Dal Secolo d'Italia di giovedì 24 aprile 2008
Rigiro il libro tra le mie mani, con curiosità. Era tanto che non l’aprivo. Ci sono libri cui siamo particolarmente legati. Ragioni di lavoro, o culturali, ma anche affettive. Quel libro mi fa ripensare a loro. Al gruppo di amici fiorentini, passato attraverso le esperienze prima della Giovane Italia e del Fuan, poi del Msi e infine, lasciate con un certo fragore le sponde del nostalgismo, della Giovane Europa di Jean Thiriart. Alla fine degli anni Sessanta, in conseguenza di quel Sessantotto di cui molto si è parlato anche sul Secolo, la nostra esperienza politica – nel senso di un impegno diretto, in prima persona – poteva dirsi praticamente terminata. La delusione ideologica veniva a coincidere con un cambiamento esistenziale. Eravamo cresciuti, e non solo intellettualmente; avevamo visto andarsene alcuni dei nostri Maestri, primo tra tutti Attilio Mordini, scomparso prematuramente nel 1966, ed anche alcuni dei nostri amici, come Mario Schettini e Adriano Romualdi.
Il nostro cammino attraverso la destra giovanile era stato lungo e tormentato. Di esso ne ha scritto Franco Cardini nel numero di gennaio di Charta minuta, la bella rivista che ha arricchito da alcuni anni il panorama della pubblicistica vicina ad An. Cardini tornava su un tema che aveva già trattato in passato in altre sedi. Si trattava in sostanza di spiegare l’itinerario di un gruppo di giovani “da un castello all’altro”, per riprendere una definizione céliniana.
Non sono in grado di ripercorrere quell’itinerario con la chiarezza e la cultura di Cardini, anche se forse quei testi e quegli autori da lui citati non li leggemmo proprio tutti (ma non metto in dubbio che li abbia letti lui). Il fatto è che la nostra preparazione culturale era abbastanza semplice, parlo soprattutto dei più giovani, perché le basi culturali di un Attilio Mordini, di un Mario Schettini, di un Marco Barsacchi, oltre ovviamente a Franco Cardini, erano indubbiamente molto solide, grazie anche al vantaggio anagrafico di cui godevano.
Noi “più giovani” (che strano usare ora, da sessantenne, questa definizione) avevamo letto tutto sommato poco. Il solito Evola, un poco di Guénon, ancora meno Gentile (troppo difficile da leggere) e pochissimo Nietzsche (nome troppo difficile da scrivere), ma molto Drieu La Rochelle e Brasillach. O almeno, quanto di loro si trovava in traduzione. Sui nostri scaffali abbiamo ancora quei libri. Quasi reperti archeologici. Ricordi sopravvissuti a traslochi, a prestiti azzardati ad amici smemorati, alla paura di perquisizioni, quando un testo di quel genere bastava per farti passare qualche ora in questura dalla “politica”. Ecco la copertina rossa di Lettera a un soldato della classe 40 di Robert Brasillach, delle edizioni “Caravelle” del 1964, che conteneva anche (ma questo ci interessava meno) la tragedia Berenice. E soprattutto ecco quel Mito dell’Europa di Drieu La Rochelle, curato da Mario Prisco, Guido Giannettini e Adriano Romualdi del “Solstizio”, uscito un anno dopo.
Non credete, amici lettori, a quanto scrive Cardini. Leggevamo poco, ma non perché fossimo svogliati, ma perché quei testi “nostri” si trovavano con grande difficoltà. Scoprire su una bancarella un libro dell’editore Borla, o una vecchia edizione di Evola era come fare una scoperta eccitante, che mostravamo orgogliosi ai nostri amici. Le biblioteche di cui disponevamo presso le nostre sedi erano povere. Quasi commoventi nella loro limitatezza.
E non credete a Franco Cardini quando vi dice che leggevamo i testi “loro”. Non ci sognavamo neppure. Né Marx, né Engels, e neppure Gramsci, a parte quei nostri compagni che studiavano lettere o filosofia. Noi liceali non avevamo tempo, né voglia per gli avversari. Confesso quindi senza vergogna la mia ignoranza giovanile. Ma spero di incontrare la comprensione del lettore. Erano altri tempi. Oggi mio figlio mi cita gli autori più disparati e a me totalmente ignoti. Li ha adocchiati (dubito che legga veramente) in internet. Basta entrare nei siti delle librerie on line per trovare praticamente qualsiasi volume.
