«L’evasione è una delle principali funzioni delle fiabe. Respingo il tono sprezzante e compassionevole che connota tanto spesso, oggi, il termine. Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di evadere per tornare a casa? Oppure, se non lo può fare, se pensa e parla di argomenti diversi che non siano carcerieri e mura di prigione? I critici confondono l’evasione del prigioniero con la fuga del disertore». Così scrive J. R. R. Tolkien in Albero e foglia, un milione d’anni fa, nell’Era della Ideologia Totalizzante, quella – per intenderci – del confronto muscolare delle Maiuscole. Ben prima che sui grandi schermi di tutto il mondo arrivassero kolossal cinematografici tratti dalle opere del celebre scrittore inglese, seguite dalle avventure di quel maghetto libertario di Harry Potter, e che i grandi editori scoprissero il business della fantasy.
Sia chiaro: non che ne Il regno nascosto (Dario Flaccovio Editore, pp. 359 € 18,50) – il nuovo romanzo di Gabriele Marconi e Errico Passaro, da pochissimi giorni in libreria – manchino i muscoli. Se ci macchiassimo di una tale affermazione, dovremmo vedercela con i nani. Leali finché si vuole, ma permalosi! Pronti a tirare fuori l’ascia e a sfidarci a singolar tenzone per molto meno. Perché protagonista di questo bellissimo romanzo è il popolo dei nani, depositario di quei valori tradizionali che gli uomini – nella IV era avanzata (tolkienianamente parlando) che fa da ambientazione alla storia – hanno quasi del tutto abbandonato, “imprigionati” nelle attività commerciali. Gli elfi avevano lasciato la Terra di Mezzo, gli hobbit si erano ritirati e – parafrasando una celebre massima di Woody Allen – neanche i nani si sentivano tanto bene. Per lungo tempo avevano condiviso il mondo con gli uomini. Poi erano partiti tutti insieme per cercare un luogo adatto a ricostruire il loro regno, nel grande Nord. In pochi, ormai, abitavano nei “quartieri naneschi” delle città degli uomini: nel villaggio di Cuterbor solo Althorf del clan Maûk e i suoi nipoti, Vitur e Tekkur. E per inseguire questo luogo leggendario e riunirsi al loro popolo nascosto, i due nani si mettono in viaggio. Sul loro cammino troveranno amici inaspettati e nemici dichiarati quanto spietati in un avvincente crescendo di colpi di scena.
Sì, perché aprire il libro è come salire su una carrozza che all’improvviso si mette a correre rimbalzandoci da una parte all’altra e non è più possibile – né lo si vuole – scendere. Ci si ritrova in un mondo sconosciuto eppure familiare, soprattutto per gli appassionati delle saghe del maestro Tolkien, e quando infine si arriva a destinazione rimane quella destabilizzante e piacevole sensazione di smarrimento che la migliore narrativa lascia in dote ai lettori, ripagandoli ampiamente del tempo sottratto ad altre più utilitaristiche attività. Il piacere meraviglioso della lettura libera da pedagogismi e tesi politiche preconfezionate.
Quasi sobbalza sulla sedia Gabriele Marconi, quando gli rivolgiamo le domande che uno scrittore di fantasy mai vorrebbe sentirsi fare: c’è una metafora dietro alla storia? I nani chi rappresentano? «La metafora – protesta – è nemica della fiaba vera». Ma come, c’intestardiamo, a Cannes trionfano film italiani su Andreotti e sulla camorra in un formidabile tandem di attualità estrema, e voi vi interessate al destino di un manipolo di nani? La domanda appare ancora più provocatoria se si pensa che Gabriele Marconi, oltre che scrittore affermato – autore tra l’altro di Io non scordo (Settimo Sigillo, 1999, riedito da Fazi nel 2004) – è anche direttore responsabile di Area, una rivista politica tutt’altro che “neutrale” nel dibattito politico-culturale.
«Tra le righe del romanzo – confessa – ci sono le mie esperienze della politica fatta per strada, le amicizie nate in contesti politicamente più difficili di quelli odierni, ma è bene che i narratori si facciano da parte per lasciare alla storia la possibilità di evolversi in piena libertà».
