Dal Secolo d'Italia di venerdì 1 agosto 2008
Varati i nuovi calendari e iniziate le amichevoli estive ancora una volta i giornali, sportivi e non, fanno un gran parlare di calciomercato, di acquisti e cessioni avvenute o mancate, di trattative che fanno esaltare qualche tifoso e ne fanno sbadigliare qualche altro. Di un calciomercato che non è più quello sfrenato e senza regole di qualche anno fa, che si è in parte autolimitato, sempre parlando di società italiane, ma che tuttavia è ancora assolutamente iniquo tra le venti squadre di serie A, suddivise tra le poche che possono contare su munifici e solidi investimenti da parte dei loro proprietari e altre che cercano di sopravvivere facendo quadrare i bilanci e dovendo cedere i propri giocatori migliori.E intanto c’è chi propone delle soluzioni adeguate: «Bisogna guardare al sistema dell’Nba americana, il campionato di basket statunitense». Il suggerimento arriva da Antonio Smargiasse, giornalista de Il Manifesto, studioso di storia del cinema e autore qualche anno fa insieme a Guido Liguori, del libro Calcio e Neocalcio. Geopolitica e prospettive del football in Italia (edizioni Manifestolibri, pp. 175, euro 18). I due giornalisti parlavano di “neocalcio” ritenendo superato il concetto di “calcio moderno”: «Gli ultras, che ne sono oppositori risoluti, preferiscono l’espressione calcio moderno. A noi sembra più appropriata l’espressione neocalcio, in primo luogo perché la fase attuale si configura per taluni aspetti come post-moderna: “moderno” infatti indica un periodo storico iniziato alcuni secoli fa e per taluni ormai superato… Il prefisso neo suggerisce di concentrare l’attenzione sulle novità del fenomeno in questione. Calcio moderno indica una scansione temporale (peraltro errata), neocalcio sottolinea invece i cambiamenti intervenuti nell’universo calcistico». Secondo i due studiosi il passaggio dal calcio al neocalcio sarebbe tuttora in corso e risulterebbe difficile stabilire una precisa data di inizio del processo, ma il neocalcio, in definitiva, sarebbe caratterizzato dall’industrializzazione del calcio, e dalla commercializzazione dello stesso, fortemente connessa alla diffusione del calcio televisivo e al ruolo degli sponsor, che va diventando sempre meno uno sport e sempre più uno spettacolo. Proprio con Antonio Smargiasse abbiamo discusso delle maggiori problematiche legate ai cambiamenti del calcio italiano.
In diversi ambienti legati al tifo, non necessariamente ultras, e agli appassionati di calcio è riscontrabile un’avversità e un’ostilità verso il cosiddetto calcio moderno. Qualcun altro, come il sociologo Pippo Russo aveva parlato dell’invasione dell’ultracalcio, parafrasando L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel. Voi lo avete chiamato neocalcio. Definiamolo…
E’ un problema che investe più soggetti che a loro volta hanno motivi diversi per porsi in opposizione ad un’eccessiva industrializzazione del calcio.
Una delle ragioni principali è quella che il calcio non viene più concepito come uno sport da varie componenti del mondo del tifo.
L’ultras è l’elemento più facile da capire: nati in Inghilterra negli anni ’60, in forte rottura col tifo “semplice” delle tribune, i primi ultras erano provenienti dai quartieri periferici, dal sottoproletariato e tra di loro c’era una forte coesione sociale. Il movimento hooligans in Inghilterra, e successivamente quello ultras in Italia, era costituito da bande giovanili, quelle degli anni ’60-’70 che portarono il tema della contestazione negli stadi, non volendo più essere spettatori ma protagonisti degli stadi nella curva: una rottura rispetto al passato.
E in Italia?
I gruppi italiani furono da subito una imitazione delle organizzazioni politiche (le varie Brigate, ecc.), fenomeno dapprima spontaneo e poi cavalcato fortemente dalle forze politiche stesse. Dagli anni ’80 in Europa il calcio diventa prevalentemente televisivo: i tempi di gioco sono sempre più caratterizzati dalla televisione, ciò che conta è l’immagine. Fino a giungere al modello Sky, ostracizzato all’estremo dalle curve italiane.
Ma il neocalcio da voi designato ha un’accezione valoriale esclusivamente negativa?
