martedì 16 settembre 2008

DAVID FOSTER WALLACE 1962 - 2008 (di Claudio Ughetto)

Articolo di Claudio Ughetto

David Foster Wallace non c’è più, si è suicidato nella notte del 13 settembre nella sua casa californiana. Aveva 46 anni. Possiamo interrogarci all’infinito sul perché il geniale autore di Infinite Jest ha deciso di lasciarci per sempre, volontariamente, ma non servirebbe a molto. Per dirla con un altro scrittore suicida, Cesare Pavese, non facciamo troppi pettegolezzi. Meglio parlare delle sue opere, che ci sono rimaste.
Personalmente non sono mai stato un suo fan sfegatato. Per lui ho sempre provato un reverente rispetto e un’oggettiva ammirazione, perché di scrittori così ne nascono due o tre per secolo, quando va bene. Parlare di David Foster Wallace è come parlare di Rabelais, Sterne, Musil, Gadda… scrittori enciclopedici, magmatici, ipertrofici, sovversivi attraverso la parola stessa. È grazie a loro se la letteratura conserva fascino e autonomia, se qualche volta apriamo un romanzo con la speranza di leggere un romanzo e non un film scritto, confortati dallo scoprire che un romanzo può ancora essere un “metodo di conoscenza, e soprattutto (una) rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo”, come ci ha insegnato Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane.
Sono stato tra i primi ad avere Infinite Jest (ordinato via Internet e buttato dal postino nel mio giardino, nella neve di quell’inverno del 2000) però quel tomo non sono mai riuscito a finirlo, nonostante la buona volontà. Lo apro, ne gusto con ammirazione delle pagine, anche interi capitoli, ma se provo ad affrontarlo dal principio alla fine mi viene la nausea. Per il Finnegan Wake joyciano si è parlato di “mostro alessandrino”, per Infinite Jest parlerei invece di “mostro lisergico”, tuttavia iperrealistico, nel quale l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande sono messi insieme e vivisezionati da un nuovo Demiurgo, ribollente di dati a tal punto da farmi soffocare. David Foster Wallace si è preposto l’impossibile compito di dare fondo non solo alla complessità e alla molteplicità del nostro tempo, ma anche allo scibile intero, e da scienziato delle lettere si è spinto fino a sfidare i segreti di quello che gli scienziati della Complessità chiamano il Grande Vecchio – Dio o Cos’altro… -, al punto di scrivere addirittura un saggio sull’Infinito. Torno invece spesso sui racconti di Oblio, alcuni davvero splendidi, come Caro vecchio neon, dove il suo proverbiale talento umoristico si coniuga con un traboccare emotivo da lasciarci estraniati per giorni. Nei saggi e negli articoli, invece, Foster Wallace parla direttamente al lettore, mettendolo a conoscenza degli aspetti più inediti della realtà. Aprite Considera l’aragosta, leggete Forza, Simba, e avrete un’idea inaspettata di come gli statunitensi considerano la politica, e anche il senatore McCain vi apparirà secondo un’ottica inedita. Oppure apprezzate l’acutezza geniale con cui in un libro precedente distingue tra Lynch e Tarantino: “A Quentin Tarantino interessa guardare uno a cui stanno tagliando l’orecchio; a David Lynch interessa l’orecchio” – prediligendo senza esitazioni (e a mio avviso giustamente) il secondo.
È stato, probabilmente, lo scrittore americano più importante del suo tempo, di quelli che basterà nominarli per far sobbalzare anche chi non li ha mai letti. Un po’ come nominare James Joyce o Jorge Louis Borges. Infinite Jest rimarrà nella storia della letteratura come un monolito da contemplare e interrogare, alla maniera di 2001 Odissea nello spazio: l’estremo tentativo di prendere alla gola il nostro tempo, di catturare il caos e restituircelo artisticamente, con forma nuova e terribile. Per noi, scimmie della postmodernità. Qualcosa che non rientra nemmeno con l’ossessione statunitense di misurarsi con il Great American Novel. Credo che questo titolo sia più indicato per La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem o Il tempo di una canzone di Richard Powers[1]. Però David Foster Wallace rimane il riferimento assoluto del nostro tempo, colui che è vissuto per ricordarci che la letteratura è una sfida estrema, nell’insoddisfatto tentativo di sondare la vita, capirla e restituirla trasformata.
[1] Scrittore altrettanto colto ed enciclopedico, ma meno cerebrale e grottesco, maggiormente portato a sondare i sentimenti e le emozioni.

Claudio Ughetto è nato a Giaveno (TO) nel 1965, dove risiede. Di mestiere fa l'educatore in un Consorzio pubblico. I suoi interessi sono molteplici: letteratura e filosofia, arti figurative e tutto ciò che riguarda l'immaginario. Da anni si sente vicino alla cultura non conformista, nella convinzione che la dicotomia destra/sinistra sia ormai inefficace per leggere e affrontare le questioni contemporanee. Scrive per Diorama Letterario, Arianna e Opifice. Un suo racconto è stato pubblicato nell'antologia Tutti esplosi. Le trame di Opifice (prefazione di Massimo Carlotto, Giulio Perrone editore, euro 12). Di recente ha pubblicato il suo primo romanzo Una falciola di terra (Il Filo, 2007, euro 18).

5 commenti:

Simone Migliorato ha detto...

Avevo letto della sua morte sulla pagina di cultura di "Repubblica".
Non ho mai letto niente di lui, e adesso cercherò di rimediare.

Anonimo ha detto...

Auguri! :-))
Scherzi a parte, con uno come Wallace puoi iniziare da qualsiasi parte, perché è quasi impossibile distinguere tra la sua produzione saggistica e quella narrativa. Se ti piacciono autori come Gadda, lo adorerai; altrimenti tutte quelle note e digressioni da primo della classe ti manderanno in bestia.
"Infinite Jest" è un'impresa titanica: più di mille pagine. Io ti consiglio i racconti di "Oblio", secondo me la cosa più composta che ha scritto.
Ciao.

Simone Migliorato ha detto...

Ok. Allora finisco prima il "Pasticciaccio" che sono rimasto bloccato prima di trovare la tizia sulla via Appia, subito dopo l'omicidio dentro ar palazzo.

Comincerò con Oblio.

Anonimo ha detto...

Anch'io non ho ancora letto niente di questo autore ma mi ha subito colpito la notizia della sua morte
leggendo gli articoli su Repubblica di Antonio Monda e di Stefano Bartezzaghi.
Ho già ordinato in edicola due suoi libri.
Mi chiedo, è una mia senzazione, come si possa sentire un vuoto per una persona di cui si sconosceva l'esistenza.

Anonimo ha detto...

Bé... credo sia un po' come ho scritto alla fine: David Foster Wallace è "la letteratura", e colpisce anche solo a sentirne parlare.
Ciao.