Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di sabato 5 aprile 2008
Dal Secolo d'Italia di sabato 5 aprile 2008
«Il buonismo ha rotto le scatole». Goffredo Bettini, coordinatore del Partito democratico e vero braccio destro di Veltroni, è andato giù duro all’ultima riunione informale tra i quadri del Pd per mettere a punto l’ultima fase di campagna elettorale. È arrivato il momento di inasprire i toni, di tornare a una linea dura nel confronto politico, di rilanciare lo schema dell’aut-aut. E, in effetti, c’è già nei toni di questi giorni un ritorno a un qualche antiberlusconismo urlato, a un non credibile antifascismo senza contesto storico e fuori tempo massimo e, pure, a qualche chiassata di piazza come le contestazioni tardo-femministe contro Giuliano Ferrara.
«Il buonismo ha rotto le scatole», insomma. E il contrordine democratico dovrebbe esprimersi con più efficacia nei prossimi giorni. Strano che proprio ieri, un lettore – evidentemente, a quello che pare, di sinistra – scriveva a Michele Serra sul Venerdì di Repubblica per denunciare la strategia in atto per liquidare il buonismo in politica. «Qualcuno – si lamentava il lettore – si definisce buonista? Qualcuno rivendica l’appartenenza a tale categoria? La risposta è no. Non è strano che a una parola, buono, sia accompagnato un suffisso che la rende impresentabile, non condivisibile?». Insomma, non si tratterebbe solo del cambio di rotta auspicato da Bettini, la questione in realtà è più complessa e riguarda la diffusione di un atteggiamento diffuso, non solo nelle dinamiche politiche, improntato assai più al cinismo che al buonismo. Lo spiega bene Serra, sottolineando come il termine “buonismo” viene ormai meccanicamente utilizzato, «per moda o, peggio, per modestia intellettuale, da legioni di giornalisti convinti di stigmatizzare l’ipocrisia, ma incapaci di cogliere, nel grande mazzo (specie politico) delle declamazioni virtuose, anche gli sforzi degli onesti e dei generosi». Il sospetto legittimo, a questo punto, per dirla ancora con Serra, è che – al di là delle retoriche del politiche e dei luoghi comuni giornalistici – un cinismo gretto e facilone avrebbe «soppiantato i famosi “buoni sentimenti” che i nostri vecchi rimpiangono, contraddetti in blocco da una sbrigativa e bassa furbizia». Per cui, il “basta” di Bettini non sarebbe affatto un’archiviazione di una strategia di “buona politica” ispirata ai “buoni sentimenti”, ma semplicemente un altolà al facile moralismo della vecchia demagogia di sinistra.
Alla luce di tutto questo viene davvero spontaneo rilanciare: perché non riappropriarsi “da destra” di una seria e maggioritaria politica fondata sul primato e sul bisogno dei vecchi buoni sentimenti? «Ciò che manca – scriveva Walter Veltroni nel 1981, avviando quella che poi verrà definita politica del buonismo – è il Paese reale, la gente in carne ed ossa. Procedendo per grandi sintesi, per nuvole di grandi idee, di analisi e di saggi si è persa la dimensione minuta, ma essenziale, della vita degli uomini, delle loro storie, dei loro problemi…». La suggestione è ancora attuale ed è una delle sfide con cui da destra occorre fare i conti. E oggi – che non c’è più l’ideologia a separare e contrapporre i due grandi campi contendenti – è proprio su questo terreno che va portata la partita. Lo descrive bene anche Giuliano Ferrara, per il quale, nella sua ultina incarnazione, la carta che il Pdl sa giocare e che ha deciso di giocare «è quella del gran finale, del lieto fine, del compimento relativamente misurato e lieve di una parabola pesante e a suo modo smisurata». È forse l’ora del buonismo di destra.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
«Il buonismo ha rotto le scatole», insomma. E il contrordine democratico dovrebbe esprimersi con più efficacia nei prossimi giorni. Strano che proprio ieri, un lettore – evidentemente, a quello che pare, di sinistra – scriveva a Michele Serra sul Venerdì di Repubblica per denunciare la strategia in atto per liquidare il buonismo in politica. «Qualcuno – si lamentava il lettore – si definisce buonista? Qualcuno rivendica l’appartenenza a tale categoria? La risposta è no. Non è strano che a una parola, buono, sia accompagnato un suffisso che la rende impresentabile, non condivisibile?». Insomma, non si tratterebbe solo del cambio di rotta auspicato da Bettini, la questione in realtà è più complessa e riguarda la diffusione di un atteggiamento diffuso, non solo nelle dinamiche politiche, improntato assai più al cinismo che al buonismo. Lo spiega bene Serra, sottolineando come il termine “buonismo” viene ormai meccanicamente utilizzato, «per moda o, peggio, per modestia intellettuale, da legioni di giornalisti convinti di stigmatizzare l’ipocrisia, ma incapaci di cogliere, nel grande mazzo (specie politico) delle declamazioni virtuose, anche gli sforzi degli onesti e dei generosi». Il sospetto legittimo, a questo punto, per dirla ancora con Serra, è che – al di là delle retoriche del politiche e dei luoghi comuni giornalistici – un cinismo gretto e facilone avrebbe «soppiantato i famosi “buoni sentimenti” che i nostri vecchi rimpiangono, contraddetti in blocco da una sbrigativa e bassa furbizia». Per cui, il “basta” di Bettini non sarebbe affatto un’archiviazione di una strategia di “buona politica” ispirata ai “buoni sentimenti”, ma semplicemente un altolà al facile moralismo della vecchia demagogia di sinistra.
Alla luce di tutto questo viene davvero spontaneo rilanciare: perché non riappropriarsi “da destra” di una seria e maggioritaria politica fondata sul primato e sul bisogno dei vecchi buoni sentimenti? «Ciò che manca – scriveva Walter Veltroni nel 1981, avviando quella che poi verrà definita politica del buonismo – è il Paese reale, la gente in carne ed ossa. Procedendo per grandi sintesi, per nuvole di grandi idee, di analisi e di saggi si è persa la dimensione minuta, ma essenziale, della vita degli uomini, delle loro storie, dei loro problemi…». La suggestione è ancora attuale ed è una delle sfide con cui da destra occorre fare i conti. E oggi – che non c’è più l’ideologia a separare e contrapporre i due grandi campi contendenti – è proprio su questo terreno che va portata la partita. Lo descrive bene anche Giuliano Ferrara, per il quale, nella sua ultina incarnazione, la carta che il Pdl sa giocare e che ha deciso di giocare «è quella del gran finale, del lieto fine, del compimento relativamente misurato e lieve di una parabola pesante e a suo modo smisurata». È forse l’ora del buonismo di destra.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
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