Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di sabato 17 maggio 2008
«L’Italia fascista ha rotto in tempo l’alleanza con Hitler e anzi ne ha contrastato le mire, guadagnandosi nel 1945 un posto al tavolo dei vincitori». L’Italia vincitrice del II conflitto mondiale, ribattezzato dagli italiani come la Nostra guerra, Mussolini trionfatore assoluto, casa Savoia eliminata dalla nuova scena politica del Paese che ora si chiama Repubblica d’Italia, e una nuova costituzione «laica e littoria» che non prevede alcuna ingerenza della Chiesa, privata della sua consuetudinale funzione sociale.
Con queste premesse arriva in libreria L’inattesa piega degli eventi, ultimo esilarante romanzo di Enrico Brizzi, edito da Baldini Castoldi Dalai, (pp. 518, euro 19,50). In un affascinante viaggio a ritroso in anni Sessanta immaginari l’autore ci proietta in una fanta-storia fatta di «se».
«E se Mussolini avesse davvero vinto la guerra?» recita il primo vero interrogativo che si pone il lettore davanti al corposo volume che vede rappresentati in copertina, realizzati da Valerio Taumann, degli atipici giocatori di calcio con delle strane divise che non corrispondono a quelle delle squadre italiane. Se Mussolini avesse vinto la guerra, secondo Brizzi, avrebbe stretto alleanze con «Francisco Franco, il portoghese Salazar e David Ben Gurion, Costantino Karamanlis, il maresciallo Tito e l’egiziano Nasser, re Hassan del Marocco, l’uomo forte di Beirut Camille Chamoun e il leader cipriota Makarios, il presidente tunisino Burghibà e quello algerino Abbas, perennemente grati all’Italia per avere sostenuto la lotta dei loro popoli fino alla piena indipendenza da Parigi». Ma soprattutto il Duce, «l’uomo che aveva restituito all’Italia prestigio e prosperità» stando al racconto ucronico del giovane scrittore bolognese, sarebbe morto nel proprio letto, a Roma, all’alba del 5 maggio del 1960. E il suo funerale sarebbe stato il primo, per un capo dello Stato, con funerali civili, «in perfetta conformità allo spirito della nuova costituzione laica, repubblicana e littoria del 1948. L’estremo schiaffo dell’ex maestro di Predappio al detestato pontefice francese Pio XIII…».
Il segreto di Enrico Brizzi, classe ’74, è che non smette mai di stupire. Già famoso quando non ancora ventenne esordì con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, tradotto in ventiquattro paesi e divenuto film nel 1996, è sempre stato un vulcano di idee, capace di rinnovarsi senza svendersi, cosa che non tutti sono capaci di fare. Tant’è che dopo il primo romanzo, caso clamoroso di successo editoriale per un esordiente, che aveva commosso i lettori di fronte alla storia d’amore tra Alex e Adelaide detta Aidi, non si è concesso in sequel o altrettante storie d’amore in stile Moccia. Anzi, ha corso il rischio di non piacere ai vecchi lettori, quelli affezionati al primo travolgente romanzo, cambiando totalmente soggetto, e conquistando -solo allora- il cuore di chi scrive: con Bastogne, secondo libro edito nel ‘98, che «sta a Jack Frusciante è uscito dal gruppo come Fegato spappolato ad Albachiara», com’egli stesso ebbe a dire intervistato per Sette, magazine del Corriere della Sera, intriso di atmosfere tenebrose com’era e contestualizzato in una Nizza primi anni ’80 vissuta da quattro drughi che sembrano uscire fuori direttamente dalla testa di Burgess o Cèline. Si, proprio Cèline, che era la lettura preferita di Ermanno, il protagonista di Bastogne.
Così Brizzi si è riservato il gusto di continuare a stupire: sposato dal 2003, padre di due figlie, tifoso del Bologna, i suoi miti sono Bonaventura Durruti, Andrea Pazienza, Ugo Tognazzi, e Pier Vittorio Tondelli, di cui qualcuno lo ritiene il vero erede. Ama i romanzi americani e i fumetti di Hugo Pratt. E tra le sue principali attitudini, adesso c’è anche quella di camminare: nel 2006 percorre la via Francigena, l’antica via che congiunge Roma a Canterbury, che lo ha impegnato per tre mesi e ha ispirato il romanzo Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro, pubblicato lo scorso anno. In questi giorni, precisamente dal 24 aprile, sta percorrendo la Roma-Gerusalemme, e racconta quotidianamente le sue avventure sul blog www.romajerusalem.splinder.com/.
Se gli chiedono perché, risponde che «ognuno si mette in cammino per un motivo diverso, ma il fatto di ripercorrere le orme di viandanti e pellegrini ci lega tutti: camminiamo per interrogare le nostre radici e capire meglio il posto complesso dove abitiamo. Se la Via Francigena fra Canterbury e Roma mi ha fatto conoscere l’Europa a forza di gambe, questa volta l’attenzione è sul bacino del Mediterraneo».
Sembra il riecheggiare di qualcosa di molto simile a Sulla strada della Compagnia dell’anello, o ai Nomadi di Franco Battiato. E peraltro Brizzi incoraggia chi ne volesse seguire le orme sostenendo che la sua, e quella dei suoi amici, «non è un’impresa alla portata di pochi: si tratta di coprire ogni giorno fra i 25 e i 30 chilometri, niente di incredibile».
