Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 14 marzo 2008
È davvero difficile raccontare la transizione italiana degli ultimi quindici anni riuscendo ad astrarsi completamente dall’inevitabile coinvolgimento partecipe che rende sempre difficile un’interpretazione oggettiva degli sconvolgimenti avvenuti. Eppure sarebbe un’operazione necessaria: forse basterebbe tornare con la mente all’immaginario condiviso della fine degli anni Ottanta e confrontare con esso tutto quello che è successo. Immaginiamo, come nella vicenda del film Good bye Lenin, che un quaranta- cinquantenne di oggi si fosse addormentato all’inizio del 1990 risvegliandosi improvvisamentenei primi anni del nuovo millennio. Davvero non riuscirebbe a orientarsi in un Italia governata dall’uomo che per lui era solo un imprenditore dell’etere, tutt’al più il presidente del Milan, quello che aveva modificato l’estetica televisiva con Drive In, i Puffi e Dallas… Un’Italia in cui sono spariti il Partito comunista e la Democrazia cristiana, in cui sono andati al governo addirittura gli ex missini (e poi anche gli ex comunisti), in cui sono stati ministri personaggi televisivi come Giuliano Ferrara e Vittorio Sgarbi, in cui nelle vecchie regioni bianche del Nord ha trionfato un nuovo partito federalista che appare come la rivincita delle vecchie liste localiste a percentuale da prefisso telefonico… E, alla vigilia di queste prossime elezioni politiche del 2008, la situazione appare, oltretutto, ancora più incomprensibile e paradossale: i due grandi partiti che chiedono il voto utile
(quello che una volta facevano la Dc e il Pci) sono due soggetti maggioritari, apparentemente mutuati uno dalla tradizione americana – il Partito democratico – e l’altro che si pone come costola del Partito popolare europeo. E le altre listarelle che si presentano al voto senza troppe speranze di portare uomini in Parlamento e che chiedono il consenso in nome dell’identità e conbtro il duopolio sono la riproposizione delle sigle dei partiti storici: il Centro dello Scudo crociato, il Partito socialista, la Destra, la Sinistra… Il cittadino italiano rimasto ibernato per quindici anni non ci capirebbe davvero niente…
Ecco perché ha fatto bene Angelo Mellone a decidere di raccontare tutta questa storia con uno stile e un linguaggio inconsueti, privi soprattutto di filtri e di pregiudizi postumi. È il 13 aprile del 2006, se da qualche giorno la Casa delle libertà ha perso le elezioni per 25mila voti, nasce una bambina soprannominata “Bombo”, come un simpatico calabrone senza pungiglione. Il suo papà, che è appunto Angelo Mellone, inizia a scrivere in un blocchetto di appunti le vicende della politica per farle leggere alla bambina quando avrà vent’anni. Ed è una narrazione che si legge come una lettera affettuosa questo Cara Bombo… Berlusconi spiegato a mia figlia (Marsilio, pp. 207, euro 14), in cui il giornalista tarantino ripercorre senza le deformazioni del politichese tutto il senso della transizione italiana.
«Perché te ne parlo?», scrive l’autore rivolta alla sua Bombo. «Forse – spiega – perché è davvero importante. Forse perché non mi fido dei libri di storia. Forse perché non mi fido dei libri di storia. Forse perché tutti mi dicono che è forse meglio lasciar perdere. Forse per capirci anch’io qualcosa. Forse per ricordare a me stesso cosa sta succedendo». Al centro della ricostruzione c’è, ovviamente, Silvio Berlusconi, la figura epocale che Mellone chiama «l’Operoso Insonne». E, confessione per confessione, l’autore è costretto ad ammetterlo: «Vedi, cara Bombo, io non sono mai stato berlusconiano… Venivo da una destra pudica, un poco imbronciata, libertaria…». Eppure bisogna riconoscerlo: la maggioranza degli italiani, la grande pancia del paese, è fatta d’altro. Di casalinghe di Voghera, ad esempio. Mellone dice di averne conosciuta una, che però sta a Taranto, al rione Tre-Carrare Battisti. La signora Anna ha il figlio emigrato in Belgio e il marito andato al creatore vent’anni fa: «Berlusconi le ha alzato a 500 euro la pensione minima e lei s’è messa il santino accanto a quella di Mimmo, sul comò, e tiene il rosario infilato nella manica della sua veste nera. Non è un consumatore scemo di pubblicità, Anna, non ha abbastanza denaro per essere scema. La mattina va al mercato e “Berluscone tiene ragione che divi girare le bancarelle”…».
