali: i “risparmi” di anni si sciolgono come neve al sole. È indubbia, infatti, la tendenza al disincanto, se non proprio alla delusione e allo sconforto. L’ultimo, in ordine di tempo, è Pino Daniele che, intervistato dal Corriere, ne prende atto: «Il fatto è che non mi riconosco più in questa sinistra. Le mie radici non le abbandono ma di certo non mi sento comunista. Mi definirei un socialista che non guarda più ai partiti ma alle persone».
Non è, quindi, questione di appartenenze, di cui, in definitiva, poco ci importa. Se l’idea stessa di “intellettuale organico” è uno iato della razionalità, figuriamoci infatti se può avere senso l’idea di un “cantautore organico”. Come mettere le briglie all’arte. Non si può, però, non registrare un fenomeno che, da qualche anno, si manifesta sempre più spesso: se aveva iniziato Giorgio Gaber agli albori degli anni ’80, in seguito era stato De Gregori a spiegare come «in politica si può scegliere di volta in volta chi votare». Poi sono arrivati Guccini che ribadisce il suo «non essere mai stato comunista», Dalla che spiega che andava alla festa dell’Unità solo perché lo «pagavano» e Cocciante che ricorda di «non aver avuto bandiere politiche». Ecco, la novità è proprio questa: non cambi di casacca – che non avrebbero senso – ma un diffuso abbandono delle casematte ideologiche. Come Pino Daniele, con un atteggiamento che guarda alle persone più che agli schemi. E così, succede che un cantautore come Davide Van De Sfroos pensi a una canzone sull’ultima notte che Mussolini ha trascorso a Giulino di Mezzegra. Come Pound nei suoi Cantos. Sì, qualcosa è cambiato: c’è più libertà nell’aria.
Non è, quindi, questione di appartenenze, di cui, in definitiva, poco ci importa. Se l’idea stessa di “intellettuale organico” è uno iato della razionalità, figuriamoci infatti se può avere senso l’idea di un “cantautore organico”. Come mettere le briglie all’arte. Non si può, però, non registrare un fenomeno che, da qualche anno, si manifesta sempre più spesso: se aveva iniziato Giorgio Gaber agli albori degli anni ’80, in seguito era stato De Gregori a spiegare come «in politica si può scegliere di volta in volta chi votare». Poi sono arrivati Guccini che ribadisce il suo «non essere mai stato comunista», Dalla che spiega che andava alla festa dell’Unità solo perché lo «pagavano» e Cocciante che ricorda di «non aver avuto bandiere politiche». Ecco, la novità è proprio questa: non cambi di casacca – che non avrebbero senso – ma un diffuso abbandono delle casematte ideologiche. Come Pino Daniele, con un atteggiamento che guarda alle persone più che agli schemi. E così, succede che un cantautore come Davide Van De Sfroos pensi a una canzone sull’ultima notte che Mussolini ha trascorso a Giulino di Mezzegra. Come Pound nei suoi Cantos. Sì, qualcosa è cambiato: c’è più libertà nell’aria.
Conan non sono io, né so di quale collega sia lo pseudonimo. Sta di fatto che i suoi corsivi sono sempre interessanti e intelligentemente "provocatori". Li pubblico (e raccolgo) qui con l'intento di sottrarli alla breve vita dei quotidiani e confidando di alimentare - se vi va - un confronto sui contenuti.
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