«Non scriveremmo di nani e draghi, sarebbe riduttivo – aggiunge Errico Passaro, giornalista e scrittore con all’attivo cinque romanzi e un centinaio di racconti, tra i massimi esperti in materia di fantastico – se non pensassimo di proporre modelli di comportamento esemplari attraverso i comportamenti concludenti dei protagonisti che, affrontando le situazioni di pericolo, mettono in scena precisi canoni morali ed etici. Non è, il nostro, un manifesto funzionale a dettare tavole dei valori né tanto meno una predica – come usa fare certa narrativa contemporanea – ma di sicuro indichiamo una precisa scelta di campo: l’egoismo cede il passo all’altruismo e l’individualismo allo spirito comunitario. Nella battaglia non puoi essere solo, devi legarti a una compagnia e dare il meglio di te, senza cedimenti».
E che l’unione faccia la forza lo dimostra anche l’ottimo “risultato” di questa opera a quattro mani, resa senza ricerche letterarie pretenziose e con uno stile semplice e diretto che la rende accessibile anche a un pubblico di giovani. Scritta – tra l’altro – da un Marconi giovanissimo: «La storia era custodita, sia pure in fase embrionale – racconta – in un’agenda di oltre vent’anni fa. È la prima cosa che ho buttato giù, solo molto tempo dopo ho iniziato a raccontarla come favola a mia figlia». Più recentemente è nata l’idea di riprenderla e svilupparla grazie al contributo di Passaro, uno scrittore dalle caratteristiche molto diverse ma con un minimo comune denominatore molto forte, l’amore per Tolkien, al quale il romanzo è un omaggio dichiarato. Una passione che viene da lontano. «Negli anni Settanta i romanzi di Tolkien – ricorda Marconi – sconvolsero la dittatura del realismo imposta dal conformismo di allora, quando solo a parlare di fantasia si veniva banditi come fascisti. E a Tolkien venne riservato lo stesso trattamento, malgrado le arrampicate sugli specchi di quanti oggi smentiscono i propri scritti di quel periodo. Sia Il Signore degli anelli che Lo hobbit furono come una ventata d'aria pura e libera dopo i fumi che appestavano la nostra atmosfera».
«Non si tratta di un romanzo con pretenziose connotazioni etiche – sottolinea Passaro – ed è diverso da quanto scriviamo singolarmente. Quanto realizzato è l’alchimia tra la mia anima roboante e retorica e quella giullaresca e cameratesca di Gabriele. Non manca una forte componente eroica ma niente di marziale. È soprattutto un romanzo sul valore dell’amicizia». E l’amicizia tra Marconi e Passaro è nata proprio al premio Tolkien, nella cui edizione del 1988 Marconi arrivò in finale con la sua opera d’esordio, il racconto Il guardiano.
E i personaggi e le vicende dei libri di Tolkien sono evocate soprattutto nelle canzoni contenute ne Il regno Nascosto – tre scritte da Marconi e una, Tramonto, da Francesco Mancinelli – cui spetta, come vuole la tradizione, il ruolo di narrare e tramandare le storie antiche. È proprio dopo aver ascoltato le leggende sul regno dei nani e sulla potenza della loro gente che Vitur e Tekkur decidono di partire, costi quel che costi.
E non è certo un caso se la presentazione del libro – organizzata per questa sera alle ore 18 presso la Biblioteca Angelica in piazza Sant’Agostino a Roma, con la presenza, oltre che degli autori, di Gianfranco de Turris e Gianluca Teodori di Radio Dimensione Suono – sarà arricchita da un breve concerto acustico del gruppo La Contea in cui saranno cantate proprio le canzoni presenti nel libro, grazie alle quali chi avrà la fortuna di parteciparvi potrà immergersi sin da subito in quel respiro multitemporale che rappresenta la caratteristica principale della letteratura “di fantasia”: quando la circolarità del tempo allarga l’orizzonte del lettore verso dimensioni altre rispetto al presente. È questa, in definitiva, la chiave del successo di quella che fino a non molti anni fa veniva liquidata come narrativa di “genere”: la capacità di parlare alle giovani generazioni, di proporre valori altri in una società moderna in cui mancano sempre più punti di riferimento etici e gli unici ruoli disponibili – nel grande mercato culturale – sono quelli di produttore e consumatore (passivo) di beni e servizi. E di libri. Senza l’auspicabile vera terza via, quella del sogno, dell’azione esemplare, dell’evasione liberatoria da un presente nel quale – a differenza del fantasy, dove le “brutture” vengono affrontate a viso aperto – non è chiara la linea di confine tra bene e male e le persone raramente riescono a emergere per quel che sono e valgono.