Insomma, la figura di Berlusconi diventa la metafora di un'Italia complessa, stratificata, profonda ma normale. E con i fuori copione da outsider e le dichiarazioni naif, le ovazioni e le contestazioni, i treppiedi e gli anfiteatri, le donne e i cortigiani, gli arcitaliani e gli antitaliani, il Cavaliere diventa – anche suo malgrado – l’incarnazione dell’Italia che cambia. Sì, ricorda Mellone, il berlusconismo è un altro corposo capitolo dell’autobiografia novecentesca della nazione. Come col Mussolini del ’19, come e di più del Fanfani degli anni Sessanta, come e di più del Craxi degli Ottanta, Berlusconi è il triondo dell’outsider rispetto ai salotti e all’establishment politico, finanziario e culturale. «Ciò che Berlusconi mette in piedi – annota Mellone – nasce dalla chiamata alle armi di uomini, culture, movimenti che nella Prima Repubblica stanno ai margini della storia che conta, e che in pochi mesi si ritrovano al governo». Lo confidava, già nel ’95, al primo coordinatore del suo partito, Domenico Mennitti: «Ho dato voce agli esclusi della Prima Repubblica». Nel senso che il berlusconismo è pre-politica, «è un patchwork, è azione e comunicazione prima che riflessione». È questa, in fondo, la sua vera forza, che regolarmente smentisce «tutti quei volenterosi sarti che cercano di tagliare al Berlusconi un vestito intellettuale su misura per farlo assomigliare a una cultura politica come le altre, solo più inclusiva, e organizzano convegni per spiegare che la questione è tutta lì…». E invece non sta proprio lì. Il Cavaliere li smentisce giorno dopo giorno, dimostrando che la realtà è più complessa, ricca e libera di tutti i loro schemi.
Presentato come il campione di un atlantismo vecchio stile, Berlusconi non disdegna di diventare amico intimo di Vladimir Putin e di lavorare assiduamente per un intesa russo-europea. Dopo una gaffe – compiuta per aver letto una dichiarazione scritta da un ghost writer ideologizzato e impreparato – sulla presunta “superiorità” occidentale rispetto ai musulmani non ha nessun problema ad andare alla Moschea di Roma e inginocchiarsi per spiegare il suo grande rispetto per l’Islam, attestato del resto dall’aver un principe saudita come socio nelle sue attività editoriali. Non solo: malgrado le pressioni dei teo-con presenti nel suo partito si schiera apertamente per la Turchia in Europa e diventa talmente amico del premier turco Erdogan da fare da testimone di nozze a una sua figlia con tanto di cerimonia islamica e cena attorno al tappeto.
È anche questo Berlusconi: un continuo spiazzare schemi e limiti consolidati. Chi può dimenticare il suo pianto sincero di fronte alla tragedia della nave in cui persero la vita tanti immigrati albanesi? Vale quanto spiegato a suo tempo da Pietrangelo Buttafuoco: «Berlusconi è il tipo da bar elevato al rango da statista perché ha rotto l’etichetta senza mettersi l’orologio sul polsino». Alla luce di questo e altro, Mellone conclude la lettera a sua figlia alla vigilia delle nuove elezioni che – altra coincidenza significativa – si svolgeranno nel giorno del suo secondo compleanno.