Noi contestiamo l’avversione al neocalcio in quanto questo rappresenta a nostro modo una possibilità di democrazia. Ci sono diversi presidenti di serie A, da Zamparini del Palermo a Preziosi del Genoa che devono puntare tutto sul proprio portafoglio che però evidentemente non vale quanto quello di Moratti dell’Inter, giusto per fare un esempio. Così i giocatori migliori delle squadre di seconda fascia, che definiamo subalterne, finiscono per essere ceduti alle grandi. Il problema è passare dalle premesse del neocalcio ad una democrazia reale. Il neocalcio punta ad una distribuzione equa delle risorse e infatti il modello che indichiamo è quello dell’Nba statunitense dove sono state poste delle regole in maniera tale che anche chi dispone di grandi capitali non li può spendere tutti o quasi per fare la squadra che gli pare. In questo modo il campionato è molto più equilibrato. Allo stesso modo se questo sistema venisse applicato anche in Italia assisteremmo finalmente ad incontri più spettacolari perché imprevedibili e lo scudetto non sarebbe più un affare riservato a tre soli club su venti. Ecco cosa vuole offrire il neocalcio: qualcosa che ridisegni la staticità del nostro calcio. Il neocalcio vuole proporre movimento. Mentre così com’è la nostra industria calcistica sta perdendo competitività.
Lo scandalo di “calciopoli” o “moggiopoli”, che pure sembrò essere da premessa per una riforma del mondo del calcio dalle fondamenta, pare che in questo senso non abbia contribuito a dei miglioramenti verso una democraticizzazione del movimento.
Con “moggiopoli”, è meglio chiamarla così, non è cambiato tutto ma è cambiato molto. A differenza della Juventus di Gianni Agnelli e Boniperti che disponeva di grandi risorse, quella di Moggi e Giraudo doveva sopravvivere di ciò che produceva. Ma allo stesso modo doveva vincere. Così la struttura criminale architettata da Luciano Moggi serviva a tenere a distanza le milanesi che potevano spendere di più. In parte si sono verificate forme di complicità col Milan, mentre invece chi ne ha fatto le spese è stata l’Inter.
Gli ultras si fanno spesso portatori di un messaggio di autenticità e di valori in un mondo, come quello del calcio, che è sempre più industrializzato. Molti ragazzi delle curve si battono in difesa delle loro maglie, pretendendo che gli sponsor e i partner commerciali non ne modifichino le caratteristiche originali come quelle cromatiche. Altri si battono per il ripristino della numerazione da 1 a 11. Altri ancora vorrebbero la Coppa dei campioni vecchio stile e non l’attuale Champions League. E a questi temi sono sensibili anche molti appassionati e tifosi normali, non necessariamente di curva. Dinnanzi a queste problematiche quali sono le possibili soluzioni verso un calcio più a dimensione di tifoso?
Ritengo che gli ultras potevano diventare un soggetto che lavorasse verso forme più democratiche di calcio. Non esistono codici di comportamento e quindi è difficile dire “cosa fare”. Bisogna capire però che il calcio è emozione. Pertanto ridiamo spazio alla fantasia, al disincanto e alla gioia.Sviluppiamo il senso dell’identità, la parte più apprezzabile della filosofia ultras. E cerchiamo di andare oltre. E’ necessario che il calcio cambi, altrimenti si tiferà solo per cinque squadre negli anni a venire. Quindi il mio suggerimento è: manteniamo l’identità ma sviluppiamo coscienza critica.
In diversi ambienti legati al tifo, non necessariamente ultras, e agli appassionati di calcio è riscontrabile un’avversità e un’ostilità verso il cosiddetto calcio moderno. Qualcun altro, come il sociologo Pippo Russo aveva parlato dell’invasione dell’ultracalcio, parafrasando L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel. Voi lo avete chiamato neocalcio. Definiamolo…
E’ un problema che investe più soggetti che a loro volta hanno motivi diversi per porsi in opposizione ad un’eccessiva industrializzazione del calcio.
Una delle ragioni principali è quella che il calcio non viene più concepito come uno sport da varie componenti del mondo del tifo.
L’ultras è l’elemento più facile da capire: nati in Inghilterra negli anni ’60, in forte rottura col tifo “semplice” delle tribune, i primi ultras erano provenienti dai quartieri periferici, dal sottoproletariato e tra di loro c’era una forte coesione sociale. Il movimento hooligans in Inghilterra, e successivamente quello ultras in Italia, era costituito da bande giovanili, quelle degli anni ’60-’70 che portarono il tema della contestazione negli stadi, non volendo più essere spettatori ma protagonisti degli stadi nella curva: una rottura rispetto al passato.