E allora non rimane – per chi non potrà partecipare all’iniziativa romana di oggi – che leggere il libro e goderne la leggerezza ma anche la densità. Aspettando il seguito che – ci anticipa Passaro – «potrebbe essere... dietro l’angolo».
Sia chiaro: non che ne Il regno nascosto (Dario Flaccovio Editore, pp. 359 € 18,50) – il nuovo romanzo di Gabriele Marconi e Errico Passaro, da pochissimi giorni in libreria – manchino i muscoli. Se ci macchiassimo di una tale affermazione, dovremmo vedercela con i nani. Leali finché si vuole, ma permalosi! Pronti a tirare fuori l’ascia e a sfidarci a singolar tenzone per molto meno. Perché protagonista di questo bellissimo romanzo è il popolo dei nani, depositario di quei valori tradizionali che gli uomini – nella IV era avanzata (tolkienianamente parlando) che fa da ambientazione alla storia – hanno quasi del tutto abbandonato, “imprigionati” nelle attività commerciali. Gli elfi avevano lasciato la Terra di Mezzo, gli hobbit si erano ritirati e – parafrasando una celebre massima di Woody Allen – neanche i nani si sentivano tanto bene. Per lungo tempo avevano condiviso il mondo con gli uomini. Poi erano partiti tutti insieme per cercare un luogo adatto a ricostruire il loro regno, nel grande Nord. In pochi, ormai, abitavano nei “quartieri naneschi” delle città degli uomini: nel villaggio di Cuterbor solo Althorf del clan Maûk e i suoi nipoti, Vitur e Tekkur. E per inseguire questo luogo leggendario e riunirsi al loro popolo nascosto, i due nani si mettono in viaggio. Sul loro cammino troveranno amici inaspettati e nemici dichiarati quanto spietati in un avvincente crescendo di colpi di scena.
Sì, perché aprire il libro è come salire su una carrozza che all’improvviso si mette a correre rimbalzandoci da una parte all’altra e non è più possibile – né lo si vuole – scendere. Ci si ritrova in un mondo sconosciuto eppure familiare, soprattutto per gli appassionati delle saghe del maestro Tolkien, e quando infine si arriva a destinazione rimane quella destabilizzante e piacevole sensazione di smarrimento che la migliore narrativa lascia in dote ai lettori, ripagandoli ampiamente del tempo sottratto ad altre più utilitaristiche attività. Il piacere meraviglioso della lettura libera da pedagogismi e tesi politiche preconfezionate.
Quasi sobbalza sulla sedia Gabriele Marconi, quando gli rivolgiamo le domande che uno scrittore di fantasy mai vorrebbe sentirsi fare: c’è una metafora dietro alla storia? I nani chi rappresentano? «La metafora – protesta – è nemica della fiaba vera». Ma come, c’intestardiamo, a Cannes trionfano film italiani su Andreotti e sulla camorra in un formidabile tandem di attualità estrema, e voi vi interessate al destino di un manipolo di nani? La domanda appare ancora più provocatoria se si pensa che Gabriele Marconi, oltre che scrittore affermato – autore tra l’altro di Io non scordo (Settimo Sigillo, 1999, riedito da Fazi nel 2004) – è anche direttore responsabile di Area, una rivista politica tutt’altro che “neutrale” nel dibattito politico-culturale.
«Tra le righe del romanzo – confessa – ci sono le mie esperienze della politica fatta per strada, le amicizie nate in contesti politicamente più difficili di quelli odierni, ma è bene che i narratori si facciano da parte per lasciare alla storia la possibilità di evolversi in piena libertà».
«Non scriveremmo di nani e draghi, sarebbe riduttivo – aggiunge Errico Passaro, giornalista e scrittore con all’attivo cinque romanzi e un centinaio di racconti, tra i massimi esperti in materia di fantastico – se non pensassimo di proporre modelli di comportamento esemplari attraverso i comportamenti concludenti dei protagonisti che, affrontando le situazioni di pericolo, mettono in scena precisi canoni morali ed etici. Non è, il nostro, un manifesto funzionale a dettare tavole dei valori né tanto meno una predica – come usa fare certa narrativa contemporanea – ma di sicuro indichiamo una precisa scelta di campo: l’egoismo cede il passo all’altruismo e l’individualismo allo spirito comunitario. Nella battaglia non puoi essere solo, devi legarti a una compagnia e dare il meglio di te, senza cedimenti».
