domenica 6 aprile 2008

Le due facce dell'America sotto la lente della letteratura (di Simone Migliorato)

Articolo di Simone Migliorato

Tra le tante parole che si possono utilizzare per descrivere il continente americano, una adatta, secondo me, sarebbe il Viaggio. Si potrebbe dire che è una cosa scontata, ma in fin dei conti è solo attraverso un Viaggio che l’America fu scoperta, e solo attraverso altri numerosi Viaggi fu popolata (purtroppo o per fortuna dipende dalle proprie teorie personali) dai popoli europei, che poi ne hanno cambiato per sempre il volto. Ed è proprio parlando di America, che le idee delle persone si dividono in due parti, proprio come abbiamo detto: c’è l’America dei “per fortuna” e l’America dei “purtroppo”, e questo accade anche in letteratura, parlando proprio del Viaggio.
Perché è nella letteratura di Viaggio americana che si dividono le due anime dell’America: da una parte quella puritana, neo-conservatrice e propagandista, e quella alla ricerca della libertà, dell’ignoto e dell’avventura. Sembra stupido, ma è qui che si gioca lo scontro di questo continente, perché la letteratura americana (sarebbe meglio dire quella angloamericana, e quindi sarebbe molto più preciso citare solo gli U.S.A.) nasce proprio dal racconto dei Viaggi.
I primi libri che vennero dalle esperienze nel nuovo continente, furono appunto i resoconti dei Viaggi dei primi coloni e conquistatori delle nuove terre. C’è il diario di Cristoforo Colombo, e altri diari di Eden, Pourcass, Hakluyt, Werriot, e tutti questi parlano di un continente vergine, vissuto da nativi che lasciano le loro armi per delle perle, con un clima agevole e confortevole, e centinaia di specie di animali incapaci di far del male agli uomini. In realtà tutti questi diari di Viaggio erano totalmente falsi: i nuovi coloni, che morirono uccisi dall’ambiente e dagli indiani, per incoraggiare altri europei ad affrontare il Viaggio si inventavano veri e propri testi di propaganda. E quando fu invece il tempo delle colonie dei puritani, a rendere ancora più falsi questi Viaggi si mise nei testi la convinzione che fosse Dio ad aver inviato questo popolo prescelto nella “nuova Inghilterra”. Ed allora il “nuovo” divenne la caccia alla streghe di Salem (come non ricordarsi della “Lettera scarlatta”?), divenne la rappresentazioni dei nativi come un popolo pervaso dal demonio (e difatti sarà il demonio Pocahontas a riconoscere il divino in un inglese ) divenne la messa al bando di tutto quello che era “nuovo” per davvero, e si creò la prima anima dell’America: quella che ha inteso il Viaggio come conquista, come superiorità, come esportazione di qualcosa. Come profitto insomma, al di là della tritissima retorica anti-americana.
Un po’ più in là invece nasce un’altra America umana e letteraria. Quella che nasce dopo la rivoluzione americana, che nasce appunto in una nazione che ha già messo in moto il suo processo di conquista planetaria, dimenticando subito tutte le belle chiacchiere della dichiarazione di indipendenza. Si comincia con Emerson, che poi influenza il misantropo Thoreau che toccherà il massimo della sua produzione e della sua filosofia di vita con Walden che è la storia di due anni passati da solo nel bosco, sulle rive di un lago, vivendo solo del suo sforzo fisico e spirituale. Thoreau che poi divenne famoso per il suo saggio sulla disobbedienza civile, è uno dei primi esempi dell’altra faccia dell’America: quella che si sforza di non produrre, che ha un diverso atteggiamento nei confronti della tecnologia. E parlando di tecnologia e di viaggio, non si può non parlare de “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” che in 400 pagine di libertà, di viaggio in moto, di spettri, di frasi incredibili (“Ci preoccupiamo più di come passiamo il tempo che non di quanto ne impieghiamo per arrivare: l’approccio cambia completamente”) ci dice anche una cosa: il Divino e la libertà si trovano anche dentro una motocicletta! Si, proprio lì, nel cuore della tecnologia e del processo di sviluppo. E quindi si passa direttamente alla “Beat Generation” ed ai suoi autori, influenzati da Pound e Withman. E se si parla di “beat” non si può non parlare del viaggiatore solitario Kerouac, ed il suo “On the road”, e camminando per le librerie oggi si può benissimo vedere che “Nelle terre selvaggie” del post-Sean Penn è arrivato alle sesta edizione. Questa è l’altra faccia dell’America: desiderio di ricerca e solitudine, di natura e sforzo fisico, ma tutto questo senza la estenuante critica anti-modernista: il viaggio verso la libertà, e dell’alba dentro di sé (come scriveva Thoreau) è un viaggio tutto nostro, che non ha bisogno di tante frottole per essere raccontato.
Queste sono le due parti dell’America: indipendenza e predominio, foglie d’erba e hamburger. Completamente anti-etiche, ma anche perfettamente unite fra di loro. E a piedi, in moto (Ernesto Guevara de la Serna?), in macchina o in treno, tutti abbiamo la voglia di Viaggiare in questo continente.
Simone Migliorato, classe 1986. Aspirante studente universitario, portiere di calcio e amante della letteratura e della scrittura. Vive a Roma, cercando di muoversi tra i tanti sforzi possibili.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Articolo notevole. Complimenti a Simone non tanto per averci dato nuove interpretazioni ma per essere riuscito a divulgare con competenza le due anime dell'America.
Se la letteratura americana è così notevole, capace di creare ancora dei miti, è proprio perché nasce da un'antropologia in divenire, tesa da contraddizioni, paure e speranze.
Da noi Dante aveva già raccontato l'universo dell'uomo europeo quasi tre secoli prima, lì dal 1700 cominciarono a inseguire il "grande romanzo americano".
Manca un accenno dovuto a Melville, che ha messo un intero universo nel viaggio, coerente tra l'altro con la matrice biblica della cultura americana.

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Sì, veramente un bell'articolo.
A questo punto aspettiamo altri contributi! :))

Anonimo ha detto...

Grazie a Roberto per avermi pubblicato l'articolo, e di nuovo grazie a Roberto ed anche a Claudio per i complimenti :)

Quasi arrosisco :)

In effetti non ho citato Melville per un motivo, come non ho citato Hawthorne: diciamo che entrambi si trovano nel mezzo, tra ottimismo ( quello di Thoreau e di Emerson x esempio) e il pessimismo un pò puritano (ad esempio nella "Lettera scarlatta" non si capisce bene cosa pensa l'autore). Mentalmente avendo pensato agli estremi, ho esluso gli intermedi :)

Anonimo ha detto...

Ad Hawtorne e Melville aggiungerei anche Poe e Lovecraft

Giovanni