E così, il viandante Brizzi, non finendo mai di stupire è arrivato a dedicare un romanzo all’Africa coloniale: «Forse sono le letture di Corto Maltese, e in generale di Hugo Pratt, che ci hanno segnati in gioventù. Forse l’Africa è un tema per adulti che da ragazzi sfogliavano gli atlanti e giocavano con i soldatini». Un’Africa avventurosa, vista attraverso il gioco del calcio, dove si narra di Lorenzo Pellegrini, trentenne firma emergente dello Stadio d’Italia, che passa le sue giornate a seguire gli allenamenti del Bologna, trascurandolo a volte per intervistare i più grandi campioni stranieri di quel periodo, da Liedholm a Vinicio, da Firmani a Cucchiaroni, passando per Angelillo, di ritorno da «una trasferta della grande Ambrosiana a Fiume». Quando si stava per compiere uno dei suoi sogni, la partecipazione come cronista alle Olimpiadi di Roma per le quali era stato accreditato, commette un errore che gli costerà caro: viene scoperta la sua relazione amorosa con Margherita Tosetti, figlia di Auro Tosetti, editore dello Stadio, promessa sposa a Filberto Maria di Sommariva, militare di carriera. Il misfatto stronca la carriera a Pellegrini che per punizione dovrà fronteggiare ad un incarico inatteso: dovrà seguire le ultime giornate della Serie Africa, il campionato delle Repubbliche associate di Eritrea, Etiopia e Somalia, colonie formalmente autonome dalla Repubblica d’Italia, il cui campionato di calcio è sotto l’egida della Federcalcio romana. E in Africa ne succedono di tutti i colori, tra calciatori che inscenano un ’68 ante litteram ribellandosi all’autoritarismo e al razzismo, come l’immaginifico Cumani, attaccante dell’Abissinia Dire Daua.
Quello che passa è il messaggio di Brizzi: «In questo libro rimuovo certi tabù, come quello che ti impediva di parlare di quel periodo se non alla luce del trionfo resistenziale. Il grande rimosso è il consenso al fascismo. E io lo affronto sulla base dell’ipotesi di che cosa sarebbe successo se gli eventi, negli Anni Quaranta, fossero andate in maniera diversa». Finzione narrativa? Certamente. Un modo diverso di fare storia attraverso la letteratura? Probabile. Di certo questo nuovo romanzo ci prospetta una maturità da parte dell’autore non comune a molti suoi colleghi. Una voce, quella di Enrico Brizzi che è disimpegnata quanto leggera. Imprescindibile per interpretare i fatti alla luce di ciò che necessita per superare antichi rancori e categorie desuete e superate. Fondamentale, nella sua leggerezza, per la costruzione di una memoria condivisa.
E così, il viandante Brizzi, non finendo mai di stupire è arrivato a dedicare un romanzo all’Africa coloniale: «Forse sono le letture di Corto Maltese, e in generale di Hugo Pratt, che ci hanno segnati in gioventù. Forse l’Africa è un tema per adulti che da ragazzi sfogliavano gli atlanti e giocavano con i soldatini». Un’Africa avventurosa, vista attraverso il gioco del calcio, dove si narra di Lorenzo Pellegrini, trentenne firma emergente dello Stadio d’Italia, che passa le sue giornate a seguire gli allenamenti del Bologna, trascurandolo a volte per intervistare i più grandi campioni stranieri di quel periodo, da Liedholm a Vinicio, da Firmani a Cucchiaroni, passando per Angelillo, di ritorno da «una trasferta della grande Ambrosiana a Fiume». Quando si stava per compiere uno dei suoi sogni, la partecipazione come cronista alle Olimpiadi di Roma per le quali era stato accreditato, commette un errore che gli costerà caro: viene scoperta la sua relazione amorosa con Margherita Tosetti, figlia di Auro Tosetti, editore dello Stadio, promessa sposa a Filberto Maria di Sommariva, militare di carriera. Il misfatto stronca la carriera a Pellegrini che per punizione dovrà fronteggiare ad un incarico inatteso: dovrà seguire le ultime giornate della Serie Africa, il campionato delle Repubbliche associate di Eritrea, Etiopia e Somalia, colonie formalmente autonome dalla Repubblica d’Italia, il cui campionato di calcio è sotto l’egida della Federcalcio romana. E in Africa ne succedono di tutti i colori, tra calciatori che inscenano un ’68 ante litteram ribellandosi all’autoritarismo e al razzismo, come l’immaginifico Cumani, attaccante dell’Abissinia Dire Daua.
Quello che passa è il messaggio di Brizzi: «In questo libro rimuovo certi tabù, come quello che ti impediva di parlare di quel periodo se non alla luce del trionfo resistenziale. Il grande rimosso è il consenso al fascismo. E io lo affronto sulla base dell’ipotesi di che cosa sarebbe successo se gli eventi, negli Anni Quaranta, fossero andate in maniera diversa». Finzione narrativa? Certamente. Un modo diverso di fare storia attraverso la letteratura? Probabile. Di certo questo nuovo romanzo ci prospetta una maturità da parte dell’autore non comune a molti suoi colleghi. Una voce, quella di Enrico Brizzi che è disimpegnata quanto leggera. Imprescindibile per interpretare i fatti alla luce di ciò che necessita per superare antichi rancori e categorie desuete e superate. Fondamentale, nella sua leggerezza, per la costruzione di una memoria condivisa.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Collaboratore del Secolo d’Italia, si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.
2 commenti:
Dev'essere davvero un bel romanzo, con una ucronia piuttosto intelligente, perché lontana dalle solite ipotesi fantascientifiche o da romanzo di pura azione. C'è umorismo, quindi è un vero romanzo.
L'idea mi piace molto, perché siamo ben al di là dell'ipotesi di Wu Ming e soci. Qui non si ripercorre la storia, la si inventa. Mi sembra diverso, e più divertente.
sicuramente un libro da leggere.
Complimenti a Giovanni per i temi sempre + interessanti che propone.
ciao
Simone
Posta un commento