«Questi appunti finiscono – gli dice – finiscono per ricominciare perché, trattandosi dell’Operoso Insonne, non si sa mai. Se ha ragione magoo Scapagnini, da maggiorenne voterai l’Astronave della libertà». Una conclusione forse condivisa da Aldo Cazzullo che, ieri sul Magazine del Corriere della Sera, spiegava come Berlusconi non ha affatto perso l’istinto del combattente: «Presto ce ne accorgeremo: in campagna elettorale, e dopo… Non prenderlo sul serio sarebbe ingiusto nei confronti della metà degli italiani che lo sostiene, e dell’altra metà che lo avversa. Berlusconi va raccontato, studiato, intervistato… Perché nel nostro futuro non ci sarà il pareggio, non ci sarà la grande coalizione, non ci sarà Gianni Letta, ma piaccia o non piaccia – conclude Cazzullo – è con lui che dovremo fare i conti».
(quello che una volta facevano la Dc e il Pci) sono due soggetti maggioritari, apparentemente mutuati uno dalla tradizione americana – il Partito democratico – e l’altro che si pone come costola del Partito popolare europeo. E le altre listarelle che si presentano al voto senza troppe speranze di portare uomini in Parlamento e che chiedono il consenso in nome dell’identità e conbtro il duopolio sono la riproposizione delle sigle dei partiti storici: il Centro dello Scudo crociato, il Partito socialista, la Destra, la Sinistra… Il cittadino italiano rimasto ibernato per quindici anni non ci capirebbe davvero niente…
Ecco perché ha fatto bene Angelo Mellone a decidere di raccontare tutta questa storia con uno stile e un linguaggio inconsueti, privi soprattutto di filtri e di pregiudizi postumi. È il 13 aprile del 2006, se da qualche giorno la Casa delle libertà ha perso le elezioni per 25mila voti, nasce una bambina soprannominata “Bombo”, come un simpatico calabrone senza pungiglione. Il suo papà, che è appunto Angelo Mellone, inizia a scrivere in un blocchetto di appunti le vicende della politica per farle leggere alla bambina quando avrà vent’anni. Ed è una narrazione che si legge come una lettera affettuosa questo Cara Bombo… Berlusconi spiegato a mia figlia (Marsilio, pp. 207, euro 14), in cui il giornalista tarantino ripercorre senza le deformazioni del politichese tutto il senso della transizione italiana.
«Perché te ne parlo?», scrive l’autore rivolta alla sua Bombo. «Forse – spiega – perché è davvero importante. Forse perché non mi fido dei libri di storia. Forse perché non mi fido dei libri di storia. Forse perché tutti mi dicono che è forse meglio lasciar perdere. Forse per capirci anch’io qualcosa. Forse per ricordare a me stesso cosa sta succedendo». Al centro della ricostruzione c’è, ovviamente, Silvio Berlusconi, la figura epocale che Mellone chiama «l’Operoso Insonne». E, confessione per confessione, l’autore è costretto ad ammetterlo: «Vedi, cara Bombo, io non sono mai stato berlusconiano… Venivo da una destra pudica, un poco imbronciata, libertaria…». Eppure bisogna riconoscerlo: la maggioranza degli italiani, la grande pancia del paese, è fatta d’altro. Di casalinghe di Voghera, ad esempio. Mellone dice di averne conosciuta una, che però sta a Taranto, al rione Tre-Carrare Battisti. La signora Anna ha il figlio emigrato in Belgio e il marito andato al creatore vent’anni fa: «Berlusconi le ha alzato a 500 euro la pensione minima e lei s’è messa il santino accanto a quella di Mimmo, sul comò, e tiene il rosario infilato nella manica della sua veste nera. Non è un consumatore scemo di pubblicità, Anna, non ha abbastanza denaro per essere scema. La mattina va al mercato e “Berluscone tiene ragione che divi girare le bancarelle”…».
