domenica 20 luglio 2008

E se fossero gli ultras a salvare il calcio? (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 20 luglio 2008
«Chissà com’è adesso la domenica con lei/ Dimmelo tu che puoi capire i brividi che da/ Dille che io, che io non l’ho tradita/ che io non l’ho dimenticata mai/ ed è per questo che ritornerei…». A leggerli così, tutto d’un fiato, questi versi sembrerebbero proprio una dichiarazione d’amore. Lo sono in qualche modo: sono le parole che un tifoso della Sampdoria ha pensato per la sua squadra del cuore dovendo vivere distante da “lei”, un pensiero che lo ha travolto al punto da dedicarle una canzone. Si chiama Lettera da Amsterdam e adesso viene cantata a squarciagola proprio nella curva blucerchiata, la Gradinata Sud dello stadio Marassi di Genova. Tuttavia lo spirito nostalgico e il vero e proprio senso di appartenenza che traspare dalla canzone dell’anonimo tifoso doriano hanno fatto breccia nei cuori di ultras di tutte le squadre: si leggono, infatti, commenti entusiastici su diverse forum community su internet, autentici luoghi di ritrovo virtuali per tutti i tifosi e gli appassionati di calcio. Perché le parole di Lettera da Amsterdam sono considerate un atto d’amore nei confronti della squadra di calcio che si segue, messaggio trasversale a colori e divergenze campanilistiche d’ogni sorta. Ma anche perché c’è il punto di vista del tifoso, di chi soffre per la squadra e per cui «non è presto alzarsi la domenica mattina».