E in Italia?
I gruppi italiani furono da subito una imitazione delle organizzazioni politiche (le varie Brigate, ecc.), fenomeno dapprima spontaneo e poi cavalcato fortemente dalle forze politiche stesse. Dagli anni ’80 in Europa il calcio diventa prevalentemente televisivo: i tempi di gioco sono sempre più caratterizzati dalla televisione, ciò che conta è l’immagine. Fino a giungere al modello Sky, ostracizzato all’estremo dalle curve italiane.
Ma il neocalcio da voi designato ha un’accezione valoriale esclusivamente negativa?
Noi contestiamo l’avversione al neocalcio in quanto questo rappresenta a nostro modo una possibilità di democrazia. Ci sono diversi presidenti di serie A, da Zamparini del Palermo a Preziosi del Genoa che devono puntare tutto sul proprio portafoglio che però evidentemente non vale quanto quello di Moratti dell’Inter, giusto per fare un esempio. Così i giocatori migliori delle squadre di seconda fascia, che definiamo subalterne, finiscono per essere ceduti alle grandi. Il problema è passare dalle premesse del neocalcio ad una democrazia reale. Il neocalcio punta ad una distribuzione equa delle risorse e infatti il modello che indichiamo è quello dell’Nba statunitense dove sono state poste delle regole in maniera tale che anche chi dispone di grandi capitali non li può spendere tutti o quasi per fare la squadra che gli pare. In questo modo il campionato è molto più equilibrato. Allo stesso modo se questo sistema venisse applicato anche in Italia assisteremmo finalmente ad incontri più spettacolari perché imprevedibili e lo scudetto non sarebbe più un affare riservato a tre soli club su venti. Ecco cosa vuole offrire il neocalcio: qualcosa che ridisegni la staticità del nostro calcio. Il neocalcio vuole proporre movimento. Mentre così com’è la nostra industria calcistica sta perdendo competitività.
Lo scandalo di “calciopoli” o “moggiopoli”, che pure sembrò essere da premessa per una riforma del mondo del calcio dalle fondamenta, pare che in questo senso non abbia contribuito a dei miglioramenti verso una democraticizzazione del movimento.
Con “moggiopoli”, è meglio chiamarla così, non è cambiato tutto ma è cambiato molto. A differenza della Juventus di Gianni Agnelli e Boniperti che disponeva di grandi risorse, quella di Moggi e Giraudo doveva sopravvivere di ciò che produceva. Ma allo stesso modo doveva vincere. Così la struttura criminale architettata da Luciano Moggi serviva a tenere a distanza le milanesi che potevano spendere di più. In parte si sono verificate forme di complicità col Milan, mentre invece chi ne ha fatto le spese è stata l’Inter.
Gli ultras si fanno spesso portatori di un messaggio di autenticità e di valori in un mondo, come quello del calcio, che è sempre più industrializzato. Molti ragazzi delle curve si battono in difesa delle loro maglie, pretendendo che gli sponsor e i partner commerciali non ne modifichino le caratteristiche originali come quelle cromatiche. Altri si battono per il ripristino della numerazione da 1 a 11. Altri ancora vorrebbero la Coppa dei campioni vecchio stile e non l’attuale Champions League. E a questi temi sono sensibili anche molti appassionati e tifosi normali, non necessariamente di curva. Dinnanzi a queste problematiche quali sono le possibili soluzioni verso un calcio più a dimensione di tifoso?
Ritengo che gli ultras potevano diventare un soggetto che lavorasse verso forme più democratiche di calcio. Non esistono codici di comportamento e quindi è difficile dire “cosa fare”. Bisogna capire però che il calcio è emozione. Pertanto ridiamo spazio alla fantasia, al disincanto e alla gioia.Sviluppiamo il senso dell’identità, la parte più apprezzabile della filosofia ultras. E cerchiamo di andare oltre. E’ necessario che il calcio cambi, altrimenti si tiferà solo per cinque squadre negli anni a venire. Quindi il mio suggerimento è: manteniamo l’identità ma sviluppiamo coscienza critica.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Collaboratore del Secolo d’Italia, si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.
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