Insomma, la figura di Berlusconi diventa la metafora di un'Italia complessa, stratificata, profonda ma normale. E con i fuori copione da outsider e le dichiarazioni naif, le ovazioni e le contestazioni, i treppiedi e gli anfiteatri, le donne e i cortigiani, gli arcitaliani e gli antitaliani, il Cavaliere diventa – anche suo malgrado – l’incarnazione dell’Italia che cambia. Sì, ricorda Mellone, il berlusconismo è un altro corposo capitolo dell’autobiografia novecentesca della nazione. Come col Mussolini del ’19, come e di più del Fanfani degli anni Sessanta, come e di più del Craxi degli Ottanta, Berlusconi è il triondo dell’outsider rispetto ai salotti e all’establishment politico, finanziario e culturale. «Ciò che Berlusconi mette in piedi – annota Mellone – nasce dalla chiamata alle armi di uomini, culture, movimenti che nella Prima Repubblica stanno ai margini della storia che conta, e che in pochi mesi si ritrovano al governo». Lo confidava, già nel ’95, al primo coordinatore del suo partito, Domenico Mennitti: «Ho dato voce agli esclusi della Prima Repubblica». Nel senso che il berlusconismo è pre-politica, «è un patchwork, è azione e comunicazione prima che riflessione». È questa, in fondo, la sua vera forza, che regolarmente smentisce «tutti quei volenterosi sarti che cercano di tagliare al Berlusconi un vestito intellettuale su misura per farlo assomigliare a una cultura politica come le altre, solo più inclusiva, e organizzano convegni per spiegare che la questione è tutta lì…». E invece non sta proprio lì. Il Cavaliere li smentisce giorno dopo giorno, dimostrando che la realtà è più complessa, ricca e libera di tutti i loro schemi.
Presentato come il campione di un atlantismo vecchio stile, Berlusconi non disdegna di diventare amico intimo di Vladimir Putin e di lavorare assiduamente per un intesa russo-europea. Dopo una gaffe – compiuta per aver letto una dichiarazione scritta da un ghost writer ideologizzato e impreparato – sulla presunta “superiorità” occidentale rispetto ai musulmani non ha nessun problema ad andare alla Moschea di Roma e inginocchiarsi per spiegare il suo grande rispetto per l’Islam, attestato del resto dall’aver un principe saudita come socio nelle sue attività editoriali. Non solo: malgrado le pressioni dei teo-con presenti nel suo partito si schiera apertamente per la Turchia in Europa e diventa talmente amico del premier turco Erdogan da fare da testimone di nozze a una sua figlia con tanto di cerimonia islamica e cena attorno al tappeto.
È anche questo Berlusconi: un continuo spiazzare schemi e limiti consolidati. Chi può dimenticare il suo pianto sincero di fronte alla tragedia della nave in cui persero la vita tanti immigrati albanesi? Vale quanto spiegato a suo tempo da Pietrangelo Buttafuoco: «Berlusconi è il tipo da bar elevato al rango da statista perché ha rotto l’etichetta senza mettersi l’orologio sul polsino». Alla luce di questo e altro, Mellone conclude la lettera a sua figlia alla vigilia delle nuove elezioni che – altra coincidenza significativa – si svolgeranno nel giorno del suo secondo compleanno.
«Questi appunti finiscono – gli dice – finiscono per ricominciare perché, trattandosi dell’Operoso Insonne, non si sa mai. Se ha ragione magoo Scapagnini, da maggiorenne voterai l’Astronave della libertà». Una conclusione forse condivisa da Aldo Cazzullo che, ieri sul Magazine del Corriere della Sera, spiegava come Berlusconi non ha affatto perso l’istinto del combattente: «Presto ce ne accorgeremo: in campagna elettorale, e dopo… Non prenderlo sul serio sarebbe ingiusto nei confronti della metà degli italiani che lo sostiene, e dell’altra metà che lo avversa. Berlusconi va raccontato, studiato, intervistato… Perché nel nostro futuro non ci sarà il pareggio, non ci sarà la grande coalizione, non ci sarà Gianni Letta, ma piaccia o non piaccia – conclude Cazzullo – è con lui che dovremo fare i conti».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra. Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
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