E che l’unione faccia la forza lo dimostra anche l’ottimo “risultato” di questa opera a quattro mani, resa senza ricerche letterarie pretenziose e con uno stile semplice e diretto che la rende accessibile anche a un pubblico di giovani. Scritta – tra l’altro – da un Marconi giovanissimo: «La storia era custodita, sia pure in fase embrionale – racconta – in un’agenda di oltre vent’anni fa. È la prima cosa che ho buttato giù, solo molto tempo dopo ho iniziato a raccontarla come favola a mia figlia». Più recentemente è nata l’idea di riprenderla e svilupparla grazie al contributo di Passaro, uno scrittore dalle caratteristiche molto diverse ma con un minimo comune denominatore molto forte, l’amore per Tolkien, al quale il romanzo è un omaggio dichiarato. Una passione che viene da lontano. «Negli anni Settanta i romanzi di Tolkien – ricorda Marconi – sconvolsero la dittatura del realismo imposta dal conformismo di allora, quando solo a parlare di fantasia si veniva banditi come fascisti. E a Tolkien venne riservato lo stesso trattamento, malgrado le arrampicate sugli specchi di quanti oggi smentiscono i propri scritti di quel periodo. Sia Il Signore degli anelli che Lo hobbit furono come una ventata d'aria pura e libera dopo i fumi che appestavano la nostra atmosfera».
«Non si tratta di un romanzo con pretenziose connotazioni etiche – sottolinea Passaro – ed è diverso da quanto scriviamo singolarmente. Quanto realizzato è l’alchimia tra la mia anima roboante e retorica e quella giullaresca e cameratesca di Gabriele. Non manca una forte componente eroica ma niente di marziale. È soprattutto un romanzo sul valore dell’amicizia». E l’amicizia tra Marconi e Passaro è nata proprio al premio Tolkien, nella cui edizione del 1988 Marconi arrivò in finale con la sua opera d’esordio, il racconto Il guardiano.
E i personaggi e le vicende dei libri di Tolkien sono evocate soprattutto nelle canzoni contenute ne Il regno Nascosto – tre scritte da Marconi e una, Tramonto, da Francesco Mancinelli – cui spetta, come vuole la tradizione, il ruolo di narrare e tramandare le storie antiche. È proprio dopo aver ascoltato le leggende sul regno dei nani e sulla potenza della loro gente che Vitur e Tekkur decidono di partire, costi quel che costi.
E non è certo un caso se la presentazione del libro – organizzata per questa sera alle ore 18 presso la Biblioteca Angelica in piazza Sant’Agostino a Roma, con la presenza, oltre che degli autori, di Gianfranco de Turris e Gianluca Teodori di Radio Dimensione Suono – sarà arricchita da un breve concerto acustico del gruppo La Contea in cui saranno cantate proprio le canzoni presenti nel libro, grazie alle quali chi avrà la fortuna di parteciparvi potrà immergersi sin da subito in quel respiro multitemporale che rappresenta la caratteristica principale della letteratura “di fantasia”: quando la circolarità del tempo allarga l’orizzonte del lettore verso dimensioni altre rispetto al presente. È questa, in definitiva, la chiave del successo di quella che fino a non molti anni fa veniva liquidata come narrativa di “genere”: la capacità di parlare alle giovani generazioni, di proporre valori altri in una società moderna in cui mancano sempre più punti di riferimento etici e gli unici ruoli disponibili – nel grande mercato culturale – sono quelli di produttore e consumatore (passivo) di beni e servizi. E di libri. Senza l’auspicabile vera terza via, quella del sogno, dell’azione esemplare, dell’evasione liberatoria da un presente nel quale – a differenza del fantasy, dove le “brutture” vengono affrontate a viso aperto – non è chiara la linea di confine tra bene e male e le persone raramente riescono a emergere per quel che sono e valgono.
E allora non rimane – per chi non potrà partecipare all’iniziativa romana di oggi – che leggere il libro e goderne la leggerezza ma anche la densità. Aspettando il seguito che – ci anticipa Passaro – «potrebbe essere... dietro l’angolo».
2 commenti:
Nasce NUOVA BARLETTA, la nuova testata di informazione mensile di Azione Giovani Barletta consultabile anche sul web
http://agbarletta.altervista.org/php5/nuovabarletta/giugno.pdf
Luigi Curci
www.luigicurci.tk
Lei è l'anarca di Junger caro Roberto. Complimenti per i suoi articoli.
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