Dal Secolo d'Italia di venerdì 20 giugno 2008
A questo punto, è meglio essere subito chiari: se Robin Hood – andando dietro all’ evocazione politico-immaginifica di Giuseppe De Rita – può essere considerato “fascista” è perché l’aggettivo in questione ormai, nel dibattito culturale, non fa che indicare, volenti o nolenti, una via atipica e tutta italiana dello “stare a destra”. Una via, appunto, che percorre sentieri solitamente inesplorati dalle tradizionali destre occidentali. A nessuno, ma proprio a nessuno, sarebbe infatti venuto in mente di paragonare a Robin Hood la signora Margaret Thatcher... O, magari, Reagan e Bush...
Qualcuno forse riesce a immaginare il presidente americano come una figura mitica del ladro che prende ai ricchi per dare ai poveri? No, e in effetti, solo in Italia può succedere che lo stare a destra porti automaticamente con sé un tale carico (tutt’altro che abusivo e anomalo) di buoni sentimenti, di solidarismo, di libertarismo da far chiedere agli studiosi più attenti quale sia la sua vera essenza antropologica e politica. Sarà, forse, perché ha preso spunto dalla “Robin Hood tax” proposta e realizzata dal “socialista” antimercatista Giulio Tremonti, ma l’uscita iconografica di De Rita è riuscita a spiegare meglio di tanti ponderosi volumi l’anima complessa di una destra italiana che, alla fine dei conti, sembra sempre così poco “di destra”. E sempre portatrice di un valore aggiunto, connesso alla nostra “eccezione italiana”. Perché un po’ socialista, perché di matrice cattolica, perché nazionalpopolare, perché libertaria, perché sindacalista, perché innovatrice e anticonservatrice, perché tradizionalista e, anche e senza contraddizione, perché futurista e modernizzatrice.
Il Robin Hood “fascista antitotalitario” descritto da De Rita diventa, allora, una delle possibili icone che possono aiutare a spiegare la magnifica contraddizione italiana di una cultura politica che, per dirla con Pietrangelo Buttafuoco, «vive al limitar della foresta e si carica di un decisionismo che sopperisce alla mancanza di ordine costituito, al vuoto che crea ingiustizia». Sempre dalla parte dei briganti e dei reietti, dei ribelli e di quelli che non ne possono più, dei disperati e dei senza speranza. Il potere, in definitiva, visto come servizio, mai come fine ultimo dell’azione politica.
E qui veniamo a quella che Cristina Baldassini ha chiamato la memoria indulgente sull’esperienza mussoliniana. Quella memoria che, a suo modo, contribuisce a rafforzare lo stesso De Rita quando, ieri sul Corriere, arriva ad affermare: «Ed eccoci al vero parallelo tra fascismo e Robin Hood: il fascismo interpretò bisogni che la società italiana quasi ignorava. Penso all’Opera nazionale maternità e infanzia, all’Ente assistenza degli orfani dei lavoratori...». Una memoria che, nonostante quello che pensano gli storici di cattedra e di professione, ha creato, essa stessa, storia reale, storia del pensiero, storia di speranze mai sopite. Storia profonda. Storia di italiani.
E qui veniamo a quella che Cristina Baldassini ha chiamato la memoria indulgente sull’esperienza mussoliniana. Quella memoria che, a suo modo, contribuisce a rafforzare lo stesso De Rita quando, ieri sul Corriere, arriva ad affermare: «Ed eccoci al vero parallelo tra fascismo e Robin Hood: il fascismo interpretò bisogni che la società italiana quasi ignorava. Penso all’Opera nazionale maternità e infanzia, all’Ente assistenza degli orfani dei lavoratori...». Una memoria che, nonostante quello che pensano gli storici di cattedra e di professione, ha creato, essa stessa, storia reale, storia del pensiero, storia di speranze mai sopite. Storia profonda. Storia di italiani.
A ben vedere, il fascismo disneyano e salgariano evocato da De Rita, in effetti, non è certo figlio di Mussolini, del Ventennio e della Grande Guerra: è figlio piuttosto di un eterno carattere italiano – succede anche sui campi di calcio – sempre alla ricerca di eroi romantici che riescano a liberarci dai difetti e dai guai nazionali. Da Cola di Rienzo a Masaniello, passando per Nicolino Bombacci e Ghino di Tacco… È la perenne ricerca di un possibile riscatto. Robin Hood come Sandokan, come Zorro, com Dick Fulmine, come Tex Willer e come l’Uomo ragno. L’eroe che è tutto per il popolo e che il popolo riconosce e applaude. Come Mussolini, quindi, ma un Mussolini inteso solo come l’ennesimo supereroe creato dal nostro immaginario collettivo: un eroe buono che ruba ai ricchi per dare ai poveri, che aiuta le mamme e i bimbi bisognosi, costruisce case, scuole e città...
La storia forse c’entra poco o niente, c’entra la cifra di quell’astrazione labile ma concreta che chiamiamo italianità: un individualismo corale, popolare e popolano, solidarista e anti ideologico, quello che scorre nelle vene degli italiani, deamicisiano, carducciano, poundiano, garbatamente ribelle, che non vuole lasciare nessuno indietro, che non se la sente di stare dalla parte dei più forti e dei più ricchi. È anche da qui che nasce l’auto-rappresentazione benevola degli italiani come “brava gente”: che se viola le leggi lo fa sempre a fin di bene, “in nome del popolo”. Come Robin Hood, appunto.
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
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