C’è il punto di vista di chi si sentiva “arruolato” ad una legione di fratelli e che adesso deve stare lontano e non può che promettere che ritornerà ad un suo fratello di curva, l’unico che «può capire i brividi che da». Una prospettiva apprezzabile da tutti gli ultras, specialmente da quelli che fanno i conti con la distanza, per motivi di lavoro o di studio o perché le faccende della vita prendono il sopravvento su tutto.
Ma non solo. La canzone, infatti, pare ideale per descrivere le sensazioni dei “diffidati”. Si, proprio loro: quelli che sono sempre nell’occhio del ciclone. E proprio al mondo ultras è dedicato il romanzo di Elisa Davoglio, dall’emblematico titolo Onore ai diffidati, edito da Mondadori (pp.261, euro 16). L’autrice, giovane poetessa livornese, classe 1976, vive a Roma dove cura eventi artistici e culturali.
Attraverso gli occhi di Atala, la protagonista del romanzo, la scrittrice si intercala nel tortuoso mondo del tifo ultras, raccontando vicende che pur essendo frutto di fantasia ripercorrono l’eco di avvenimenti reali che hanno riconfigurato alcune situazioni nelle curve italiane, come quella del Milan, menzionata nel libro. Atala procede, nell’incedere dei capitoli del romanzo, in una ricerca frenetica di Luca, il suo ex ragazzo, appartenente ai Warriors, gruppo della Curva Sud milanista, arrestato in maniera inspiegabile, non si sa bene se per motivi politici o altro. Ma Atala, nome ispirato dall’omonima eroina di Chateaubriand, non si arrende e sente che Luca è innocente e che, forse, qualcuno ha voluto incastrarlo. Non sa bene perché, ma l’istinto la porta a mettersi sulle tracce di quel mondo (ultras) che Luca le aveva tenuto nascosto. Si imbatte così in ambienti di destra e di sinistra: il fenomeno ultras, come è noto, è trasversale agli schieramenti politici. E soprattutto si imbatte in “diffidati” di diverse tifoserie.
Ma chi sono i “diffidati”, cui da titolo si presta onore?
«Il provvedimento DASPO – spiega ad Atala nel romanzo il “Pirata”, ultras interista vicino ad ambienti di destra- ti viene recapitato a casa dalla Divisione anticrimine della Questura… Ti arrivano a casa un paio di fogli, dove si dichiara che “a seguito di questa o quest’altra azione, per aver commesso i reati previsti dall’articolo tal dei tali si applica il provvedimento DASPO per tot anni, nei quali si avrà l’obbligatorietà di firma un quarto d’ora prima dell’inizio dell’incontro e un quarto d’ora prima dell’inizio del secondo tempo”. Questa è la diffida». Se si cerca di capire quali ragioni possono portare a tanto la risposta che si potrebbe ottenere sorprenderebbe in tanti. Vengono tirate in ballo addirittura le città-stato greche, dove: «ogni città-stato era a sé –come spiega ad Atala sempre il “Pirata” -; quando veniva attaccata, gli abitanti si difendevano. Se veniva oltraggiata o schernita, gli abitanti contrattaccavano con tutta la forza che avevano, pur di difendere la loro città, il loro onore, le loro tradizioni. Noi ultras siamo così, siamo tanti abitanti di tante città stato, le nostre curve, e le difendiamo con i colori delle bandiere…».
Ecco il punto: uno dei più grandi meriti che bisogna attribuire al lavoro di Elisa Davoglio è quello di avere spiegato per la prima volta ai lettori italiani quale filosofia e quale spirito animano i ragazzi che popolano le curve, di cui spesso si parla soltanto in maniera negativa, mettendo in risalto soltanto gli aspetti di becera violenza, che nella maggior parte dei casi vengono alimentati da frange minoritarie e che finiscono invece per denigrare un intero movimento. «In realtà –ci spiega la scrittrice- questo romanzo mi ha dato l’opportunità di scoprire un mondo nuovo e di intuire che, di rimbalzo, il mondo globale genera il bisogno di nuove identità, che se negli anni ’70 erano connotate come appartenenze politiche, adesso sono prettamente configurate come identificazione con una squadra e una bandiera. Il mondo ultras risponde alla necessità dei giovani di appartenere a qualcosa. E –prosegue- se gli ultras vengono sempre più spesso denigrati e sempre meno spiegati al grande pubblico e compresi nelle loro ragioni profonde è perché è più facile, in una società delle apparenze come la nostra, fermarsi ai fotogrammi e alle immagini, senza riflettere né capire».
Eppure, per come si stanno svolgendo le cose all’interno del mondo del calcio, un dialogo con gli ultras sarà inevitabile da parte delle società, se non addirittura da parte delle istituzioni, come Lega e Figc. Proprio nell’ultimo numero del Guerin sportivo, attualmente in edicola, in un corsivo intitolato “Ultras accaldati”, il direttore Matteo Marani, autore peraltro dell’eccellente Dallo Scudetto ad Auschwitz (Aliberti, 2007), prende di petto il problema: «A differenza di molti giornalisti italiani, sostengo e difendo le ragioni del tifo organizzato. Per averlo frequentato a lungo e averne apprezzato gli aspetti positivi, di aggregazione». Ciò nonostante Marani critica la demagogia con cui sono stati attaccati alcuni giocatori accusati, da parte degli ultras, di essere mercenari, traditori e via discorrendo. E prosegue sostenendo che: «un’identità la si difende nelle battaglie autentiche, non prendendosela con Vieri perché ha esultato con indosso la maglia viola affrontando l’Atalanta». E conclude con un finale illuminante: «Le crociate delle curve devono andare in un’altra direzione. Salvaguardare il proprio club da imprenditori spregiudicati che in un ventennio hanno assalito e devastato il calcio. Sarebbe stato meglio non osannarli per aver buttato soldi facili e sogni vacui. Certi risvegli rimangono indimenticabili. E sarebbe sufficiente non farci affari insieme. Il tifoso deve battersi per la storia, i valori, i colori, massacrati da uffici marketing privi anch’essi di aria condizionata viste certe maglie…Un ultrà può pesare di più di quello che lui stesso pensa, che immagina, nel costruire l’ultima diga contro il calcio moderno che fa schifo (per dirla in “curvese”, Skyfo) a tanti di noi. Ma parliamone dopo averla smessa con certe ridicole, infantili ripicche». E sperando che questi propositi possano essere d’esempio per molti.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Collaboratore del Secolo d’Italia, si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

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