E del resto lo sdoganamento politico della destra, innegabile merito di An, ha permesso la pubblicazione di tanti testi che negli anni Sessanta nessun editore si sarebbe sognato di mandare in libreria. Le riviste si sono moltiplicate e diffuse. Conservo come relitti di un naufragio intellettuale, alcuni numeri delle “nostre” riviste. La fiorentina Martinella su cui Cardini fece le sue prime prove stilistiche (quanto gliele abbiamo rimproverate!) e la più seria e corposa Azione, forse la migliore della mia generazione. Sfoglio le riviste della destra di oggi. Da Charta minuta a IdeAzione (vecchia gestione), da Area a EuropaItalia, da Avallon a Percorsi, da Trasgressioni, a Diorama letterario (ma sono solo alcuni esempi). Resto sommerso da tanta cultura, da tanti dotti riferimenti, da tanta dottrina, da tante citazioni. E mi vergogno della semplicità dei nostri articoli, con poche citazioni perché di poche letture. Ripenso quasi con orrore a quelli che scrivevo per la Barricata dell’amico Nando Ventra, così sconclusionati che mi costarono perfino una denuncia.
Eppure, con questo modesto apparato di letture (no, non credete a Franco Cardini, rara avis della destra fiorentina, che tanto leggeva) avevamo il coraggio di andare ai dibattiti di Nuova Resistenza, dove incontravamo giovani intellettuali fervidamente antifascisti del calibro di Valdo Spini, Riccardo Francovich, Barbara Garvin, Fiamma Nirenstein che, loro sì, avevano letto Marx, Gramsci e Luporini. Eppure non riuscivano proprio a convincerci. Perché non era la ragione a guidarci, ma il suo contrario. E, del resto, le stesse traiettorie politico-culturali ed esistenziali di alcuni di loro, avrebbero dimostrato col tempo che facevamo bene a seguire il contrario della ragione. Qualunque esso sia. E questo era il segreto della nostra destra. Una fede, una passione, che non sapevamo spiegare neppure a noi stessi. Una fede che si trasformava con il passare delle esperienze politiche, ma che è restata ancora intatta, pur nella sua disincantata scoloritura del nostro autunno ideologico. Nel retro di copertina del Mito dell’Europa di Drieu c’era una poesia, che così cominciava: «Noi siamo uomini d’oggi. / Noi siamo soli. / Non abbiamo più dèi. / Non abbiamo più idee». Credo che non ci sia migliore epitaffio per chi, come noi, viene da quei lontani anni Sessanta. Ma la poesia continuava: «Tutta la limatura d’Europa / Vi si aggregherà per amore o per forza». Noi in quell’Europa “immensa e rossa” di Drieu ci crediamo ancora. Noi che avevamo e abbiamo la presunzione di essere quella limatura d’Europa.
Tra una settimana sarò a Firenze. Cena in casa di Francesco Ruocco. Ancora tutti lì. Franco Cardini, Marco Barsacchi, Amerino Griffini, Franco Petrone, Luca Bressan, Alfio Krancic, Massimo Marletta. Incapaci di festeggiare vittorie elettorali o sconfitte di avversari. Ma ancora tutti lì. Chissà perché.
Luigi G. de Anna (3.8.1946), giornalista e scrittore, si è laureato in Lettere nel 1973 (Università di Firenze). Nel 1988 ha presentato la sua tesi di dottorato: "Conoscenza e immagine della Finlandia e del Settentrione nella cultura classico-medievale". Dal 1997 è professore di Lingua e cultura italiane presso l'Università di Turku, in Finlandia. Gran parte del suo lavoro di ricerca è incentrato sulle relazioni culturali tra Italia e Finlandia. A Turku, De Anna è stato fra i fondatori della Società di Lingua e cultura italiane che pubblica la rivista 'Settentrione'.
1 commento:
Sfoglio le riviste della destra di oggi. Da Charta minuta a IdeAzione (vecchia gestione), da Area a EuropaItalia, da Avallon a Percorsi, da Trasgressioni, a Diorama letterario (ma sono solo alcuni esempi).
Diorama e Trasgressioni con le riviste di destra?
Credo che Marco Tarchi avrebbe da ridire...
Ah, e io con lui :-)
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